1. LA BRIANZA È DAVVERO VELENOSA, COME CANTAVA LUCIO BATTISTI? VIRZÌ IMPALATO SUI SOCIAL NETWORK PER AVERLA DESCRITTA “GELIDA, OSTILE E MINACCIOSA”. MA I BRIANZOLI INDIGNATI IL FILM NON L’HANNO ANCORA VISTO (TUTTA OTTIMA PUBBLICITÀ GRATIS!) 2. IL REGISTA: “CHE POLEMICA STUPIDA, SPERAVO CHE IL FILM NE AVREBBE INNESCATA UNA SERIA. BELPIETRO MI DICE CHE SONO UN INTELLETTUALE MANTENUTO PERCHÉ ABBIAMO RICEVUTO FONDI PUBBLICI. MA VANNO RESTITUITI, PUÒ ESSERE UN AFFARE PER LO STATO” 3. IL DIBATTITO DA CINEFORUM ORMAI SI FA PRIMA DEL FILM, E IN 140 CARATTERI. DAI POLITICI AI GIORNALISTI, TUTTI SI SONO GIÀ ESPRESSI: “PARACULO”, “RAZZISTA”, “VERGOGNOSO” 4. MA LA BRIANZA È SOLO UNA “LOCATION”: IL FILM È TRATTO DA UN ROMANZO SUL CONNECTICUT. “LE VILLETTE PRETENZIOSE DOVE SI CELANO ILLUSIONI E DELUSIONI SOCIALI” DI CUI PARLA VIRZÌ ORMAI SONO UNA CARATTERISTICA DI TUTTA LA PROVINCIA ITALIANA

1. LO SCONTRO VIRZÌ-BRIANZA S'INFIAMMA SU TWITTER - IL DIBATTITO FINISCE A INSULTI
Luigi Bolognini per ‘La Repubblica'

È tempesta stabile sulla Brianza di Paolo Virzì. Non meteorologica ma informatica: le dichiarazioni a Repubblica del regista del Capitale umano («un paesaggio gelido, ostile e minaccioso»), dopo aver causato l'ira dell'assessore leghista della Provincia di Monza, Andrea Monti, fanno scoppiare Twitter. Per tutto il giorno messaggi, prese di posizione, battute, complice la prima pagina di Libero: "Soldi pubblici al film che attacca chi lavora" (il Ministero l'ha finanziato con 700mila euro). Fino allo scambio di insulti tra Monti e Virzì: «Paraculo», «Buffone».

Quasi tutti - politici, artisti, intellettuali, gente comune - si scatenano senza aver visto il film (che esce oggi in sala), come tradizione. L'ex presidente lombardo Roberto Formigoni: «Se corrisponde all'intervista a Repubblica è razzista e vergognoso ». La cantante Malika Ayane: «Non conosco un aggettivo adatto a dirvi quanto è bello, ma bello bello bello».

Il musicista Saturnino: «Appena uscito dal cinema. Ho applaudito e mi sono emozionato ». Renzo Cucinotta: «L'imprenditore volgarmente ottuso più volte visto nei cinepanettoni non ha mai prodotto sollevazioni in Brianza». Federica Epis: «Sfoderando inaudito disprezzo per la gente del Nord Virzì dimostra di essere un lavativo». Cicciogià: «Però quando il Sud di oggi nei film è tutto carretti e lupare si grida al neorealismo».

Lo scrittore Sandrone Dazieri: «Se Libero l'attacca dev'essere una figata». Alessandro Milan: «Il dibattito sulla Brianza, Virzì, la freddezza, la ricchezza, il culto del lavoro. Che un qualche Iddio a caso ce ne scampi».

E invece sì, il dibattito sì. Non solo virtuale, ma anche reale. D'altronde la zona da tempo è (anche) un luogo comune, basti ricordare il «fuggire via da te Brianza velenosa» del 1980 di Mogol-Battisti, (allora residenti a Molteno, Lecco). Un altro cantante la difende, Francesco Baccini, genovese da tempo immigrato: «Non tornerei mai indietro. Natura splendida e umanità vera, se si va oltre gli stereotipi».

