DALLA LEGGE SEVERINO AL MANCATO CONDONO TOMBALE: TUTTI GLI ERRORI STRATEGICI CHE HANNO FREGATO IL BANANA

1 - I TANTI ULTIMATUM E LE TROPPE SMENTITE
Ugo Magri per "La Stampa"

È sorprendente come Berlusconi, da molti reputato un grande comunicatore, sia caduto facile preda della nevrosi informativa. Sostiene di non aver mai lanciato ultimatum incendiari tipo: «Se il Pd mi voterà contro, farò cadere il governo». E voci ragionevoli intorno a lui segnalano che, in effetti, il Cavaliere l'altra sera era stato più vago, minacciando ritorsioni nel caso in cui «mi impedissero di continuare a far politica», vincolo ben più grave della semplice decadenza da senatore su cui si pronuncerà la Giunta di Palazzo Madama...

Ma pure prendendo per buona questa versione, viene da chiedersi che bisogno avesse l'ex-premier di collegarsi via telefono con un manipolo di fan particolarmente assatanati (l'Esercito di Silvio), oltretutto delegando a loro la sintesi giornalistica delle sue parole, salvo stupirsi l'indomani per essere stato equivocato. E non è la prima volta.

Sette giorni fa, Berlusconi aveva alzato la tensione alle stelle con uno sfogo domestico puntualmente riferito dai giornali: come se in tanti anni non avesse ancora imparato che ad Arcore perfino i muri hanno orecchie, e dei suoi fedelissimi non si può fidare. Per cui, se davvero tiene alla salute del governo e della Repubblica, in questa fase forse Berlusconi farebbe bene a rileggersi l'aureo volumetto dell'abate Dinouart, intitolato «L'arte di tacere». Seguendo quei consigli, nessuno lo fraintenderà.


2 - DAL CONDONO ALLA SEVERINO GLI AUTOGOL DEL CAVALIERE
Ugo Magri per "La Stampa"

Una debolezza degli argomenti berlusconiani, che i suoi consiglieri non sono riusciti a neutralizzare, riguarda la genesi della legge Severino: cioè il via libera che il Pdl diede proprio alle norme di cui ora mette in dubbio la legittimità costituzionale, pure avvalendosi di autorevoli pareri «pro veritate».

Dal punto di vista del Cavaliere, fu un clamoroso «autogol». Talmente maldestro, da giustificare l'interrogativo: quando fu varata la riforma, i «berluscones» si rendevano conto del guaio in cui stavano cacciando l'amato leader? Fu semplice sbadataggine, o qualcuno lo fece apposta per affrettare la successione?

Già un anno fa era ben chiaro che la prima vittima delle norme anticorruzione sarebbe stato proprio Silvio, sul quale pendevano processi e condanne. L'avvocato Ghedini ne era così consapevole, che il 7 dicembre si precipitò dall'allora premier Monti per protestare contro il decreto attuativo della legge, dove non si faceva menzione dell'irretroattività o di altri marchingegni in grado di salvare Berlusconi dalla decadenza.

Fu un colloquio, a quanto risulta, parecchio animato. Il Professore tenne duro, e l'indomani il Cavaliere per ritorsione fece cadere il governo. Ma la crisi non impedì alle Commissioni di Senato e Camera, dove il centrodestra aveva la maggioranza, di dare semaforo verde al decreto attuativo. Ultima fu la Commissione bilancio di Palazzo Madama il 20 dicembre 2012. E per effetto di quel parere «non ostativo», il governo dimissionario mise il timbro finale alla riforma Severino.

Oggi nel Pdl è il momento delle recriminazioni nonché dei sospetti. Sottovoce tutti, con il senno di poi, riconoscono che per il Cavaliere fu l'inizio della fine. L'unico voto contrario alla legge 190/2012 venne dal deputato D'Alessandro, gli altri senza eccezione dissero sì. Qualcuno perché inconsapevole. Altri per sicumera.

L'Italia era già in campagna elettorale, e dunque gli strateghi berlusconiani non volevano far credere che il Capo avesse qualcosa da temere. Scelsero di correre il rischio, oggi ne pagano le conseguenze. Ma nella lite senza fine tra i «falchi» e le «colombe» pure quella vicenda viene rivissuta in chiave di lotta interna. E, inutile dire, la colpa viene scaricata su chi rassicurava Silvio che non doveva preoccuparsi, una soluzione giudiziaria sarebbe stata trovata...

Ma di «boomerang», a onor del vero, se ne contano parecchi altri. Per esempio, resta quasi inspiegabile come mai Berlusconi non volle usufruire della chance che gli era stata offerta nel 2002 dal condono tombale di Tremonti. Pagando 30 milioni di multa all'erario, Mediaset si sarebbe messa in regola, e l'ideatore delle frodi fiscali (secondo la sentenza della Cassazione) non sarebbe stato più perseguito.

Anche qui c'è un mistero, perché la questione venne a suo tempo sollevata riservatamente per iscritto dai legali berlusconiani, senza successo tuttavia. Un ex ministro molto autorevole sostiene che il Cavaliere non volle scucire la penale, un po' per tirchiaggine e un altro po' convinto di stare nel giusto. Mai calcolo fu più sbagliato.

L'elenco delle leggi «contra personam» targate Pdl, e non Pd, comprende l'aumento delle pene per la prostituzione minorile, iniziativa meritoria assunta nel 2008 dal ministro Carfagna. Berlusconi chiaramente mai avrebbe immaginato che le sue «feste eleganti» sarebbero finite nel mirino dei pm. Eppure, già allora, tra i consiglieri giuridici più avveduti qualcuno l'aveva messo in guardia, «occhio alle conseguenze». Silvio, sorridendo, alzò le spalle.

 

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