"VI SPACCO TUTTO E VI DO FUOCO AL LOCALE SE NON PAGATE" - LE INTERCETTAZIONI DI MICHAEL PALUDI, CAPO DELLA "BANDA DELLO SPURGO", CHE INTIMAVA DI PAGARE AI CLIENTI FINITI NELLA TRAPPOLA: "I CLIENTI VANNO SPREMUTI. MAI RISOLVERE IL PROBLEMA" - GLI SFORTUNATI DI ROMA, CHE CHIAMAVANO LA SUA DITTA PER LIBERARE LE TUBATURE, SI RITROVAVANO L'APPARTAMENTO O IL LOCALE INONDATO DA LIQUAMI - GLI OPERAI AGGRAVAVANO IL PROBLEMA APPOSITAMENTE PER POI CHIEDERE MIGLIAIA DI EURO PER RISOLVERLO: 13 PERSONE SONO FINITE IN MANETTE. SEQUESTRATI QUASI 100MILA EURO IN CONTANTI, DIAMANTI, ROLEX, GIOIELLI E UNA VETTURA DI GROSSA CILINDRATA - LA TESTIMONIANZA DI UNA RISTORATORE: "LI CHIAMAI AL RISTORANTE PER UN LAVANDINO OSTRUITO E INVECE INONDARONO IL LOCALE..."
1 - RIEMPIVANO CASE E LOCALI CON I LIQUAMI DELLE FOGNE «PAGATECI PER RIPULIRE»
Estratto dell'articolo di Marco De Risi Flaminia Savelli per “Il Messaggero”
Truffe, minacce e un giro d'affari milionario dietro la ditta che pubblicizzava online l'attività di ripristino delle fognature. Non a caso infatti, la maxi operazione coordinata dal pm Claudio Santangelo e dall'aggiunto Giovanni Conzo, è stata denominata Pecunia olet, il denaro puzza.
Era un sistema ben collaudato come hanno accertato le indagini degli investigatori della Polaria di Fiumicino che per due anni (da gennaio 2022) hanno, ascoltato intercettazioni telefoniche, pedinato le squadre del pronto intervento, tracciato movimenti bancari risalendo così alle vittime finite nel mirino dei banditi. Una lista di 30 persone tra cui avvocati, medici, imprenditori, ristoratori. E poi anziani, vedove in difficoltà economiche […]
Così per 13 persone - una è ancora ricercata - ieri mattina sono scattate manette. Due ai domiciliari e undici in carcere. Tra questi il titolare della ditta a cui erano collegate le società di per lo spurgo, Biancacostruzioni srls, Michael Paludi, secondo gli investigatori il capo della banda. Indagata anche la ex compagna, Ludovica Avanzini, nominata amministratrice. Quindi gli operai della ditta tra cui Gabriel Pavel e Maurizio Ianni. Tutti accusati di associazione per delinquere, estorsione, truffa aggravata.
Intanto il primo pagamento alla richiesta di intervento: non appena il cliente contattava la "banda dello spurgo" per la richiesta urgente, era costretta a emettere il primo bonifico di 500 euro. Quindi una squadra di "operai" arrivava sul posto e invece che riparare il guasto, inondavano i locali di liquami. Sfondavano pavimenti, lavelli, sanitari. Danneggiavano tubi creando così un danno con lo scopo di truffare ed estorcere ulteriore denaro. A quel punto, quando si trovava davanti lo sconfortante scenario, alla vittima non restava altro che pagare un prezzo maggiorato che arrivava fino a 5mila euro.
E contro chi protestava, capendo di essere stato truffato, si accanivano con minacce e prepotenze. I finti interventi sono stati registrati in tutta la Capitale: dal litorale romano, Ostia e Fiumicino, fino ai quartieri più centrali come in piazza di Spagna dove nella rete dei banditi è finito un vedovo 80enne. Facendo leva sul momento di grande difficoltà emotiva perché l'anziano aveva appena perso la moglie, i finti operai erano riusciti a estorcere 4mila euro.