Francesco Mandelli, del duo comico I Soliti Idioti, invece è andato da tempo a Milano: «Serve un po' di autocritica. Questa è una provincia asfittica che ha sostituito cascine secolari coi prefabbricati ». D'altronde, nota un altro comico brianzolo, Alberto Patrucco, «questo è un territorio splendido, purtroppo è abitato. Qui c'è gente che si è fatta da sola, ma non ha più smesso di farsi, e saluta dicendo "buon lavoro", che è quasi un insulto».

Finisce che a difendere la Brianza è uno scrittore che di provincia si occupa da tempo senza toni teneri, Giorgio Falco: «Quello di Virzì è quasi un omaggio a una realtà di decenni fa. La Brianza ora ha perso identità, o meglio l'ha trasmessa al Paese: "le villette pretenziose dove si celano illusioni e delusioni sociali" di cui parla Virzì ora sono una caratteristica di tutta la provincia italiana».

Si sottraggono un po' al dibattito solo gli imprenditori, in fondo i protagonisti del film. Parla solo Filippo Berto, mobiliere, presidente dei Giovani Artigiani:»È vero, qui si lavora moltissimo, ma è un lavoro pulito, è la bellezza del fare con amore e fatica. Siamo un po' grigi? Forse, ma tanta nostra produzione è legata ad arte e design, ed esiste una società civile».

Fino a sera, quando su Facebook Monti fa notare «la buffa retromarcia (smentita) paracula di Virzì». E scatta la rissa informatica. Il regista replica: «Scusi lei è davvero un assessore? Ma la smetta, abbia rispetto dei cittadini che rappresenta. Lei è un uomo delle istituzioni, lasci fare il buffone a noi gente dello spettacolo. Torni a bordo, cazzo!». Ma tutto regna tranne che la Concordia. «Non si dia arie, Virzì - ribatte Monti - addirittura si crede un buffone? Non esageri». Chiusura del regista: «Nel film c'è un grave errore: un assessore leghista troppo composto rispetto alla sguaiataggine di questo Monti».


2. VIRZÌ: ‘LA BRIANZA? CHE POLEMICA STUPIDA. NE MERITO UNA SERIA'
Malcom Pagani per ‘Il Fatto Quotidiano'

Confessioni di un regista al bivio tra masochismo e paradosso: "Dopo 25 anni di cinema e undici film mi ero illuso di meritarmi una polemica seria. Volevo essere maltrattato sul contenuto, rispondere a un tema documentato, affrontare una critica oggettiva. Invece, niente. Mi ritrovo con una farsa di basso conio sbattuta su un orribile giornalaccio e una discussione grottesca sulle offese che una storia ambientata in una località immaginaria e inesistente avrebbe recato alla Brianza".

Pausa. Risata: "Siamo messi molto male, altro non riesco a dire se non che più che con me, forse al tempo se la sarebbero dovuta prendere con Mogol. Non era stato lui, scrivendo per Battisti, a sognare di fuggire dalla Brianza velenosa?".

Un paio di mezze frasi estrapolate da un'intervista di Natalia Aspesi per Repubblica e la storia raccontata da Paolo Virzì ne Il capitale umano (tratta da un notevole romanzo americano di Stephen Amidon e impreziosita da un cast adeguato con Golino, Gifuni, Bruni Tedeschi, Bentivoglio e Lo Cascio) è immediatamente precipitata nel pantano della polemica localistica.

Virulente reazioni dagli assessori del centrosinistra comaschi, piccati controcanti polifonici dal leghismo monzese: "Non siamo così, basta con gli stereotipi", un trasversale comizio regionalistico baciato dalla solita insperata coda di pubblicità occulta che Libero ama offrire agli avversari ideologici quando si entra, per usare le parole di Virzì: "In una zona oscura in cui il ragionamento è sopraffatto dai fantasmi della politica, del pregiudizio e del dipinto fantasioso delle presunte lobby che dominerebbero la vita pubblica. Non so in base a quale calcolo delirante ne farei parte, ma per quanto mi riguarda possono continuare a definirmi come vogliono".

