
1. AH, CHE POESIA! “ECCO UN BAMBINO DI SETTE ANNI SULLO SCRANNO PIÙ ALTO DEL CAMPIDOGLIO. GIOCA COME SE FOSSE A CASA SUA, CON IL MICROFONO E IL TOUCH SCREEN DELLA POSTAZIONE, MENTRE LA MAMMA, CON LA FASCIA TRICOLORE, GLI ACCAREZZA LA TESTA” 2. E SAREBBE QUESTO L’”AVVIO DI UNA NUOVA ERA”, COME LA DEFINISCE LA "BAMBOLINA IMBAMBOLATA"? UNA SCENEGGIATA ABILMENTE STUDIATA, PIÙ FALSA DEI CAPELLI DI CONTE
1. IL FIGLIO PORTATO SULLO SCRANNO E IL DIRETTORIO AL POSTO D’ONORE LA PRIMA SEDUTA È UNO SHOW
Alessandra Longo per “la Repubblica”
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Ecco un bambino di sette anni sullo scranno più alto del Campidoglio. Gioca come se fosse a casa sua, con il microfono e il touch screen della postazione, mentre la mamma, con la fascia tricolore, gli accarezza la testa. Se c’è un’immagine che certifica il cambio della guardia politico, l’«avvio di una nuova era», come la definisce Virginia Raggi, è proprio questa: Matteo l’innocente siede al posto che fu di Gianni Alemanno, sindaco salutato a braccia tese, e di Ignazio Marino, ultimo, incerto protagonista della stagione Pd, che sarà ricordato anche per un’imbarazzante vicenda di conti al ristorante. Un bambino per il rito di «purificazione », per ricominciare dopo le macerie.
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Scena di freschezza, scena abilmente studiata, poco importa. Nella bolgia infernale dell’aula Giulio Cesare, affollata di parenti dei consiglieri Cinque Stelle, di cittadini accaldati e militarizzati e cronisti non graditi, Matteo fa ciao con la manina alla mamma che scende dal suo trono e lo viene a prendere. Delizia per cineoperatori anche quando il piccolo pretenderà, più tardi, in piena votazione dei vicepresidenti (tra l’altro ripetuta per una goffa svista sulle schede) un gelato alla buvette.
Virginia Raggi, pantalone e maglietta neri, portafoglio in mano, paga il cornetto del figlio. Il monitor sopra la cassa inquadra l’aula: «Mamma il tuo posto è quello! ». Sì, la mamma, votata dalle periferie, si è presa la città ma non sarà mai sola a gestirla. Lo si intuisce dall’inedito parterre de roi che si è insediato al centro dell’aula, tra i due emicicli.
Ecco il direttorio nazionale e il comitato romano, ecco i colleghi che non la perderanno mai di vista: Carlo Sibilia, Alessandro Di Battista, Paola Taverna, Carla Ruocco, Roberto Fico, Roberta Lombardi, Massimo Castaldo, Gianluca Perilli... Loro la marcheranno stretta, ci puoi giurare. Dall’angolo in alto a destra, Giorgia Meloni, agita un po’ nervosa il ventaglio: «Sento vaga aria di commissariamento».
C’è Alfio Marchini, perfettamente pettinato, sui banchi deserti della destra che non c’è più. Di fronte, a sinistra, si sono insediati i 29 consiglieri grillini. Quel che resta del Pd e degli altri compagni è relegato in un angoletto. Roberto Giachetti, il grande sconfitto, fa gesto elegante e va a salutare sindaca e giunta. Stefano Fassina, visto dalla platea, è un puntino fermo e composto. In esordio, un minuto di silenzio per Beau, il ragazzo americano ucciso a Roma. E gli italiani morti a Dacca? Rendiamo omaggio anche a loro!, tuona la destra. Prima schermaglia.
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VITTORIA LA FIGLIA DI LICIA RONZULLI ALL EUROPARLAMENTO
Matteo segue la seduta con il padre Andrea Severini. «Poraccio! - sussurra un militante - era attivista dei Cinque Stelle ben prima di Virginia». La vita è così: ora lei ha la fascia tricolore e lui, separato, sopporta i flash con stoica rassegnazione: «È una giornata speciale per tutti». Più in là ,un posto al sole anche per l’amico dei consumatori, Rosario Trefiletti e per Elio Lannutti, presidente Abusdef: «Sono amico di Beppe Grillo dal ‘93. Diamo una mano a questi ragazzi perché non sbaglino».
VITTORIA LA FIGLIA DI LICIA RONZULLI ALL EUROPARLAMENTO
Amministrare Roma: da brivido. Nel discorso del giuramento, la sindaca sceglie testimonial irraggiungibili come Petroselli e Argan. «Virginia è donna e deve dimostrare che una donna può fare bene, anzi meglio», dice Lorenzo Raggi, in prima fila con la moglie. Padre orgoglioso: «Mia figlia deve governare con onestà e fare da volano al Movimento. Se lei e la Appendino falliscono l’obiettivo fallisce il Movimento».
Il clima è di festa, con una punta velenosa di fastidio, che serpeggia tra militanti e cittadini. Ce l’hanno con «il mondo di prima », quello che ha fatto di tutto, a loro dire, per ritardare il successo elettorale. Ce l’hanno anche con i giornalisti, prima confinati in un recinto poi tollerati alla cerimonia. «Lei è del Corriere? Che vomito! Lei è di Repubblica? Si licenzi e cominci a pensare da donna libera!».
Ora sono loro i vincenti. E frotte di neoavvocati pare si affrettino a mandare i curricula allo studio Sammarco dove lavorava Virginia: «Forse pensano che poi diventeranno tutti sindaco», ride Pieremilio Sammarco, anche lui in aula. La cerimonia è lunga ma il pubblico si è preparato il finale. Tutti in coro, convinti di avere il copyright, scandiscono la parola magica: «Onestà».
