L'HARAKIRI DEL CAZZARO – DOPO AVERE TRATTATO PER TRE ANNI IL PARLAMENTO COME UNA PROTESI DEL GOVERNO, RENZI RISCHIA DI CONQUISTARE LA MEDAGLIA DI "GRILLINO AD HONOREM" E M5S FA MANBASSA SULLE VICEPRESIDENZEE QUESTORI IN PARLAMENTO – MA RENZI GONGOLA: COSI’ STOPPA LA MINORANZA PD PRONTA AD ELEMOSINARE UNO STRAPUNTINO IN UN GOVERNO A CINQUE STELLE -
1. SQUADRA CHE PERDE NON SI CAMBIA
Massimo Franco per il Corriere della Sera
RENZI PRIMO GIORNO DA SENATORE CON BONIFAZI
Quella che si sta giocando sulle vicepresidenze e i questori di Camera e Senato non è una sfida sulla democrazia. Sembra piuttosto un altro scampolo della guerra interna al Pd tra chi vuole il dialogo con i 5 Stelle, e chi lo ritiene impossibile.
Ieri, l' ala dell' opposizione dura ai vincitori del 4 marzo si frega probabilmente le mani. Nel «no» di Luigi Di Maio alle richieste dei dem può trovare una ragione valida, o comunque un pretesto per giustificare il muro contro muro. La perentorietà con la quale il M5S respinge le richieste del Pd, che pure nel 2013 accettò di votare Di Maio vicepresidente della Camera, soffoca qualunque ipotesi di intesa.
Dunque, a sei giorni dall' inizio delle consultazioni al Quirinale per formare un governo, chi a sinistra accarezzava una qualche intesa con Di Maio si ritrova spiazzato. E pazienza se probabilmente i renziani hanno lavorato per far fallire qualunque compromesso. E oggi osservano il fossato tra potenziale maggioranza e probabile opposizione con un sorriso soddisfatto, tipo: ve l' avevamo detto.
Agli occhi dei dem, Di Maio è più inviso dello stesso Matteo Salvini e della sua Lega. Col Carroccio le distanze sono tali che è inutile discutere. Ma col Movimento bisognava bruciare i ponti, e la vicenda di vicepresidenti e questori in Parlamento li sta lesionando.
È anche una coda della faida che ha accompagnato la scelta dei capigruppo del Pd al Senato e alla Camera: scontro che ha rischiato di destabilizzare il «reggente» Maurizio Martina proprio per mano dell' ex leader, deciso a condizionare qualsiasi scelta diversa dalla politica dei «no».
Oggi Martina è nel mirino di Renzi per non avere assecondato le pretese di un leader umiliato dagli elettori; ma ancora convinto di dettare legge attraverso gruppi parlamentari plasmati con candidature a propria immagine: o almeno così pensava. Pazienza se un' opposizione declinata come autoesclusione rischia di fare il gioco degli avversari: proprio come è successo negli anni in cui il Pd era al governo, regalando ai seguaci di Beppe Grillo spazi polemici e di propaganda; e, alla fine, una messe di voti.
E importa poco che a pilotare questa fase siano in fondo gli stessi che l' elettorato ha bocciato prima al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, e poi il 4 marzo. Squadra che perde non si cambia, pare di capire: a parte qualche aggiustamento cosmetico. Ma fare opposizione con gli stessi che hanno gestito disastrosamente il governo è una garanzia per perdere di nuovo.
Di Maio probabilmente sta mostrando tutti i limiti di chi vuole Palazzo Chigi senza fare i conti fino in fondo con i numeri parlamentari; e rischia di assottigliare le probabilità di guidare il prossimo governo. Ma anche un Pd confuso e impermalito, che grida alla discriminazione dopo avere trattato per tre anni il Parlamento come una protesi del governo, rischia di conquistare la medaglia di «grillino ad honorem».
