MA DAVVERO DOBBIAMO CREDERE CHE LA CAPA DELLA CIA FOSSE A ROMA PER PARLARE DELLA VISITA DI MATTARELLA A WASHINGTON? QUESTO È STATO FATTO ''TRAPELARE'' DALLA GITA DI GINA HASPEL A PIAZZA DANTE, DOVE HA INCONTRATO I VERTICI DEI NOSTRI SERVIZI - OVVIAMENTE NON È NELLE COMPETENZE DELLE SPIE, CHE COME IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA E QUELLO DEGLI ESTERI ERA A ROMA PER PARLARE DEL RUSSIAGATE, MA ANCHE DEL 5G E DEGLI F35. TUTTI TEMI CHE STANNO LASCIANDO SCONTENTI GLI AMERICANI…
Gabriele Carrer per https://www.diplomaticamente.it/
Ieri Gina Haspel ha incontrato i vertici dei servizi segreti italiani. E no, non possono aver parlato della visita di Mattarella negli Usa (come è stato fatto trapelare), visto che su queste cose la Cia non ha competenza.
Davvero qualcuno si beve la storia che il vertice definito «di cortesia» di ieri mattina, 9 ottobre, tra gli 007 italiani e quelli americani fosse organizzato da oltre due mesi per preparare la visita della prossima settimana negli Stati Uniti del presidente della Repubblica Sergio Mattarella? Qui, a Diplomaticamente.it, no.
mike pompeo gina haspel donald trump
Partiamo dai fatti. Il direttore della Cia, Gina Haspel, è stata ieri alla sede dell’intelligence in piazza Dante, a Roma, dove ha incontrato i direttori di Dis, Aisi e Siae, cioè Gennaro Vecchione, Mario Parente e Luciano Carta. Ieri l’Adnkronos scriveva: «”Non si è toccato il tema del Russiagate ma altre questioni programmate da tempo”, fanno sapere fonti bene informate, compresa la prossima visita negli Stati Uniti del presidente della Repubblica».
Non si è parlato di Russiagate ma di svariati temi tra cui il viaggio di Mattarella? Uhm, noi non ci crediamo molto. Sarebbe strano, infatti, che fosse la Cia a occuparsi di quel dossier. Quella con sede a Langley, in Virginia, è infatti l’agenzia di servizi segreti per l’estero. Compiti come l’organizzazione delle visite di capi di Stato e di governo stranieri sono propri dell’Fbi, al massimo del Secret Service.
Ma diffidiamo anche per un’altra ragione. Gina Haspel, prima donna a capo della Cia, si muove nell’ombra del segretario di Stato Mike Pompeo, da poco passato per lo Stivale desideroso di far chiarezza sullo Spygate e sull’eventuale ruolo dell’Italia nel presunto complotto ai danni di Donald Trump del 2016. Il segretario di Stato, che ha lasciato Roma piuttosto deluso e con ben poco materiale su quanto accadde durante le elezioni presidenziali di tre anni fa, è secondo The Intercept «lo zar dell’intelligence trumpiana».
giuseppe conte gennaro vecchione
Il portale di Glenn Greenwald scriveva poche settimane fa: «Il direttore della Cia, Gina Haspel, sembra aver accettato il fatto che Pompeo continui a contribuire a definire l’agenda dell’intelligence nell’amministrazione Trump dal dipartimento di Stato, affermano alcuni funzionari».
Prima William Barr, poi Pompeo, infine Haspel. In un mese e mezzo sono passati da Roma il numero uno della Giustizia, quello degli Esteri e quello della Cia. Sarà un caso? Che cosa abbiano ottenuto dalla nostra intelligence non lo sappiamo ma da Washington trapela insoddisfazione e insofferenza. Il governo italiano non dà risposte sul professore maltese Joseph Mifsud, quello che secondo George Papadopoulos era «un operativo italiano gestito dalla Cia». La Cia vuole sapere dove sia, ma nessuno lo sa. Neppure Stephan Roh, l’avvocato del professore: «Non so dove sia, l’ultima volta che ho avuto sue notizie fu la scorsa primavera, attraverso una terza persona», ha spiegato all’Adnkronos.
Mattarella atteso a Washington
Ma le recenti visite in Italia di uomini di punta dell’amministrazione Trump si intrecciano con l’imminente partenza di Mattarella per gli Stati Uniti. I fronti aperti tra Roma e Washington sono quelli che conosciamo tutti: il 5G e l’apertura italiana alla Nuova via della seta, le questioni giudiziarie sullo Spygate sbarcate nella capitale la scorsa settimana assieme a Pompeo e il dossier iraniano. Il tutto si può racchiudere in una domanda: quanto è atlantista il governo giallorosso? Che lo sia di più o di meno del precedente esecutivo importa poco perché, come spiega una fonte diplomatica statunitense a Diplomaticamente.it, «negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno perso ogni certezza sull’Italia». L’endorsement del presidente Donald Trump a «Giuseppi» è servito solo a facilitare le comunicazioni tra il procuratore generale a stelle e strisce William Barr e i servizi segreti italiani.