2. TRA TIFOSI, RABBIE E RIVINCITE LA SINDACA MAMMA PROVA A TRASMETTERE NORMALITA’
Goffredo Buccini per il “Corriere della Sera”
La manina si leva dalla seconda fila, zona famiglie. Prima timida, poi più decisa, a fare «ciao, ciao!», «guardami, mamma, sono qui!».
Dallo scranno di sindaco di Roma in procinto di giurare, Virginia fa finta di nulla. Per un po'. Poi risponde ai cenni, mentre il buon De Vito, legnoso neopresidente dell' assemblea, prova ad andare avanti coi lavori. «Ciao, ciao, Matteo, mamma ti ha visto!».
Se la Raggi o i... diabolici comunicatori della Casaleggio Associati cercavano un palese segno di discontinuità, beh, il segno si materializza alle quattro e venti di questo pomeriggio torrido e persino storico, in un' aula Giulio Cesare che pare la curva d' una partita della nazionale per quanto è piena di tifosi e passioni, ruggiti («onestà, onestà!») e rabbie e rivincite anche ingenue covate dai «cittadini» per una stagione o per una vita, chissà.
Là dove, otto anni fa, i postfascisti di Alemanno salirono col braccio teso nel saluto romano (« 'amo pijato er Palazzo d' Inverno! »), mamma Virginia si insedia col braccino levato d' un soldo di cacio dai capelli neri a spazzola che proprio non sta nella pelle e sulla sedia, accanto al papà Andrea e dietro ai nonni materni.
Là dove lo svizzero-marziano Marino rilevò nientemeno che «segni di cicche sul parquet dell' aula», lei si fa sgualcire fascia tricolore e mise scura da cerimonia dal pargolo indemoniato che le s' arrampica sino alla cintola, fino a farsi portare su, in braccio, tra consiglieri e neoassessori e parlamentari pentastellati (file vip per loro, non troppo da «uno vale uno»), su e più su, fino allo scranno magico, quello che fu di Petroselli e Argan (debitamente citati da mamma Virginia), Rutelli e Veltroni, e - ahinoi - Alemanno e Marino, appunto, i due disastri capitali che stiamo scontando con la carica dei 29 (ventinove!) consiglieri Cinque Stelle. Lì, sullo scranno ormai suo, Matteo s' acquieta, pigiando pulsanti, salutando De Vito: rimane dieci minuti lì, mentre si vota.
«Siamo cittadini, e cittadini dobbiamo restare», dirà poi la mamma. E un tale uso delle famiglie, spinto oltre cerimoniali e convenzioni, proprio questo deve comunicare, comunità rinata, normalità ritrovata.
Tutto il contrario di ciò che pare pensare Enrico Stefano, neoescluso dalla giunta (ma le poltrone non contano, naturalmente), quando ci spiega che «è una giornata particolare» (chissà quanto consapevole della scivolosa citazione), mentre i solerti guardiani dell' ufficio stampa danno la caccia ai giornalisti, che vorrebbero fuori dall' aula Giulio Cesare e dal contatto con l' umanità grillina: errore grave, corretto poi dal caldo che tutto sbraca e dal clima festaiolo (eppure segno d' una allergia che per qualche militante si traduce in insulti: «Il tuo giornale fa vomitare...»).
È il dark side del grillismo che però oggi viene ampiamente sconfitto e illuminato dalla carica di mamme, zie, fratelli, mariti di 29 romani che raccontano tre o quattro generazioni di speranze e illusioni sull' Italia (la consigliera grillina più anziana è stata «angelo del fango» nell' alluvione di Firenze). Se è strategia, da romani siamo contenti: Virginia ha fiuto. Se è fortuna, idem: ché quella serve sempre.
Così ci godiamo la mamma di Alessandra Agnello, prof che si descrive scampata al '68 («mio marito mi disse che al liceo Giulio Cesare m' ammazzavano, andai ad insegnare alle medie») e giura di avere trasmesso alla figliola avvocatessa delle Poste il «seme della giustizia». Ci lasciamo avviluppare da Marco, marito di Alessandra e teorico della decrescita felice, alle Poste pure lui, «ma in part-time, così vado in bicicletta. Il pane me lo faccio da solo a casa, non abbiamo bisogno di tante cose ».
Grillo aveva conquistato prima lui, «Ale però è quella brava».
Molti mariti qui hanno aperto la strada per essere poi sopravanzati dalle mogli. Proprio come Andrea Severini, il tormentato consorte di Virginia.
Davanti a lui, Lorenzo Raggi, papà della sindaca (uno Spencer Tracy con la barba bianca) si svela «più emozionato per Matteo là sullo scranno di sindaco che per Virginia. Se lei e la Appendino cadono, cade tutto il Movimento».
Alla buvette Virginia arriva in una pausa con Matteo, nonno Lorenzo li filma, i cameramen filmano loro. Il piccolo guarda uno schermo acceso sull' aula e dice «mamma, quella è la tua poltrona!». Idee già chiare.
Dentro, Di Battista, come un primattore in astinenza da fan, anima tutti i capannelli, sempre dando le spalle al consiglio che intanto vota. Quando Matteo rientra, gli chiediamo quanti anni abbia. «Sei!», dice lui, fierissimo. Papà Andrea si sdegna: «Domande ai bambini, ma per favore!», come se ci fossimo incontrati per strada, come se al centro di questa giostra l' avessimo messo noi.
È quasi bispensiero. Ma citare Orwell, in un giorno così lieto, pare, se non altro, scortese.