past lives

IL CINEMA DEI GIUSTI - PREPARATE I FAZZOLETTI PERCHÉ IN “PAST LIVES”, IL FILM PIÙ ROMANTICO IN CIRCOLAZIONE, NON A CASO IN USCITA PER SAN VALENTINO, SI PIANGE. NON TANTO PER UN AMORE PERDUTO O IMPOSSIBILE, QUANTO PER L’IMPREVEDIBILITÀ DEL DESTINO. E’ IL CONCETTO, INTRADUCIBILE, DELLO IN YUN COREANO, IL DESTINO COME SOMMA DI UN NUMERO IMPRESSIONANTE DI VITE PASSATE CHE CI PORTA A SFIORARE UNA PERSONA E A CAMBIARE PER SEMPRE IL CORSO DELLA NOSTRA VITA - VIDEO

Marco Giusti per Dagospia

 

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Preparate i fazzoletti perché in “Past Lives” di Celine Song, il film più romantico in circolazione, non a caso in uscita per San Valentino, si piange. Non tanto per un amore perduto o impossibile, quanto per l’imprevedibilità del destino che ci obbliga a determinate scelte. E’ il concetto, intraducibile, dello In Yun coreano, il destino come somma di un numero impressionante di vite pasate che ci porta a sfiorare una persona e a cambiare per sempre il corso della nostra vita.

 

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In questa bella opera prima, “Past Lives” della coreana-americana Celine Song, magari un po’ accademica, un filo troppo da Sundance, ma candidata all’Oscar sia come miglior film, produce la A24 e la potente Christine Vachon, sia come miglior sceneggiatura, opera della regista, seguiamo in tre diversi momenti della loro vita, due ragazzi che sembrano fatti l’uno per l’altra, Na Hang e Hae Sung, interpretati da grandi da due attori belli, affascinanti e bravissimi, Greta Lee, nella realtà nata a Los Angeles, e Teo Yoo, nella realtà nato a Berlino, non certo dei nuovi venuti.

 

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Li vediamo da poco più che bambini, a Seoul, che tornano da scuola e hanno un rapporto speciale, da fidanzatini, anche se Na Hang sta per partire per sempre, seguendo i suoi genitori, il padre è regista, a Toronto. Cambierà anche nome e diventerà Nora. Li ritroviamo poi 12 anni dopo che si sentono via Skype. Lui è rimasto a Seoul, studia ingegneria e l’ha cercata. Lei ora vive a New York, è scrittrice, parla coreano solo con la madre e nessuno la chiama più Na Hang. Non riuscendo a vedersi di persona, perché cercano ognuno di costruirsi una vita in continenti diversi, decidono, in realtà lo decide Nora, di non sentirsi più per un po’.

 

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 Ma nemmeno lui si muove da Seoul per andarla a trovare. Così passano altri 12 anni. E si incontrano a New York, dove Hae Sung è andato a trovarla. Ma lei ora vive con un barbuto scrittore ebreo, Arthur, John Magara, che non sa una parola di coreano e soffre di gelosia per il rapporto speciale che hanno i due vecchi compagni di classe. Essendo entrambi scrittori, ognuno di loro riscrive la propria situazione come fosse un racconto che si può cambiare solo spostando l’angolazione.

 

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Ma è un racconto che esclude comunque Arthur che nulla sa di In-Yun, di vite passate, e di coreano e che sa di non poter competere con un amore così travolgente. Ma il gioco tra Nora e Hae e il gioco prima tra Nora e Arthur e poi tra Arthur e Hae è molto sottile e non va svelato. Magari è un buon compitino di scrittura, molto buono però, perché ci sono cascato dentro da subito, ma il film ha una sua grazia di regia, di scrittura, di direzione degli attori, che molto piacerà al nostro pubblico, soprattutto femminile, che tanto ha apprezzato “Perfect Days” e un giusto dosaggio di rimandi e omaggi a Leonard Coehen, Van Morrison, John Cale e al fondamentale “Eternal Sunshine of the Spotless Mind” di Kaufman e Gondry.

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