IL CINEMA DEI GIUSTI - NO. “IL SOL DELL’AVVENIRE” DI NANNI MORETTI NON È UN CAPOLAVORO. NON FA NÉ PIANGERE NÉ RIDERE. MENTRE FANNO RIDERE E PIANGERE QUASI TUTTE LE CRITICHE ESALTANTI CHE HO LETTO - DOPO 15 MINUTI HA COMINCIATO A RONZARMI LA MALSANA IDEA CHE STAVO VEDENDO SOLO UNA VERSIONE PIÙ ACCULTURATA E (PURTROPPO) POST-COMUNISTA DEL CINEMA DI PUPI AVATI. CON UN PROTAGONISTA CHE, FACENDO UN FILM OGNI CINQUE ANNI, INVECCHIA MOLTO DI PIÙ DEGLI ALTRI ATTORI DELLA STESSA ETÀ - VIDEO
Marco Giusti per Dagospia
MARCO GIUSTI AL CINEMA TROISI PER LA RETROSPETTIVA DEDICATA A MARIO BAVA
Che tristezza, cari compagni. E, spesso, che imbarazzo, nel vedere il bel set su un film sulla crisi del PCI del 1956, ambientato tra una sede del Pci del Quarticciolo e il circo Budavari, un film che mi sarebbe piaciuto vedere, massacrato dalle continue canzoncine della voglia di musical morettiano (ancora Battiato…), che sono invece continue vie di fughe dalla realtà, anche dalla realtà del cinema, e dalle lezioncine sulla violenza post-tarantiniano dei giovani registi (stupidi) con testimonial eccellenti come Renzo Piano al telefono con un effetto da sketch di Fiorello, Corrado Augias che spiega “L’amor sacro e l’amor profano” di Tiziano come fosse uno Sgarbi usa-e-getta, e Chiara Valerio, magari per far contente le tre fedeli amiche sceneggiatrici, i momenti più terribili di tutto il film.
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Il mio imbarazzo è un po’ quello, mischiato a un vecchio affetto, di Margherita Buy, la moglie-produttrice che non sa come dirglielo a Nanni che lo vuole lasciare dopo 40 anni e ha bisogno dello psicanalista Teco Celio per farlo.
Curiosamente Teco Celio psicanalista è identico allo psicanalista Stephen Henderson di “Beau ha paura” di Ari Aster, altro film, ben più moderno e violento, sull’affrontare la vita e la storia lontani dalla dipendenza materna (anche per Nanni un nodo mai risolto).
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No. “Il sol dell’avvenire” di Nanni Moretti non è un capolavoro. E mi dispiace. Non fa né piangere né ridere. Mentre fanno ridere e piangere quasi tutte le critiche esaltanti che ho letto (non abbiamo più una critica, ridatemi i tromboni di prima oggi defunti che ho sempre odiato, please, almeno scrivevano meglio). Eppure, mentre il cinema italiano che conta era andato a vedere la mostra di Vezzoli+Prada, ero andato a vedere il film preparatissimo, leggendomi tutto, anche le esaltazioni più assurde e seguendo i vecchi rituali.
Quartiere Mazzini, come nella scena dei monopattini con Mathieu Amalric, qui usato come figurina da coproduzione, senza senso. Pranzo all’una alla Nuova Fiorentina col mio amico Ciro per celebrare il girare attorno a Piazza Mazzini di Nanni. Poi spostamento alla sala 1 dell’Eden di Piazza Cola di Rienzo a vedere il film alle 14, 45. Insieme a una trentina di morettiani e morettiane fedelissime, tutti vecchi e vecchie come noi ma anche più vecchi.
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Mancavano solo le bandiere rosse in sala. Mentre già si piangeva nella hall coi manifesti originali della Dolce vita. Ottimo.
Ma dopo quindici minuti ha cominciato a ronzarmi la malsana idea che stavo vedendo solo una versione più acculturata e (purtroppo) post-comunista del cinema di Pupi Avati. Con un protagonista che, facendo un film ogni cinque anni, invecchia molto di più degli altri attori della stessa età.
E questo, ahimé, sullo schermo si vede. E l’unica idea di messa in scena è quella di interrompere ogni cinque minuti l’azione e inserirei una canzone da cantare in macchina o in una scena importante. Lo hai fatto sempre, no? Perché vuoi rifarlo ancora e ancora e ancora? Non basta aggiungerci una canzone di Noemi per fare un film moderno. No. Ma forse non voleva fare un film moderno.
Mi ha fatto ridere la scena con la figlia, Valentina Romani, brava, che invita i genitori Moretti e Buy a casa del fidanzato, Jerzy Stuhr, che alla domanda di Nanni, “Quando arriva suo figlio?”, risponde “Io non ho figli”. Ecco in quel camera-look, un procedimento che nel cinema comico americano è parte fondante dello slow-burn (citato da Moretti nel film), ho ritrovato il Moretti che preferisco.