Traslare con l'aiuto di Francesco Piccolo e di Francesco Bruni il Connecticut di Amidon in un'indefinita terra del profitto simile alle mille Lombardie del nostro Nord non gli è servito a evitare gli anatemi. Libero come di consueto ha lavorato di ellissi.

Occhiello in prima pagina: "Presunti intellettuali". Titolo: "Soldi pubblici al film che insulta chi lavora". Duro editoriale di Belpietro. All'interno (ridondanti) delizie per tutti i palati. Pagina 2: "Settecentomila euro a Virzì per insultare chi lavora". Pagina tre: "Ci fanno la morale con i soldi nostri". Pagina 5, sotto l'indicazione per i meno accorti: "Ciak si mangia", il soave: "Ozpetek, Celestini e Pif, l'esercito dei mantenuti".

Virzì vorrebbe rimanere serio, si sforza: "Mi danno dell'intellettuale mantenuto, ma in verità, pur sentendomi un cinematografaro e tutt'al più un artistoide, devo dire che mi sbatto con alterne fortune da quando ho i calzoni corti e ho saputo dalla produzione senza emozionarmi particolarmente che avremmo fruito di un finanziamento pubblico che, come sa chiunque non faccia propaganda, deve essere restituito e può rivelarsi persino un affare per lo Stato che anticipa parte dei soldi".

Detto questo, nell'eterna rivisitazione dei panni sporchi da lavare in famiglia, delle comunità che prendono cappello in presenza di uno specchio e del cinema cattivo maestro, Virzì ha una certezza: "Stiamo parlando di persone che non hanno visto il film e in definitiva, di nulla. Cercavo un posto che restituisse una bellezza inquietante, l'ho trovato, ho girato. Como non è davvero Como, la Brianza ovviamente non è la Brianza e il campanile in questa pseudo tavola rotonda non c'entra niente. Ho preso ispirazione dal luogo, nulla di più, come del resto mi è capitato di fare spesso proprio nel posto in cui sono cresciuto, Livorno".

Non risulta che gli abitanti dell'Ovosodo e della Corea abbiano mai protestato per come Virzì raccontasse con gusto per l'eccesso i talenti di certi abitanti dei due quartieri. "I personaggi assolutamente irragionevoli" della sua provincia.

I Furio Brondi poi finiti "in comunità a intrecciare cesti di giunco" che nell'età ribalda si divertivano a staccare con i denti la testa alle lucertole e poi taglieggiavano "i bimbetti" nel cortile costringendoli a tradire il patto filiale: "Come sono le vostre mamme?", "Troie". O i Silvano Ciriello "chiamato Wyoming per una sua particolare abilità". Ripetere ruttando il nome del meno popoloso tra tutti gli States, senza dimenticare di annoverare nell'arte già descritta da Omero anche "Aurelia, aiuola, aureola e Palaia che era il paese della sù mamma".

Virzì ammette che per Livorno ha usato termini "sanguinosi", ma a più di mezzo secolo da Il vedovo e dalla sua fotografia della società infestata da piccoli arrivisti e industriali lombardi travestiti da squali con villa in Brianza, aereo personale e panfilo, probabilmente non si aspettava un'aggressione da commedia all'italiana. Una diatriba "buffa e scomposta" che come già in occasione di Draquila di Sabina Guzzanti (all'epoca del capolavoro si occupò Sandro Bondi) offre al più credibile erede di Monicelli e Risi un tuffo involontario nel paradosso, un trampolino di luce gratuita sull'opera e un alterco da cui trarre prossima ispirazione.

In un domani di reciproca comprensione Virzì crede il giusto: "A Belpietro vorrei dire: ‘Ti prego, fatti avanti, proponi una riforma culturale credibile e luminosa per il futuro e ti verremo incontro a braccia aperte'. Invece il livello della riflessione proposto da Libero è desolante, trionfa la demagogia e al bar sotto casa mia, con tutto il rispetto per baristi e avventori altrimenti si offendono anche loro, si vola molto, ma molto più in alto".

 

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