SALVINI DEVE DECIDERE: VUOLE STARE CON LA LE PEN E I POLACCHI O CON DRAGHI? - LA LEGA AL PARLAMENTO EUROPEO HA VOTATO CONTRO LA RISOLUZIONE SULLA POLONIA. IL CARROCCIO HA RISPETTATO L’INDICAZIONE DEL GRUPPO “IDENTITÀ E DEMOCRAZIA”, E NON CI SAREBBE NULLA DI STRANO. SE NON CHE LA LEGA SOSTIENE DRAGHI. E MERCOLEDÌ A ROMA AVEVA VOTATO LA MOZIONE DEL GOVERNO CONTRO VARSAVIA - I TIMORI DI DRAGHI SUL RISPETTO DELLE SCADENZE DEL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA
Alessandro Barbera e Ilario Lombardo per "la Stampa"
mateusz morawiecki viktor orban matteo salvini
Per Mario Draghi il pomeriggio di tensioni a Bruxelles sulla strategia energetica è solo un contrattempo che lo distoglie dal lavoro a Roma. In questi giorni il premier ha in testa una cosa sola: rispettare le scadenze del Piano nazionale di ripresa (Pnrr). La credibilità dell'Italia in Europa - e in ultima istanza anche la sua - dipende in gran parte da questo.
ursula von der leyen consegna a mario draghi la pagella di bruxelles al recovery plan italiano 1
Già qualche settimana fa Draghi aveva sollecitato i ministri ad accelerare il lavoro sui progetti. Il cronoprogramma che il governo si è impegnato a realizzare entro fine dicembre conta 51 obiettivi. Il primo rapporto di monitoraggio del lavoro realizzato un mese fa - il 23 settembre - conta otto riforme fatte su ventisette e cinque investimenti su ventiquattro. In totale: tredici «target» su cinquantuno raggiunti. E mancano ormai solo due mesi a Natale.
Per Draghi - lo ha detto pubblicamente - è una questione di «serietà e responsabilità» di fronte all'Europa. Il presidente del Consiglio teme che le lentezze della burocrazia dei ministeri e delle amministrazioni locali possano impantanare il piano e così, prima di partire per il Consiglio europeo, ha dato mandato al sottosegretario di Palazzo Chigi Roberto Garofoli di preparare un provvedimento che darà un'ulteriore spinta all'approvazione dei progetti. Se tutto andrà secondo le previsioni, arriverà in Consiglio dei ministri la prossima settimana.
Per capirne di più occorre leggere la pagina otto, punto B del rapporto di monitoraggio. «È necessario che i ministeri facciano pervenire al più presto a Palazzo Chigi e al ministero dell'Economia norme attuative abilitanti ritenute necessarie per accelerare l'adozione delle misure». Per questo «verranno adottati ulteriori provvedimenti». Si tratta in sostanza di norme specifiche che permetteranno di sbloccare riforme o investimenti incagliati.
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Parte di esse verranno assorbite dalla legge di Bilancio, altre confluiranno in un decreto. Insomma, Draghi non ha un minuto da perdere. Oggi, subito dopo la fine del Consiglio all'ora di pranzo, tornerà a Roma per chiudere la bozza della Finanziaria che a Bruxelles attendono già da qualche giorno.
Dal primo ottobre Garofoli ha acquisito più poteri per la struttura da lui stesso guidata - l'Ufficio del programma di governo - e dare così supporto alla cabina di regia del Recovery Plan. È stato Garofoli, assieme al ministro del Tesoro Daniele Franco, a farsi carico dell'urgenza sollevata da Draghi e a chiedere ai ministri di mostrarsi «più determinati». Fra quelli più in ritardo e con il numero più alto di progetti il responsabile delle Infrastrutture Enrico Giovannini e quello della Transizione energetica Roberto Cingolani.
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Ai ritardi delle burocrazie Draghi deve aggiungere le incertezze della politica, che solo questa settimana si è lasciata alle spalle una lunghissima campagna elettorale. In pochi giorni c'è da risolvere la grana delle pensioni, e trovare un ulteriore compromesso con la Lega, che ha alzato ulteriormente la posta, dicendo no all'ipotesi degli «scalini» per uscire da «quota cento», lo strumento triennale che ha mandato a riposo molti italiani a 62 anni e con 38 di contributi.
Dovrà superare le rigidità del sindacato, che ha deciso di dare manforte a Matteo Salvini, e dovrà chiudere il testo sulla riforma della concorrenza, che giace a Palazzo Chigi dall'estate e che il premier ha promesso di presentare entro la fine di questo mese. Il 30 e il 31 ottobre, dulcis in fundo, sarà l'ora del G20 di Roma dei capi di Stato, dove è il padrone di casa.
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I rigurgiti nazionalisti e populisti di Salvini non gli sono d'aiuto. Ieri, mentre diceva la sua ai colleghi europei sull'importanza di una strategia unitaria sugli approvvigionamenti e gli stoccaggi di energia, le agenzie battevano due notizie che gli hanno mandato di traverso il caffè sul grande tavolo circolare di Bruxelles. Prima quella di un videocollegamento fra Salvini e Marine Le Pen, fiera avversaria di Emmanuel Macron, poi l'esito del voto all'Europarlamento a proposito dello scontro fra Commissione Ue e Polonia sul rispetto dello Stato di diritto.
MARCO ZANNI MATTEO SALVINI CLAUDIO BORGHI
Lega e Fratelli d'Italia hanno votato compattamente a difesa di Varsavia, insieme ai propri gruppi di riferimento («Identità e democrazia» e «Conservatori»). Una notizia scontata per chi frequenta le stanze di Strasburgo, peccato che la Lega sia parte del governo a Roma, e che ventiquattro ore prima avesse votato a favore della mozione di maggioranza in vista del Consiglio che Draghi aveva presentato così: «Non è solo per bisogno che si sta in Europa, ma perché se ne condividono gli ideali» e dunque la posizione dell'Italia è di «fermissimo e convinto sostegno alla Commissione». Quello della Lega di Salvini al governo Draghi è sempre più ondivago e ambiguo. Eppure il successo del Recovery Plan dipende anche dalla compattezza di chi è chiamato ad attuarlo.