ARMAGEDDON A 5 STELLE – CONTE NON CONTA E IL M5S E’ SPACCATO TRA BARRICADERI OLTRANZISTI (TAVERNA, RICCIARDI E TURCO) E GOVERNISTI (BUFFAGNI, D’INCÀ, DADONE, PERFINO FRACCARO, FINO A IERI CONTIANO DI FERRO) - OLTRE 50 PRONTI A VOTARE LA FIDUCIA A DRAGHI. NEL GRUPPO ALLA CAMERA IN MOLTI VOGLIONO RICUCIRE LO STRAPPO CON IL PREMIER. MA I VICE DI CONTE E E LA MAGGIORANZA DEI SENATORI LI ATTACCANO - INTANTO CONTINUA L’ASSORDANTE SILENZIO DI BEPPE GRILLO...
Emanuele Buzzi per corriere.it
Una lotta senza esclusione di colpi, quasi da wrestling: la Royal Rumble stellata sbarca in assemblea tra i gruppi parlamentari. Il Movimento è sempre più spaccato tra governisti e falchi, una divisione plastica che si rispecchia nei due rami del Parlamento e che investe anche e soprattutto Giuseppe Conte. I governisti cercano per tutta la giornata un passo di lato per allontanare lo spettro della crisi. Invocano un ritorno ai temi politici per evitare uno strappo. L’ala dei falchi, capeggiata da Paola Taverna e Mario Turco, preme in direzione opposta, spalleggiata da ambienti vicini al leader. Il braccio di ferro è a tutto campo. Il consiglio nazionale convocato di mattina dura 5 ore: una trentina gli interventi.
GIUSEPPE CONTE E LA DEPOSIZIONE DI DRAGHI - BY EDOARDO BARALDI
Alla fine, come da pressing governista, Conte torna a mettere al centro del dibattito (e della crisi) i 9 punti d’agenda politica proposti dai 5 Stelle al premier, sostiene che il partito in caso di ascolto sosterrà l’esecutivo. Lo strappo, che fino a giovedì sembrava l’unica soluzione per i falchi, è rimandato. C’è chi nel Movimento non esclude nemmeno un passaggio istituzionale per rimarcare l’appoggio M5S al governo: ipotesi per ora solo evocata.
La partita è complessa e si gioca su più tavoli. L’ala governista, che annovera tra le sue fila il capogruppo alla Camera Davide Crippa e big come Stefano Buffagni e Alfonso Bonafede, chiede di rimettere al centro della scena «i temi politici». I falchi, guidati dai vice di Conte, devono far buon viso a cattiva sorte, ma spiegano che le parole del leader durante la diretta Facebook sono da intendersi come una richiesta inderogabile. Insomma, un muro contro muro anche nelle interpretazioni.
mario turco giuseppe conte paola taverna
Mentre la riunione è in corso si susseguono le schermaglie. Prima si parla di un voto imminente su Skyvote (che aiuterebbe i falchi). L’ipotesi viene smentita e i sospetti sull’operazione — racconta l’Adnkronos — cadono subito su Vito Crimi. «Nessuno ha attivato nulla — si difende il senatore —. Skyvote è sempre attivo: se tra un minuto Conte mi dice “Possiamo votare”, io “switcho” un interruttore e votiamo». Poi è la volta del ministro Federico D’Incà, contrario allo strappo, che interviene per ricordare i provvedimenti «in sospeso» che salterebbero con la crisi.
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Lo scontro interno, in un clima da guerriglia, si sposta sulla riunione dei deputati in programma nel pomeriggio. I falchi temono una «rivolta» del gruppo della Camera. La maggioranza M5S a Montecitorio è a favore della fiducia al governo (e oltre una quarantina di deputati e una decina di senatori potrebbero votarla a prescindere). Sono numeri opposti rispetto al Senato, dove i barricaderi prevalgono. Ecco perché la riunione viene rinviata in serata e trasformata in «congiunta» dei due gruppi. Conte parla prima. «Non tiriamo Draghi per la giacchetta», spiega il leader ma «il M5S c’è se otterrà risposte alle sue richieste. Senza risposte chiare è evidente che il M5S non continuerà a condividere la responsabilità di governo». Le parole vengono lette in modo diametralmente opposto dai due schieramenti interni.
L’assemblea che ne segue diventa un ring. La deputata Soave Alemanno annuncia che darà la fiducia a Draghi «senza alcun dubbio». Come lei anche Rosalba Cimino. «Chi guida il partito ha fatto una scelta incosciente non votando il dl Aiuti», attacca Niccolò Invidia. «Dobbiamo dare risposte alle persone, altro che destabilizzare e mandarci al voto», dice la deputata Vita Martinciglio. «Se non ci danno risposte, inutile starci. Se arrivano entro mercoledì si può restare, ma Draghi non è il salvatore della patria e possiamo andar via», controbatte la deputata Angela Masi. Ma sono soprattutto i senatori a evocare lo strappo. «Se Draghi non ci risponde, andiamo a votare», dice Gianluca Ferrara. «Noi vogliamo tutelare i cittadini, non Draghi», fa eco Stanislao Di Piazza. «La palla è in mano al presidente del Consiglio, ora dobbiamo aspettare che arrivino le risposte», rimarca Alberto Airola. Il match rischia di polverizzare ciò che rimane del Movimento