La Casa Bianca, ben sapendo di esercitare un certo fascino sul premier Giuseppe Conte, aveva cercato di riportare l’Italia su binari più atlantisti dopo il difficile passaggio negli Stati Uniti dell’allora vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini. Una visita che non aveva soddisfatto il segretario Pompeo, deluso dall’Italia gialloverde soprattutto nelle questioni Iran e Cina.
Ma neppure il governo di «Giuseppi» ha convinto Washington. Dopo aver avvertito il Vaticano (gran sostenitore del governo giallorosso e delle apertura alla Cina – leggasi segretario di Stato Pietro Parolin), l’ex capo della Cia ha lasciato Roma preoccupato. Le nostre fonti ce lo restituiscono scettico sulle rassicurazioni in materia di 5G e innervosito dalle sbandate del premier e della sua maggioranza sull’acquisto degli F35.
La maggioranza inaffidabile
Il Movimento 5 stelle litiga, il Partito democratico (quello che accusava Salvini di russofilia e si strappava le vesti per il perduto atlantismo ai tempi del Conte I) si tiene alla larga da tutti questi dossier. Vuoi perché ancorato all’ex amministrazione statunitense, quella di Barack Obama. O forse perché dopo aver aperto la Nuova via della seta ora sarebbe piuttosto ipocrita (a meno che non ti chiami Ivan Scalfarotto) battersi il petto contro le politiche di Pechino. O, ancora, perché è meglio non esporsi su materie che vedono il partito spaccato al suo interno non tanto diversamente dagli alleati di governo.
Se a ciò aggiungiamo le vicende russe della Lega ancora da chiarire e le difficoltà di Forza Italia, agli Stati Uniti non sembrano rimanere interlocutori a Roma. L’amministrazione Trump si è spesso affidata all’ex ambasciatore italiano a Washington, Giovanni Castellaneta. Ma ora non basta più l’intermediazione tra i due Paesi, servono risposte. E Trump le vuole tra una settimana, alla Casa Bianca, dove riceverà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, reduce da un incontro con Pompeo definito «positivo» dalla nostra fonte.
La cena alla Casa Bianca
Alla cena in onore di Mattarella parteciperanno uomini d’affari e dirigenti attivi tra Italia e Stati Uniti, in prima linea i manager dell’aerospazio presenti al banchetto di Villa Taverna con il segretario Pompeo. L’amministrazione Trump vuole rassicurazioni sul 5G e sugli F35. Ma il presidente Mattarella, raccontano fonti quirinalizie, è più preoccupato dal rischio di perdere posti di lavoro nello stabilimento di Leonardo a Cameri nel Novarese che dal ruolo cinese nelle infrastrutture del futuro.
Nell’ultima settimana il Quirinale ha tuonato contro i dazi (pur evocando uno spirito «euroatlantico» sinonimo di una certa apertura agli Usa) ma non contro l’operato di Conte sugli 007 e gli Usa nonostante abbia più volte invitato il premier a indicare un sottosegretario a cui assegnare le deleghe ai servizi segreti. Nonostante questo però, il Quirinale è ancora un interlocutore per Washington. Lo è in particolare grazie all’ambasciatore italiano negli Usa, Armando Varricchio (che sta organizzando una cena a Villa Firenze in onore del presidente il giorno dopo il banchetto alla Casa Bianca). L’ex consigliere diplomatico di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, che fu aspramente criticato dalla Lega e poco digerito da una fetta importante dell’amministrazione Trump, chiuderà il suo mandato il prossimo anno e punta a rientrare a Roma, forte della tradizione che vede i diplomatici fare un mandato all’estero e uno in Farnesina. Il suo obiettivo è proprio il Quirinale anche se prima serve trovare un posto all’attuale consigliere diplomatico di Mattarella, Emanuela D’Alessandro.
In prima linea sul dossier F35 c’è Simone Guerrini, ex dirigente Finmeccanica già al fianco di Mattarella quando questi fu vicepremier e ministro della Difesa, oggi consigliere del presidente e direttore dell’ufficio di segreteria del Quirinale.
Conte, solitario y final?
A furia di promettere tutto a tutti, il premier Conte è finito nell’isolamento. Si fida solo più di Rocco Casalino e, forse, anche del capo dei servizi segreti Gennaro Vecchione, amico di famiglia. O forse lo sta semplicemente difendendo da tutti gli attacchi per poi renderne più «caro» il sacrificio e garantire a sé stesso una via d’uscita. Trump ragiona con il do ut des e per questo è rimasto piuttosto deluso da Palazzo Chigi. Com’è rimasto deluso Mattarella, a cui tocca ricucire con gli Stati Uniti e con il presidente, uno che, come dimostrano le telefonate con i leader mondiali, va molto diretto con le domande.