2. MARTINA FA IL PERMALOSO E NON VA ALL’INCONTRO CON DI MAIO
Elisa Calessi per Libero Quotidiano
Altro che governo insieme. Dopo la giornata di ieri persino quelli che nel Pd sono tentati da un governo con il M5S erano senza parole. Stracciati i patti, i precedenti. Hanno litigato al Senato sul questore, alla Camera sulle vicepresidenze. Il risultato è che almeno a Palazzo Madama il Pd ha portato a casa solo una carica: la vicepresidenza per Anna Rossomando. Niente questore. Sono andati solo a Lega, Udc e M5S. E nemmeno un segretario d' Aula sugli otto previsti: 4 sono andati al M5S, 2 alla Lega e 2 a Fi. «Un fatto inaudito per la principale forza di opposizione», si è lamentato il capogruppo Andrea Marcucci.
«Per la prima volta nella storia repubblicana l' opposizione parlamentare non avrà accesso al funzionamento della macchina del Senato». E oggi la Camera potrebbe esserci il bis. Teoricamente, infatti, al Pd andrebbe una vicepresidenza. Questo era l' accordo non scritto che nei giorni dell' elezione di Roberto Fico era stato fatto balenare. Ma ieri è tornato tutto in ballo e il rischio è che il Pd resti fuori anche a Montecitorio.
I PATTI
Gli accordi stretti nei giorni scorsi, accusano i dem, sono sfumati. Al punto che a sera Maurizio Martina ha fatto sapere che il Pd non parteciperà ai colloqui che i Cinque Stelle cominceranno oggi con tutti i gruppi in vista delle consultazioni al Quirinale. «La presenza del Partito democratico nelle presidenze di Camera e Senato, con funzioni di rappresentanza e controllo, è una questione democratica e dovrebbe riguardare tutti», ha detto Martina. «Siamo il secondo partito del Parlamento e rappresentiamo milioni di elettori che non hanno votato destra e Cinque Stelle».
Guerra totale, insomma. Con Matteo Renzi, neo-senatore, che esulta perché il solco tra il Pd e i grillini si è allargato ancora di più. «I numeri per un governo con gli estremisti», ha detto ai suoi, «non ci saranno mai». E attraversando il Transatlantico del Senato ai giornalisti ha spiegato: «Serve il 90 per cento dei gruppi parlamentari del Pd per fare un governo con il M5S. Se anche qualcuno nel Pd facesse un accordo, vuoi che il senatore di Rignano non riuscirebbe a tenere con sé almeno 7 dei suoi?».
Bastano sette dei suoi per bloccare ogni accordo coi grillini. Del resto, è convinto che le aperture del M5S nei confronti del Pd siano solo «strumentali», «ci usano». Per trattare con la vera controparte: la Lega. Resta il fatto che dalla partita degli uffici di presidenza, il Pd resta con un pugno di mosche in mano. «Quando lo facevamo noi era una spartizione di posti, adesso che lo fanno loro ed è volontà popolare», si sfogava l' ex segretario dem.
A MONTECITORIO
La crisi è cominciata al Senato, dove l' accordo sui questori ha escluso il Pd. Il M5S non voleva rinunciare al suo: troppo importante per la battaglia sui vitalizi. Viene eletta vicepresidente Anna Rossomando, Pd, area minoranza, ma i dem non hanno alcun questore. Rischia di non andare meglio a Montecitorio. Tra i deputati del Pd quasi non ci si crede. «È gente di cui non ci si può fidare, la loro parola non conta nulla», dicevano ieri rivolti al M5S.
Il casus belli è di nuovo la carica di questore. «Ci chiedono di votare il loro perché diventi questore anziano della Camera in cambio della vicepresidenza», spiegavano. O così, o i grillini non daranno i loro voti per eleggere un dem alla vicepresidenza. Ma i patti, lamentano i dem, non erano questi.
Lo schema iniziale, infatti, prevedeva la presidenza della Camera a Roberto Fico e una vicepresidenza del Pd. Stop. Ma tutto si è complicato attorno al nodo dei questori. Il M5S vuole la maggioranza nell' ufficio di presidenza e il comando dei questori per poter portare a casa l' abolizione dei vitalizi. Tanto più se il governo durasse poco e si tornasse a votare.