LA LIRICA AL TEMPO DELLA CRISI - IL REGISTA EX MONTY PYTHON TERRY GILLIAM AL DEBUTTO NELLA CAPITALE CON IL SUO FANTASMAGORICO CELLINI - UNA COPRODUZIONE CHE A ROMA COSTA CIRCA 120 MILA EURO. NEL 1995 PER LO SPETTACOLO DI PROIETTI SI SPESERO DUE MILIARDI E 200 MILIONI DI LIRE
Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera - Roma”
Quest' opera più abnorme che enorme è il cibo ideale per Terry Gilliam, un regista la cui regola è l' eccesso. Berlioz tentò di volgere la vita disordinata di Cellini in un' opera semicomica.
È un Benvenuto Cellini che rispecchia il mondo fantasmagorico, visionario (e per la verità anche discontinuo) di Gilliam, quello che andrà in scena il 22 al Teatro dell' Opera, con Roberto Abbado sul podio, protagonista il grande John Osborn, nel ruolo di Teresa Mariangela Sicilia.
«Cerco di lavorare su una cosa per volta, sono monomaniacale, divento ossessionato da un' idea e non riesco più a controllarmi. È triste, mi sembra di vivere in una specie di cimitero di idee», ci ha detto Gilliam in questo efficace autoritratto.
Forse i più giovani non sanno che il regista del Barone di Münchausen nasce come animatore e illustratore dei cartoni che incorniciavano il Monty Python' s Flying Circus , lo spettacolo dove elaborò un personale, immaginifico, febbrile gusto figurativo. E la lirica «assomiglia un poco al mondo dei cartoni animati».
«A scuola - ci ha detto - disegnavo vignette, il mio ego è cresciuto lì. A otto anni disegnavo strane creature, prendevo un elettrodomestico e aggiungevo altri elementi, era un cambiamento della realtà. Prima di Monty Python facevo animazione, prendevo oggetti e li trasformavo. Passando al cinema mi ci sono voluti anni per avere consapevolezza, la creazione di nuove forme è qualcosa di potente. Ma oggi la tecnologia porta il cinema sempre alla stessa immagine.
Bisogna distinguere tra fantasia e immaginazione, io cerco di reimmaginare la realtà in modo tale che non neghi la realtà. Cerco di creare la mia visione del mondo».
Ma veniamo al suo debutto assoluto a Roma. Ci saranno attori-acrobati, saltimbanchi e giocolieri al servizio della magniloquenza di Berlioz, tante proiezioni, le fornaci e le colate di metallo, la testa di Perseo naturalmente, ma in un contesto astratto dove sono presenti elementi dickensiani, senza riferimenti a Roma o a Firenze. Nessun richiamo esplicito a piazza Colonna, la sera del martedì grasso, o alla fonderia di Cellini al Colosseo.
Perché quest' opera, che alla prima parigina del 1838 fu un fiasco clamoroso e conobbe diverse versioni, è ambientata durante il Carnevale nella Roma rinascimentale dei papi, dei cardinali mecenati, e degli artisti.
Gilliam, che ha sempre usato l' arma della parodia, del grottesco e del collage, dice di essersi ispirato iconograficamente alle Carceri di Piranesi, ovvero le sedici tavole in bianco e nero con sotterranei, scale e macchinari che assemblano un' idea di ordine e disordine allo stesso tempo, e tanta influenza esercitarono sul Romanticismo e sul surrealismo.
Benvenuto Cellini ha ricevuto dal papa l' incarico di creare una statua in bronzo raffigurante Perseo che stringe la testa mozzata della Medusa, questo lo spunto iniziale. La statua del Perseo e la sua fusione fu l' incubo di Cellini, la sfida suprema, «per questo - ha detto Gilliam a Luca Pellegrini - ho voluto che la statua fosse enorme, irreale e irrealizzabile».
Il protagonista, Cellini, lo vede come «un mascalzone, un bugiardo, un imbroglione, un donnaiolo, un uomo avido e egoista, riscattato dal suo talento». Più sinteticamente Gigi Proietti (che ventuno anni fa portò per la prima volta questo lavoro monumentale all' Opera di Roma, nella sua quinta regìa lirica), ci disse che Cellini era «un figlio di puttana».
Scultore e orafo, non lasciò troppa roba a parte il Perseo. Ma certo c' è il contrasto tra il lavoro e la sua vita scapigliata (si va dalla sodomia all' omicidio). Abbagliato dal fasto di Roma, quello spettacolo aprì la stagione 1995 (in sala Verdone, la Vitti, Villaggio, Francesco Rosi...) nel segno del «costi quel che costi»: scoppiò uno dei tanti casi di sprechi che caratterizzò quell' epoca, un allestimento che costò due miliardi e 200 milioni di lire (i costumi di scena erano 370). Una cifra esorbitante.
Lo spettacolo di Gilliam (alla sua seconda regìa lirica dopo La dannazione di Faust sempre di Berlioz) è una coproduzione tra English National Opera, Amsterdam e Roma. La quota romana è di circa 120 mila euro. La lirica al tempo della crisi. Ma la fantasia nell' esplosione del Carnevale, quella, nel circo di Gilliam, non dovrebbe mancare.
«Questa produzione contiene una enorme energia, sia fisica che visionaria», dice il direttore artistico del Teatro dell' Opera Alessio Vlad. Chissà se Giancarlo Menotti, potendolo vedere, avrebbe cambiato idea (« Benvenuto Cellini ? Mi annoia mortalmente»).