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Magari anche nel personaggio martoriato di Margherita Buy, bravissima, la moglie che se ne vuole andare dopo 40 anni. Ma è l’unico personaggio che abbia un vero sviluppo nel film, gli altri rimangono tutti nello sfondo, anche il fedelissimo Silvio Orlando, o Barbora Bobulova, che ha un paio di grandi momenti e osa mettersi i sabot, con la feroce reazione da vecchio repertorio morettiano.
A Cannes funzionerà. Basta poco. E speriamo che Nanni non abbia visto il Toni Servillo regista sessantenne in ciavatte di “Il ritorno di Casanova”, immagine che distrugge qualsiasi credibilità del personaggio.
nanni moretti e silvio orlando in il sole dell avvenire
Ma la vera mazzata al film è la lunga, eccessiva, sequenza di Nanni che spiega al giovane regista col ciuffo perché le scene di violenza fanno male al cinema, dove si incarta in una serie di spiegazioni fumose coi testimonial importanti.
Possibile che le tre sceneggiatrici, le tre parche che dovrebbero aiutare Nanni non gli abbiano detto nulla? Le scene brutte vanno eliminate perché sono brutte. Non puoi citarmi Kieslowski e poi farmi quel montaggio con l'insert di Renzo Piano preso come fosse un collegamento di Otto e mezzo della Gruber.
Tutta quella inutile, lunga sequenza, inoltre rovina la credibilità di quello che viene dopo. Non me lo meritavo io spettatore e non se lo meritava Moretti. Come non mi meritavo la citazione del finale della Dolce vita che a qualche genio della critica ha ricordato Ettore Scola. Ma se ti ricorda Scola e non ti ricorda Fellini, allora siamo arrivati a qualcosa di derivativo che non ci può piacere. Aiuto.
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Nella seconda parte il film alterna altre citazioni un po' inutili a sequenze, in parte riuscite in parte no, di repertori morettiani, come ai vecchi tempi, a lezioncine di morale sui tempi d'oggi. Cosa posso dire? Può far ridere la visione familiare di “Lola” di Jacques Demy dove moglie e figlia scappano, ma i due personaggi gay che si baciano nella redazione dell’Unità sotto gli occhi severi di Silvio Orlando mi imbarazza sia per come è stata pensata sia per come è girata. E lì si capisce che l’ombra di pupiavatismo è più che solida.
LA LOCANDINA FRANCESE DI IL SOL DELL'AVVENIRE - IL NUOVO FILM DI NANNI MORETTI
La scena del cappio con la citazione di Italo Calvino sulla morte di Cesare Pavese è disturbante, perché è violenta più del colpo di pallottola in testa alla Tarantino. Ma soprattutto mi pare che nella seconda parte il film tenda a slabbrarsi a accusa della costruzione di dialogo+canzone dove non si riesce a sviluppare molto. E le trame, coi i film nel film, addirittura l’idea de “Il nuotatore” di John Cheever (ma lo ha già fatto Frank Perry con una mano di Sydney Pollack benissimo quel film!) con Nanni nuotatore, la piccola storia d’amore coi due ragazzi, non portano a molto.
A meno che, e questo è pensabile, che Nanni non tenda a macchiare ogni trama e ogni personaggio del suo carattere, dalla figlia musicista alla moglie. Ma alla fine, purtroppo, da spettatore affezionato, sono completamente d’accordo con i finti dirigenti di Netflix. Manca totalmente il whatafuck. Anzi, arriva nel finale con i dirigenti del PCI che si staccano dalla difesa dell’URSS. E non porta a molto.
nanni moretti e margherita buy in il sole dell'avvenire
A parte il finalone alla Bob Fosse (quindi testamentario) con le bandiere rosse più veltroniane che bertolucciane e i tanti suoi attori che salutano, da Gigio Morra a Renato Carpentieri, dal grande Fabio Traversa a Alba Rohrwacher (e Laura Morante?). Perché il film non è, come forse mi sarebbe piaciuto, un cosa sarebbe capitato al nostro paese se il PCI non avesse tradito i suoi iscritti nel 1956. No. Magari lo fosse. E’ cosa fa Nanni prima di arrivare al 90° minuto del film in attesa di cambiare il corso della storia e il finale del film nel film. Nanni, nella scena più vera e sentita, gioca a pallone sul set del Quarticciolo. Palleggia. Da solo. Neanche male. Ecco. Forse andava fatto quello di film. 95 minuti di palleggi. Negli anni ’70 lo avremmo accettato.
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