I RETRO-SCEMISTI DELLA SCOLA CANTORUM

Marco Travaglio per "il Fatto Quotidiano"

Come i sondaggisti e i politologi dopo la vittoria di Grillo alle elezioni, i vaticanisti e i papologi sono rimasti a bocca aperta dinanzi a papa Bergoglio, inopinatamente sfuggito ai loro radar. Chi l'avrebbe mai detto? In effetti ci voleva lo Spirito Santo per immaginare che il secondo classificato al penultimo conclave, subito dietro Ratzinger, fosse almeno papabile. Strano che chi passa il tempo a ripetere "chi entra papa in conclave ne esce cardinale" non ci abbia pensato.

Ma forse non è strano, visto che molti sedicenti esperti di Vaticano seguono la logica dei retroscenisti da buvette di Montecitorio: confondono le proprie speranze con la realtà. Solo così si spiegano i chilometri quadri di piombo dedicati dai nostri giornaloni al presunto favoritissimo Angelo Scola, tanto popolare tra i politici quanto impopolare fra i cardinali del resto del mondo, un po' perché è italiano e dunque da evitare dopo tutti gli scandali di Curia, un po' perché è Scola e dunque da evitare per i trascorsi nel clan Formigoni che produce un paio di arresti al giorno.

Mancava solo papa Celeste I. Eppure l'arcivescovo ciellino era il candidato ufficiale di Corriere e Repubblica, impegnatissimi nella gara di Scola Cantorum. Corriere: "Scola ha già 50 voti" (certo, come no), "Per Scola l'appoggio degli stranieri" (sì, buonanotte). Repubblica: "I favoriti restano 4, Scola e i 3 delle Americhe: il canadese Ouellet, Dolan o O'Malley degli Usa, il brasiliano Scherer, ma spunta il messicano Ortega" (spunta da dove? dal sombrero?). Repubblica: "Via agli scrutini, Scola parte da 40 voti. Caccia agli indecisi per chiudere la partita".

"Partita a due per il Conclave. Scola e il pacchetto dei 40". Sul Corriere l'intervistatore ufficiale Aldo Cazzullo dava consigli allo Spirito Santo: "La speranza (soprattutto sua, ndr) che si scelga un Papa italiano. Le possibilità dell'arcivescovo di Milano e il rapporto con Bagnasco" (che, fuori dalla cinta daziaria, è un discreto handicap).

E giù fiumi d'inchiostro tricolore sull'assoluta necessità di un papa biancorossoverde: "gioverebbe al prestigio e soprattutto all'autostima del nostro Paese", insomma "l'affacciarsi di un compatriota in piazza San Pietro rappresenterebbe un motivo di orgoglio e di riscatto per il nostro Paese". Guai a evocare gli scandali di Cl: sarebbe "un pregiudizio negativo". Senza contare che Scola si fa chiamare "don Angelo" e "chiama l'interlocutore per nome, si fa dare del tu dalle persone con cui ha consuetudine". E per Cazzullo sentirsi chiamare "Aldo" dal nuovo Papa non aveva prezzo.

Mirabile anche l'accenno a Scola "figlio di un camionista", ma anche misteriosamente "figlio di un operaio". Un cardinale con due padri? Una bizzarria unica al mondo, che assieme a tutto il resto dev'essergli stata fatale. Anche Repubblica, per non perdere pure il conclave dopo le elezioni, aveva sposato preventivamente Scola, col classico salto sul carro del vincitore (supposto).

Per la bisogna aveva dedicato un bel ritrattone di due pagine al "ragazzo del lago di Como che corre per diventare Papa", "si ammazza di lavoro", "riforniva Ratzinger di buon vino", "era primo della classe in latino e greco", aveva "una bella fidanzata che si fece suora" e - sì, è vero - "faceva lezioni di filosofia ed etica a Berlusconi, Dell'Utri e Confalonieri", ma "capitò una volta sola". Quante volte figliuolo? Una sola. Ah beh allora.

Per preparargli la dovuta accoglienza, Repubblica aveva addirittura strappato al Foglio, al Giornale e a Panorama il vaticanista turbociellino Paolo Rodari, che stazionava in permanenza in tutte le tv con le piaghe da decubito e salmodiava il mantra: "Il favorito è Scola".

Nessuna speranza invece per Bergoglio che, ridacchiava Rodari su Repubblica con l'aria di chi la sa lunga, "è candidato a racimolare qualche voto al primo scrutinio". Insomma uno sfigato. Profezia azzeccata. Anche lo Spirito Santo, nel suo grande, s'incazza.

 

 

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