HILLARY ALLA RISCOSSA - DOPO I FUOCHI D’ARTIFICIO DI TRUMP, LA CLINTON LANCIA LA SUPERCONVENTION DEMOCRAT E SCEGLIE IL SUO VICE: IL SENATORE GESUITA TIM KAINE, EX GOVERNATORE DELLA VIRGINIA - UNA DECISIONE BENEDETTA DA BILL CHE RISCHIA DI ALIENARE A HILLARY LE SIMPATIE DEGLI ELETTORI PIU’ A SINISTRA
Vittorio Zucconi per “la Repubblica”
Un allievo devoto di Sant’Ignazio di Loyola, un cattolico cresciuto sotto l’ala della Compagnia di Gesù, è l’uomo che Hillary Clinton ha scelto come vice per difendersi dalla feroce inquisizione di Trump e dei Repubblicani che nella notte cantavano ebbri di odio: «Lock ‘ er up», mandatela in galera.
Tim Kaine, il cinquantottenne ex governatore della Virginia e senatore democratico in carica è l’uomo che Hillary avrebbe voluto annunciare ieri sera come compagno di équipe. Ma ha poi preferito rinviare di fronte alla tragedia di Monaco, come aveva fatto Trump per il suo vice Pence dopo la strage di Nizza.
Kaine incarna perfettamente tutta la forza e tutta la vulnerabilità della prima donna in corsa per la Casa Bianca in 240 anni di storia americana. È un politico di lungo corso, un uomo dal curriculum inattaccabile, levigato da missioni caritatevoli in America Centrale per conto dei Gesuiti e da due decenni di attività di partito, da quando, giovane avvocato delle cause perse e patrocinatore gratuito di condannati al patibolo che lui vorrebbe abolire, fu eletto nel consiglio comunale di Richmond, Virginia.
Figlio del Grande Nord, del Minnesota stato più gelido dell’Unione, cresciuto dal padre operaio di fonderia e dalla madre insegnante di “economia domestica”, Kaine è insieme un prodotto dell’establishment politico più establishment, del moderatismo democratico creato dal marito di Hillary, Bill, e un militante delle crociate contro la povertà, l’emarginazione, le armi e la xenofobia isolazionista così care al trumpismo.
obama e hillary clinton a charlotte in north carolina
Un uomo doppiamente abile nell’arte della dialettica e della contraddizione, affinata prima dai gesuiti e poi dalla facoltà di Giurisprudenza di Harvard, dove conseguì il titolo di Juris Doctor, di avvocato. Eletto in uno Stato come la Virginia, anch’esso perfettamente bipolare, democratico nel nord, sobborgo di Washington, repubblicano conservatore nel sud rurale.
Avere scelto lui invece di personaggi più a sinistra come la senatrice Elizabet Warren, una Bernie Sanders al femminile, o più sfacciatamente etnici come Julian Castro, l’ispanico sindaco di San Antonio, popolarissimo coi latinos, è una decisione chiaramente difensiva, un arroccamento della signora attorno alla propria forza di “scelta sicura” da contrapporre a quelle che da lunedì la convention democratica ci racconterà come le “Trump Follies”. Ma nell’avere chiamato al proprio fianco un campione del mandarinato politico, Hillary si espone alla principale delle accuse repubblicane, quella di essere la regina dello status quo, la garante di quel “sistema” che Trump, dipingendosi come il miliardario contestatore, e gli elettori giovani del Partito Democratico che avevano seguito Bernie Sanders, aborrono.
La scommessa dei Clinton, detti al plurale perché propio Bill è stato il fattore decisivo nella scelta di Tim Kaine, è che esista ancora una maggioranza di elettori e di iscritti alle liste democratiche, che non accettano il buio catastrofismo apocalittico di Trump, che respingono la tentazione del nativismo, dei muraglioni e del sacro egoismo come soluzione ai mali che affliggono l’America e che l’hanno esposta, dopo la sciagurata invasione dell’Iraq, alla crisi di immagine internazionale.
Con lui, Clinton alza le vele per navigare contro il vento prevalente, qui in Usa come in Europa, dell’antipolitica e della collera, dell’anti globalismo, del quale Kaine è stato fautore appoggiando i trattati di libero scambio contro la voglia di novità e di protezionismo che agita le democrazie occidentali, anche a costo di salti nel buio o di scivoloni autoritari.
La coppia Clinton-Kaine è dunque la sfida alla sfida, la risposta controintuitiva allo ”Zeitgeist”, allo spirito del tempo, quello che Trump ha cercato di cogliere facendo dimenticare, per rabbia, per odio, di essere lui stesso un fiore di quella cerchia di miliardari newyorkesi che dice di disprezzare. «Il miliardario operaio», leggevano i posteri, riecheggiando formule ben note agli italiani.
Hillary vuol dire all’America, anche in spagnolo, lingua che il missionario laico per i gesuiti Kaine imparò costruendo una scuola elementare in Honduras da studente, che lei sarà davvero il “terzo mandato” di Obama alla Casa Bianca, con diverso genere, come Bush il Vecchio fu di fatto il terzo mandato per Ronald Reagan. Perché l’America non è quel Terzo Mondo del west che Trump racconta.
E per questo, la convention democratica sarà l’opposto di quella appena conclusa nella Cleveland che finalmente può respirare. Quanto povera di interventi e di personalità politiche, dello spettacolo, della cultura, è stata Cleveland, avendo affidato l’incoronazione di Donald alla famiglia ovviamente entusiasta del papà e del marito che li ha fatti ricchi, tanto affollata di stelle sarà Philadelphia. Sfilerà il pantheon del partito che da otto anni controlla l’esecutivo, ma non il Parlamento, in un crescendo di stelle.
Brilleranno il vice Joe Biden, gli ex candidati Kerry e Bernie Sanders che avrà la propria ora di ovazioni polemiche, l’amatissima Elizabeth Warren, la “vera Clinton” che le elettrici giovani avrebbero voluto, forse il vecchio e fragile Jimmy Carter se le sue condizioni di salute dopo la riuscita terapia per il cancro al cervello glielo permetteranno, il futuro, possibile “first gentleman”, Billy Clinton, il presidente Barack Obama che farà scorrere lacrime di rimpianto, via via salendo fino a lei, alla candidata, a Hillary, che dovrà convincere gli indecisi, gli indipendenti, i sanderistas e i repubblicani inquieti di essere se stessa e insieme il suo contrario:
bernie sanders hillary clinton
l’agente di cambiamento epocale espresso nel suo essere femmina, e la garanzia di continuità, espressa nel suo essere una donna formidabile e spregiudicata, ma che vediamo ormai da quasi trent’anni, nuova e antica, fresca e stagionata, sul palco del potere. Un gomitolo di contraddizioni che solo un allievo Gesuita potrà aiutare a dipanare.