COLPIRNE 3 PER EDUCARNE 400 - MINEO, CASSON E RICCHIUTI NON HANNO VOTATO LA FIDUCIA E ORA I RENZIANI VOGLIONO CACCIARLI. MA PITTIBIMBO NON VUOLE FINIRE COME GRILLO A BOTTE DI EPURAZIONI
Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
Colpirne tre per educarne 400. «Mercoledì abbiamo avuto la certificazione che la legislatura va avanti e non possiamo permettere a nessuno di frenare il cambiamento». Matteo Renzi ha deciso che un “processo” contro i senatori Pd Corradino Mineo, Felice Casson e Lucrezia Ricchiuti, va fatto. Perchè il messaggio arrivi a tutti i 400 parlamentari democratici.
Ovvero, c’è spazio per il dissenso ma non per l’anarchia che frena l’azione dell’esecutivo. Il premier fa capire di voler correre sulla riforma elettorale, sul Jobs Act che arriva ora a Montecitorio, sull’abolizione del Senato e sulle altre riforme che il governo metterà in campo. «Dobbiamo fare qualcosa, decidiamo cosa», dice Renzi ai membri della segreteria riuniti ieri mattina alle 8 a Largo del Nazareno ricordando i passaggi del voto di fiducia sul lavoro. Ma non si limita all’annuncio.
Come un vero pm, esamina le fattispecie del dissenso a Palazzo Madama. Assolvendo alcuni e puntando il dito contro altri. L’impressione è che in qualche modo il Partito democratico stia indicando la porta agli oppositori, almeno a quelli che arrivano a mettere in pericolo la vita dell’esecutivo guidato dal premier-segretario.
Nel Pd si allarga dunque un fronte che chiede sanzioni esemplari contro i dissidenti. Non è detto che si arrivi fino al limite massimo, alla pena dell’espulsione, ma sicuramente in queste ore si prepara il terreno per affrontare il problema. Affrontarlo di petto. Contro i dissidenti dell’altro ieri e quelli potenziali di domani. La vittoria sul Jobs Act consente di forzare soprattutto in vista di alcune scadenze decisive: la manifestazione della Cgil il 25 ottobre a Piazza San Giovanni e l’esame della legge di stabilità.
Roberto Giachetti, che chiede l’espulsione dei tre senatori, è solo il più esplicito nella pattuglia renziana. Anche la maggioranza dei componenti della segreteria ha invocato, ieri mattina, punizioni esemplari. Renzi ha svolto così la sua requisitoria: «Il dissenso si è manifestato in tre modi molto diversi tra loro. Il documento critico dei bersaniani legato al voto di fiducia, è un atto politico che rispetto.
MATTEO RENZI ROBERTO GIACHETTI FOTO LAPRESSE
Walter Tocci si è dimesso da senatore ma ha votato sì alla legge ed è un gesto che gli fa onore. Anzi, proveremo a farlo tornare indietro. Poi ci sono i tre che non hanno votato la fiducia. Una scelta inaccettabile, gravissima, su di loro il mio giudizio è pessimo». Non ha parlato di sanzioni né di espulsioni, il premier. Altri però lo hanno fatto sentendosi “autorizzati” dalle parole durissime del segretario.
Renzi non si esporrà troppo sull’argomento espulsioni. Il pericolo di un paragone con i metodi di Beppe Grillo va assolutamente scansato. Però l’iter “processuale” è già partito. La prossima settimana si riunirà l’assemblea dei senatori Pd e chiederà conto a Mineo, Casson, Ricchiuti.
Il regolamento del gruppo parla chiaro: «In caso di assenze ingiustificate » si possono applicare una serie di sanzioni che vanno dal richiamo alla sospensione alla cacciata. La materia finisce nelle mani del capogruppo Luigi Zanda: «Il voto di fiducia caratterizza l’appartenenza a un gruppo, a un partito. Sottolinea una condivisione. Per il momento, mettiamola così: mi aspetto una spiegazione articolata. Lo statuto del gruppo viene dopo».
La piega disciplinare dello scontro interno al Pd è rischio- sa per tutti gli sfidanti. Pippo Civati, capofila della corrente cui appartengono i tre senatori, non arretra: «Alla Camera potremmo votare contro la fiducia sia io sia Cuperlo. Cioè i due avversari di Renzi alle primarie. E ci cacciano dal Pd? Sarebbe incredibile. Non siamo provocatori. Io per esempio ho sempre votato la fiducia a Renzi. Dico che il livello della discussione si sta facendo pericoloso. E i provocatori sono i renziani».
L’ex segretario Guglielmo Epifani ricorda che quando Civati non votò la fiducia a Letta non successe nulla. «Così com’è avvenuto in Francia dove 31 deputati socialisti si sono astenuti sul governo Valls», dice riferendosi al governo francese. La rivolta contro le sanzioni potrebbe assumere dimensioni più grandi della minoranza.
«Noi non siamo i 5 stelle. Non mandiamo via nessuno — avverte Francesco Boccia —. Il 41 per cento è di tutti. Magari è più di qualcuno che di altri e mi riferisco a Renzi naturalmente. Però non c’è solo lui. Se invece prevalgono l’arroganza e la presunzione, sparisce il Pd». Affiora così il fantasma della scissione, ancora una volta. Stefano Fassina pronostica altri casi Tocci. E un gruppo nutrito di parlamentari Pd si prepara a scendere in piazza con la Cgil. Quindi contro il governo.