IN GALERA O NO? - DOMANI CI SARÀ LA SENTENZA DEFINITIVA SUI 10 “BLACK BLOC” CONDANNATI PER GLI SCONTRI AL G8 DI GENOVA: RISCHIANO UNA MEDIA DI 10 ANNI A TESTA - MA LA CORTE DOVRÀ ANCHE DECIDERE SE MANDARE IN CARCERE I VERTICI DELLA POLIZIA. CON L’INDULTO, DEVONO SCONTARE SOLO POCHI MESI, CHE DI SOLITO SI TRASFORMANO IN SERVIZI SOCIALI - CHE SUCCEDE SE CI SARà UNA SANZIONE PESANTE PER 10 ‘CAPRI ESPIATORI’ DEGLI SPACCATORI DI VETRINE E UNA LIEVE PER I ‘CAPI ESPIATORI’ DEGLI SPACCATORI DI TESTE?…

1 - "G8, I POLIZIOTTI CONDANNATI VADANO IN CELLA"...
Carlo Bonini per "la Repubblica"

Undici anni per una tempesta giudiziaria "perfetta". Ieri, la Procura generale di Genova ha notificato ai poliziotti condannati per i fatti della Diaz l'ordine di esecuzione di 16 delle 17 pene detentive pronunciate il 5 luglio in Cassazione (per Canterini un errore materiale nel dispositivo della sentenza richiederà un'udienza camerale per la correzione necessaria a rendere esecutivi 3 anni e 3 mesi). Domani, venerdì 13, in una Cabala che vuole due sentenze definitive in una settimana, la "devastazione e saccheggio" di Genova.

Ancora una volta in Cassazione, di fronte a una diversa sezione (la sesta), ma ad uno stesso magistrato dell'accusa, Pietro Gaeta. Capovolti prospettiva e contesto. Ieri, l'infedeltà violenta di «uomini dello Stato». Ora, la violenza seriale, carica di odio, sulle cose e i luoghi della città che armò di mazze, spranghe, molotov, le mani di 8 uomini e 2 donne che, confusi nel "blocco nero", parteciparono a quei giorni di guerriglia.

Ballano 100 anni di reclusione. Comminati il 9 ottobre 2009 dalla corte di Appello di Genova che aumentò le condanne di primo grado (altri 13 imputati uscirono dal processo per prescrizione). E sarà un "dentro" o "fuori". In un destino capovolto e insieme riflesso, ieri, gli avvocati dei poliziotti condannati per la Diaz si sono messi al lavoro sulle istanze di "affidamento in prova ai servizi sociali" che, entro il prossimo mese durante il quale l'esecuzione sarà sospesa, saranno depositate al tribunale di sorveglianza di Genova per evitare il carcere.

Un passaggio che dovrebbe avere un esito scontato, se si sta agli irrisori residui di pena (tutti i condannati beneficiano di 3 anni di indulto): dai 12 mesi di Gratteri, agli 8 di Caldarozzi e degli altri funzionari, ai 3 di Canterini, ai 5 di Panzieri e Nucera. Ma che - se si raccolgono le parole dell'avvocato Marco Corini, difensore di Gratteri - così per scontato poi non viene dato. «Non vediamo le ragioni per cui l'affidamento in prova dovrebbe essere negato, visto che ne beneficiano condannati per reati gravissimi - osserva - ma visto come sono andate sin qui le cose, siamo psicologicamente attrezzati anche al carcere».

Anche perché, in qualche modo, la decisione del tribunale di Sorveglianza di Genova si dovrà misurare con l'esito della sentenza di Cassazione di domani. È certo infatti che se da quel giudizio usciranno confermate condanne a lunghe pene detentive, i giudici genovesi si troveranno di fronte a un'alternativa diabolica. Riconoscere senza condizionamenti e sfidando una parte della piazza quello che ai condannati della Diaz il diritto normalmente riconoscerebbe o, al contrario, avviarli al carcere per evitare che, agli occhi dell'opinione pubblica, si consumi la sproporzione tra chi resterebbe libero (i poliziotti) e chi passerebbe i prossimi anni dietro le sbarre (i condannati per devastazione).

Tutto questo, per dire cosa è in gioco. Immaginato sotto altre stelle, che scommettevano su un giudizio della Diaz "assolutorio" per la Polizia, il processo ai 10 del G8 ne è infatti diventato paradossalmente il reciproco, persino nell'argomento che ne è il cuore. Perché domani, in discussione, non è la certezza del fatto per il quale il giudizio si celebra, né la responsabilità degli imputati (già condannati in due gradi di giudizio).

Ma la risposta a una domanda che è stata argomento della Polizia a protezione dei suoi uomini e oggi diventa architrave delle difese dei 10 e delle migliaia che hanno firmato un appello ("10x100") in loro sostegno: è giusto fare di questi 8 uomini e 2 donne i "capri espiatori" della moltitudine di incappucciati che mise a ferro e fuoco Genova? Che paghino in questa misura (una media di dieci anni), e unici a farlo con il carcere, per un reato (la devastazione) punito dal codice con severità doppia rispetto a chi si accanì sugli inermi? La Cassazione dovrà dire se i 10 "devastarono" o "danneggiarono". Nel farlo, deciderà non solo tra un futuro dietro le sbarre (la devastazione) e una prescrizione (il danneggiamento), ma anche quale debba essere il metro dell' "uguaglianza davanti alla legge" per quel luglio di 11 ani fa.