[…] Con l'ausilio Guardia di Finanza nella ditta sono stati sequestrati quasi 100mila euro in contanti, diamanti, Rolex, gioielli e una vettura di grossa cilindrata.
Pregiudicati, estorsori, picchiatori. Ma anche promesse della box come Tiziano Guglielman, il 19enne che si era distinto nei campionati giovanili del 2018. Queste erano le "competenze" richieste dai titolari della ditta nella selezione del personale. «Gli operai dovevano essere pronti a intervenire con una certa insistenza» spiegano gli investigatori: «In alcuni casi si sono rifiutati di uscire dai locali danneggiati e dovevano quindi avere una certa preparazione». […]
2 - «LI CHIAMAI AL RISTORANTE PER UN LAVANDINO OSTRUITO INONDARONO IL LOCALE»
Estratto dell'articolo di Fla. Sav. per “Il Messaggero”
Un lavandino ostruito e il locale con il tutto esaurito già prenotato. Poco tempo per riparare il guasto: la ricerca on line di una ditta di pronto intervento, il primo contatto telefonico "Bianca costruzioni srl" e l'inizio dell'incubo per il titolare di un ristorante di Fiumicino.
L'indagine della Polaria è partita da qui perché quando l'imprenditore si è ritrovato con le sale piene di liquami ha capito di essere stato raggirato. Costretto a pagare 5 mila euro, con gli operai che non volevano lasciare il ristorante fino a quando non procedeva con il bonifico, si è subito rivolto alla polizia di Frontiera: «Ho notato il guasto e l'urgenza era di riparalo il prima possibile perché avevo tutti i tavoli prenotati» è iniziato così il racconto della prima vittima.
Che ha aggiunto: «Ho trovato il contatto della ditta on line, assicuravano un intervento in tempi molto rapidi. Li ho subito chiamati e al telefono la trappola è scattata in pochi istanti. Hanno capito che avevo urgenza di risolvere il guasto e su quello hanno fatto leva». Il ristoratore ha pagato un acconto di 500 euro poi la squadra è intervenuta: «Sono arrivati con l'attrezzatura e mi hanno fatto firmare una bolla.
Poi è iniziato l'incubo» ha riferito agli agenti ricostruendo quelle drammatiche ore.
«Con una scusa mi hanno fatto rientrare nel ristorante. Una volta all'interno ho visto il liquame che dal bagno stava invadendo le sale e la cucina. È stato il loro atteggiamento a insospettirmi. Ho chiesto cosa fosse accaduto e a quel punto ho capito di essere caduto in una truffa».
Gli operai hanno tentato di giustificarsi attribuendo la causa della fuoriuscita di liquame al guasto che era stato segnalato.
Alle resistenze del titolare del ristorante, la situazione è diventata sempre più tesa: «Quando ho detto che non avrei pagato più nulla - ha riferito agli agenti - i toni si sono alzati e sono diventati minacciosi. Mi hanno detto: "Ti lasciamo il locale in queste condizioni e questa sera chiudi tutto".
Mi hanno fatto capire che se non avessi pagato, non sarebbero andati via. Sarebbero rimasti lì a oltranza. Non ho avuto alternative: ho saldato quanto richiesto. Poi ho deciso di denunciare tutto».
3 - «I CLIENTI VANNO SPREMUTI MAI RISOLVERE IL PROBLEMA»
Estratto dell'articolo di Federica Pozzi per “Il Messaggero”
«Qui funziona così, per iniziare l'intervento devi subito pagare», intanto la "banda dello spurgo" si assicurava i primi 500 euro. Poi il copione era lo stesso per tutti gli interventi: «La situazione è più grave del previsto, servono macchinari specifici», e la richiesta di soldi aumentava, fino a toccare cifre di tre o quattromila euro.
Il prezzario: 140 euro al metro lineare, con una profondità che non poteva essere stabilita preventivamente. E quando le vittime, che avevano chiesto un intervento in caso di water o lavandini otturati, tentennavano: «O paghi o vengo lì e ti faccio capire come funziona la vita».
