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GRAN BRETAGNA, GRAN ROGNA - L’OPPOSIZIONE POPOLARE ALL’IMMIGRAZIONE, GIÀ MOLTO ALTA, CONTINUA AD AUMENTARE E CAMERON CERCA DI CAVALCARE L’ONDA POPULISTA - PER RESTARE VUOLE CONCESSIONI “SOSTANZIALI” DAI SUOI PARTNER DELL’UNIONE

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John Lloyd per “la Repubblica”

 

La Gran Bretagna è il ragazzo cattivo dell’Unione europea, e lo è fin da quando entrò a farne parte. Alla sua domanda di adesione, il presidente francese Charles de Gaulle pose il veto due volte, nel 1963 e nel 1967, arrivando a definire la Gran Bretagna «un’isola insignificante sperduta in mezzo al mare », che preferiva interessarsi più agli Stati Uniti che all’Europa. Alla fine, tuttavia, nel 1973 la Gran Bretagna è riuscita a farvi ingresso, e negli ultimi 42 anni ha esasperato i suoi partner dell’Ue chiedendo un trattamento speciale.

 

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Tra gli stati più grandi, è l’unico dell’Ue a non aderire agli Accordi di Schengen, l’unico a non avere l’euro, l’unico a non volere “più Europa”, bensì “meno Europa”. Alla fine del 2017 si esprimerà in un referendum pro o contro il proseguimento della sua adesione all’Ue: il primo ministro David Cameron raccomanderà di votare “Yes” a favore dell’Ue soltanto se riuscirà a negoziare e conquistare alcune concessioni “sostanziali” dai suoi partner dell’Unione. Tali concessioni saranno finalizzate a restituire più poteri a Westminster, e indeboliranno di conseguenza il potere dell’Unione.

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Nelle parole di Theresa May, ministro degli Interni, che ha scritto sul Sunday Times di ieri che le migrazioni interne dall’Unione alla Gran Bretagna sono ormai un problema insostenibile e devono essere notevolmente ridotte – si riflettono le opinioni e il comune sentire di quanti vogliono uscire dall’Ue.

 

Theresa May ha 58 anni ed è una donna ambiziosa, dura e intelligente, di gran lunga la politica più illustre del Gabinetto. Potrebbe diventare la candidata di punta della potente ala destra del suo partito, formato in maggior parte da euroscettici. Il suo editoriale di ieri è il tentativo di affrontare e risolvere un grande problema politico per il governo. E al contempo, è anche un segnale lanciato ai suoi colleghi affinché capiscano che lei è più inflessibile al riguardo dell’Unione, sia del primo ministro sia del Cancelliere.

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La settimana scorsa la notizia secondo cui l’anno scorso l’immigrazione netta nel Regno Unito è stata di 330mila unità – benché Cameron avesse promesso che non avrebbe superato le 100mila – ha imbarazzato il governo. Come ha fatto notare May, gran parte degli immigrati proviene dagli stati membri dell’Ue e ha dunque il diritto di circolare e lavorare liberamente nell’Unione. Ma, secondo May, l’accordo di libera circolazione prevede solo la libertà di accettare un posto di lavoro che sia stato già offerto (e non la possibilità di andare a cercarlo).

 

La Confindustria britannica ha però confutato le sue argomentazioni, affermando che negare l’ingresso ai migranti dall’Ue sottrarrebbe ai datori di lavoro il personale di cui ha bisogno. E farebbe chiudere varie fabbriche.

 

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Le esigenze del partito, tuttavia, scavalcano quelle dell’economia: l’opposizione popolare all’immigrazione, già molto alta, continua ad aumentare. Quando ha sollecitato i leader europei a «prendere in considerazione le conseguenze dell’immigrazione incontrollata sui salari, i posti di lavoro, la coesione sociale dei paesi-destinazioni finali; sulle economie e le società degli altri stati; e sulle vite e il welfare di quanti cercano di venire nel Regno Unito», Theresa May si è fatta portavoce dello zoccolo duro di quell’opposizione.

 

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Questa è l’occasione migliore per la leadership britannica di spuntare un accordo e modificare le regole dell’Ue, promuovendo quei cambiamenti che tutti i paesi ora stanno iniziando a prendere in considerazione, per esempio quelli che implicherebbero maggiori controlli alle frontiere e che reagirebbero anche alle preoccupazioni dell’estrema destra, sempre più popolare perché trae vantaggio dall’opposizione ai migranti.

 

La Gran Bretagna è il ragazzo cattivo dell’Ue da oltre quarant’anni, ma ora si presenta quasi come un caposcuola che chiede provvedimenti che gli altri paesi reputano impensabili, ma sui quali di fatto potrebbero essere costretti a pensare.

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(Traduzione di Anna Bissanti)

 

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