2 - IERI BLACK BLOC A GENOVA OGGI PADRI DI FAMIGLIA "LE NOSTRE VITE IN BILICO"...
Massimo Calandri per "la Repubblica"

Alberto Funaro non lo ha detto a nessuno, del processo di domani. Fa l'infermiere in un ospedale romano. «Se mi assolvono, magari alla direzione sanitaria non vengono a saperlo. Ritorno al mio lavoro, alla mia vita normale. Quella di sempre ». Però la voce è incerta. Perché altrimenti sono dieci anni di reclusione. In galera, subito. Come Carlo Arculeo, che a Palermo gestisce un agriturismo in una riserva naturale, e dicono sia pure un bravo musicista. Lui sente che domani andrà a finire male.

«Pagheremo per tutti. Ma almeno basta con questo tormento: sono undici anni che vivo con la paura di vedere la mia vita distrutta. Finiamola ». Se la Cassazione conferma l'appello, lo aspettano otto anni di prigione. Qualche tempo dopo i fatti di Genova, Ines Morasca e Dario Ursino hanno avuto una bimba: nel frattempo la mamma era stata condannata a sei anni e sei mesi, il papà a sette. Abitano a Messina, lui fa l'educatore, vivono per quella piccola.

Che potrebbe essere affidata alla nonna. Anche Vincenzo Vecchi, muratore milanese, ha avuto una bimba: «Mi onoro di aver partecipato da uomo libero ad una giornata di contestazione contro un'economia capitalista», aveva dichiarato al termine del primo processo. In secondo grado aveva preso 13 anni e 3 mesi, ora rischia di poter riabbracciare la figlia non prima del 2017.

Manca un solo giorno alla chiusura dell'ultimo dei maxiprocessi del G8, quello nei confronti dei presunti black bloc che devastarono e saccheggiarono la città. Un giorno e dieci imputati. Dieci vite in bilico. Perché se le precedenti condanne saranno confermate dalla sentenza, allora per gli imputati - puniti in appello con pene tra i sei e mezzo e i quindici anni: roba da omicidi, ma in questa storia non c'è nemmeno un referto medico, solo danni alle cose - si apriranno le porte della prigione. E tranne un paio di loro, un tempo legati a gruppi antagonisti, gli altri non ci sono mai stati, in prigione. Dopo quei giorni del luglio 2001 erano tornati alle loro case, alle loro vite "normali".

Erano quasi tutti ragazzi, sono diventati adulti. Hanno lavorato, si sono laureati, hanno messo su famiglia. Nel frattempo la giustizia ha fatto il suo corso, e ora è arrivato il conto. Anche per Antonino Valguarnera, che aveva vent'anni. E ha una storia esemplare da raccontare. «Ero arrivato a Genova da Palermo. Mai fatto politica o frequentato centri sociali. Ma credevo di poter fare anche io qualcosa per cambiare in meglio questa società», ricorda.

«Il primo giorno del G8, quello della marcia antirazzista, è stato uno dei più belli della mia vita. Un arcobaleno di gente, gridare insieme che un altro mondo era possibile». Poi quel venerdì degli scontri di piazza, la morte di Carlo Giuliani. «Mi sono ritrovato con Arculeo. Abbiamo rubato una Vespa per scappare ad una carica della polizia». L'inizio della fine. «All'inizio sembrava un gioco. Seguivamo il corteo, gli scontri. Era come girare a Mondello, e guardare le ragazze. Un'avventura. Poi il fermo, e Bolzaneto». Quel furto, la contiguità alla guerriglia, gli sono costati otto anni.

«Tornato a Palermo sono partito per il militare ». Volontario in Bosnia. «Ero caposquadra, ho ricevuto un encomio e pranzato con l'ex presidente Ciampi». Nel frattempo era stato identificato da foto e filmati: un black bloc, secondo i pm. «Mi hanno rinviato a giudizio. Ma non mi sono buttato giù: ho fatto il barista, mi sono pagato gli studi e l'avvocato. Sono rimasto in famiglia». Una vita normale. «La laurea in scienze politiche. Ho fatto il direttore di produzione, poi pubblicità e comunicazione».

Da cinque anni presiede un'associazione culturale studentesca che ha organizzato in città più di cento mostre. Alle amministrative si è candidato per il Pd. «La mia fidanzata, architetto, fa il vigile urbano al paese». Fino ad oggi. Domani, chissà. «Il motivo per cui sono andato a Genova era giusto, ma forse dovevo scappare dopo il primo giorno. Qualcuno ha voluto distruggere quel sogno, e noi ci siamo finiti dentro». Otto anni di galera. «Mi costituirò. Perché questo è il sistema dove ho scelto di vivere. Ma spero di svegliarmi, e scoprire che era solo un incubo».

 

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