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LA VENEZIA DEI GIUSTI - “LUBO”, ULTIMO FILM ITALIANO IN CONCORSO, PARLA DEL DRAMMA DELLE FAMIGLIE JENISCH IN SVIZZERA DURANTE LA GUERRA. GIROVAGHI, ARTISTI DI STRADA, CHE, IN PIENO NAZISMO, IL GOVERNO SVIZZERO HA MASSACRATO QUASI SCIENTIFICAMENTE. STRAPPANDO QUALCOSA COME 300 BAMBINI AI GENITORI, CON LA SCUSA DELLA COSCRIZIONE MILITARE DEI MASCHI – UN MAGGIOR CONTROLLO DELLA NARRAZIONE AVREBBE AIUTATO IL FILM A DIVENTARE QUALCOSA DI INTERESSANTE ALMENO QUANTO LA STORIA… – VIDEO

Marco Giusti per Dagospia

 

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Poco e nulla sappiamo del dramma delle famiglie jenisch in Svizzera durante la guerra. Famiglie di girovaghi, artisti da strada, che, in pieno nazismo, il governo svizzero ha massacrato quasi scientificamente. Strappando qualcosa come 300 bambini ai veri genitori, divisi con la scusa della coscrizione militare dei maschi per proteggere i confini contro il pericolo nazista.

 

La storia di “Lubo”, ultimo film italiano in concorso, opera di tre ore diretto da Giorgio Diritti, che lo ha scritto assieme a Fredo Valla e Tania Pedroni, tratto dal romanzo “Il seminatore” di Mario Cavatore, è appunto quella di un padre girovago, Lubo Meyer, interpretato da Franz Rogowski, il nuovo James Dean del cinema europeo, che viene spedito militare contro la sua volontà e diviso dalla moglie e dai tre figli.

 

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Saprà ben presto che i bambini sono stati portati via, chissà dove, finiti nel progetto di recupero degli orfani chiamato “Kinder der Landstrasse”, e la moglie è morta cercando di opporsi alla polizia. Non gli resta che rompere con la parvenza di legalità del governo svizzero, tentare la fuga e cercarli. Lo farà, macchiandosi di un delitto efferato (siamo in guerra…) e prendendo l’identità di un commerciante ebreo austriaco pieno di gioielli di famiglie ebree. Si farà quasi una nuova vita, macchina e alberghi di lusso, una bella donna italiana, Valentina Bellé, senza mai perdere di vista il suo unico interesse, quello di recuperare la sua famiglia dispersa e ricostruire la sua identità di padre.

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Ma non sarà facile nascondersi per sempre e non adattarsi a fare la vita di un altro. Grande storia che in pochi, penso, conoscessero, offre a Diritti e a Rogowski l’occasione di costruire un ritratto spettacolare di un personaggio da grande romanzo storico ossessivo, violento e romantico alla Joseph Roth, pieno di ombre, misteri, ma anche di luci improvvise. In gran parte il film funziona, almeno rispetto al tipo di cinema minuzioso, preciso, ma quasi amatoriale, scarno e sentito di Diritti.

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Ma arrivati alla terza ora, ci accorgiamo che. non tutto gira a dovere, molti attori sembrano improvvisati e la storia purtroppo perde il mordente che avrebbe dovuto avere. Un maggior controllo della narrazione avrebbe aiutato il film a diventare qualcosa di interessante almeno quanto la storia di questo padre disperato alla ricerca dei suoi figli in un’Europa impazzita

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dove nessuno è davvero innocente.   

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