A parlare al telefono era sempre, o quasi, Michael Paludi, a capo dell'organizzazione sgominata dalla procura di Roma, mentre i suoi "operai" erano sul posto con la vittima che, sentendosi minacciata, accettava di pagare qualsiasi somma. Ma in alcuni casi non bastava cedere alle richieste.
«Vi spacco tutto e vi do fuoco al locale se non pagate», diceva Paludi a due ristoratori che, dopo aver fatto il bonifico istantaneo alla ditta, hanno visto gli operai «tappare nuovamente la fossa, reinserendo quello che avevano tolto in precedenza e anche buste di nylon e bastoni di legno, così da peggiorare la situazione», si legge nell'ordinanza. Il conto corrente sul quale le vittime versavano la somma per lo spurgo, tramite pos o bonifico istantaneo, era sempre lo stesso, intestato alla società "Biancacostruzioni srl".
Un giro di affari di circa un milione di euro l'anno, parte dei soldi veniva versata anche nelle casse di altre tre società finite sott'inchiesta: Ma.Pa. srl, Spurgo srls, Real Estate Empire srl. I sodali invece venivano pagati ogni settimana da Paludi o dalla compagna Ludovica Avanzini, per loro era previsto un "fisso" più gli extra a seconda di quanto riuscivano a "spillare" alle vittime.
Molti dei soldi guadagnati venivano investiti in pubblicità sul web - circa 400mila euro l'anno - in modo che le aziende fossero le prime nei motori di ricerca. A incastrare gli indagati, già noti alle forze dell'ordine, le intercettazioni. I componenti della "banda" utilizzavano infatti tutti le proprie utenze in ogni fase del piano.
Le indicazioni di Paludi ai suoi erano chiare: «Mai dare un preventivo preciso alla vittima, l'uscita del mezzo sono 99 euro, poi con i ragazzi sul posto si fa il preventivo prima di intervenire». Se il cliente accettava, gli operai, di solito due, andavano sul posto e come prima cosa dovevano "sondare" la ricchezza della vittima. Al titolare di un b&b di piazza Navona uno degli affiliati «facendo leva persuasiva, indicando il Rolex che indossava, diceva "Tanto puoi permetterti di spendere"». Spiegava ancora Paludi: «In base a chi hai davanti, prendi quello che possono dare e te ne vai». Quindi la richiesta dell'anticipo prima di iniziare l'intervento.
Siamo «un pronto intervento da internet, quindi sono un po' caro, gli dico guarda mi devi dare 100 euro della chiamata, 300 euro del canal jet e 100 euro di prodotto». Poi le vittime dovevano firmare un documento cartaceo in cui accettavano che l'intervento iniziasse. «Qua il segreto è non stappare mai», diceva ancora Paludi, spiegando la tecnica da utilizzare per far fuoriuscire il liquame. A questo punto la parte più redditizia del piano: la richiesta dei 140 euro al metro più Iva per risolvere il problema con un'attrezzatura avanzata chiamata «stasatrice» da pagare con pos o con bonifico istantaneo. Ma neanche qui le vittime avevano la risoluzione del problema: «Il trucco è aggravare la situazione» perché «ti pare che il cliente ti manda via che tu ha preso più di 600 euro in anticipo e non ti fa finire il lavoro?».
chiamo l elttricista o l idraulico
Ultima parte del piano: costringere i clienti che si accorgevano di essere stati raggirati a pagare «attraverso il ricorso a vere e proprie minacce e ad atteggiamenti intimidatori». In uno dei casi, Paludi tentava di incutere terrore alla titolare di un ristorante dicendole di appartenere alla ndrangheta, utilizzando un dialetto calabrese: «Noi non siamo una famiglia comune e non lo siamo nemmanco giù in bassa Italia, al paese nostro».
Un'organizzazione ben collaudata, se non fosse per il modo in cui i dipendenti della ditta si presentavano. Indossavano, secondo quando raccontato ma anche ripreso nei video da alcune vittime, abiti trasandati piuttosto che tute da lavoro e arrivavano con «un semplice furgone bianco obsoleto». Ma il business era talmente redditizio che Paludi pensava di espanderla anche ad altri settori (impianti elettrici e campo informatico) e altre città, una su tutte la «ricca Milano».[…]