PAROLA DI UN TEDESCO DOC: GERMANIA FUORI DALL'EURO - ROLAND BERGER, CONSULENTE (PURE) DELLA MERKEL: ''L'EURO È STATO UN FALLIMENTO. E LA GERMANIA È DIVENTATA UN ELEMENTO DI DISTURBO. MA NON SE NE ANDRÀ, NON PER I PROSSIMI 5 ANNI. LA NOSTRA CLASSE POLITICA NON LO PERMETTE'' - LA PRODUTTIVITÀ ITALIANA? ''UN DISASTRO. SOPRATTUTTO NELLE AZIENDE CONTROLLATE DALLO STATO'' - E SULLA FIAT BASTONATA DAGLI USA...
Federico Fubini per il Corriere della Sera
Germania fuori dall' euro per non perdere una competitività conquistata malgrado gli oneri della riunificazione. Roland Berger, consigliere della cancelliera Angela Merkel: la moneta unica ha fallito.
Roland Berger è nato e cresciuto in Germania, ma ha iniziato a imparare l' italiano già nel 1957. Lo ha fatto durante una vacanza estiva a Roma, ventenne fresco di studi umanistici, quando si rese conto che grazie alle sue nozioni di latino poteva leggere i quotidiani. E forse perché l' amore per l' Italia e la sua vocazione europea hanno radici così profonde, il celebre consulente, oggi anche consigliere della cancelliera Angela Merkel, che si sente libero di parlare dei problemi che secondo lui l' unione monetaria ha davanti.
Di recente lei ha detto che forse la Germania dovrebbe valutare l' idea di uscire dall' euro per salvare l' Unione Europea. Che intendeva dire?
«Ero scettico sull' euro prima che fosse introdotto e purtroppo i miei timori si sono dimostrati corretti. È stato un fallimento. L' euro era partito sulla base di alcuni presupposti sbagliati. Si pensava che il tasso di cambio all' ingresso avrebbe garantito che la competitività dei diversi Paesi si sarebbe aggiustata. Inoltre le fondamenta del progetto erano costruite sul trattato di Maastricht, ma dall' introduzione dell' euro le sue regole sono state violate almeno 165 volte. E si pensava che ci sarebbe potuta essere una politica economica e di bilancio dell' area monetaria, che avrebbe portato a risultati coordinati».
Il bilancio, secondo lei, qual è?
«Che ora abbiamo Paesi con gradi di competitività molto diversi. Se si guarda al cosiddetto mondo meridionale o latino, c' è una percezione politica secondo cui la crescita attraverso il finanziamento a debito, se posso dire così, è quasi la regola. La Germania invece è tornata a una posizione di notevole competitività malgrado gli oneri della riunificazione perché nel 2003 e 2004, con il governo di Gerhard Schroeder, ha affrontato riforme dal lato dell' offerta. Adesso sta crescendo piuttosto bene: potrebbe fare meglio, ma non crea nuovo indebitamento, il debito è ancora sopra ai limiti di Maastricht ma in rapido calo, e c' è praticamente piena occupazione».
Allora perché dovrebbe rinunciare all' euro?
«I numeri dell' economia tedesca a confronto delle altre sono noti. Oggi abbiamo una politica monetaria della Banca centrale europea che mi pare corretta per il 75% dell' area euro, ma è decisamente sbagliata per la Germania. Nel caso di un crollo dell' euro, la Germania pagherebbe la gran parte del debito. Dunque la Germania in una certa misura, anche per il suo surplus nei suoi conti con l' estero, è diventata una sorta di elemento di disturbo».
Vuole dire che la sua competitività è troppo diversa da quella degli altri?
«In effetti. E ora corre il rischio di perdere competitività essa stessa perché per noi il tasso di cambio dell' euro è troppo debole. La nostra economia dipende al 50% dall' export e perciò dalla nostra competitività globale».
Perché una moneta troppo debole creerebbe squilibri?
«Con il marco, il mondo delle imprese era abituato a rivalutazioni costanti, dunque investiva per guadagnare produttività. Questa esigenza ora è scomparsa. L' attuale tasso di cambio dell' euro non è tale da aiutare la Germania. Aiuta il nostro export, ma superficialmente, proprio perché scoraggia gli investimenti e gli aumenti di produttività. Il nostro Paese è economicamente un animale diverso. Ci sarebbe molta più armonia se fosse fuori e i Paesi latini, Francia inclusa, restassero nell' euro.
Ma la Germania non uscirà mai, o almeno non nei prossimi cinque anni, prima che venga un' altra crisi: non lo farà per ragioni politiche e storiche, e perché gran parte della nostra classe politica pensa ancora che la zona euro e l' Unione Europea siano la stessa cosa. Non è così. Noi dobbiamo fare di tutto per mantenere la Ue, perché è un grande successo politico e economico».
Lei conosce bene l' economia italiana. Riuscirà a risollevarsi?
«La produttività è un disastro. L' Italia deve rimanere nella Ue e forse anche nell' euro. Il suo problema non è la classe imprenditoriale, che è eccellente. Ho dubbi sulle imprese pubbliche o vicine allo Stato, ma quelle private di tutte le dimensioni sono molto competitive. I problemi principali per me sono l' infrastruttura burocratica, la giustizia che funziona male, e un governo che finora si è dimostrato incapace di fare riforme o di farle al momento giusto.
Un turnaround è possibile. Ma non so da dove viene questa apparente incapacità dell' Italia di fare ciò di cui ha bisogno. Se non riesce a cambiare, sarà sempre un problema. E non ce ne sarebbe ragione perché i lavoratori italiani, almeno quelli con una formazione, sono eccellenti. Quando vengono in Germania spesso fanno meglio dei loro colleghi tedeschi».
Visto dalla Germania, che impressione si ha del nostro Paese?
«Credo che tutti in Europa, Germania in testa, sarebbero disposti a aiutare l' Italia, anche finanziariamente, se pensassero che cambierà qualcosa. Se non temessero che i soldi verranno spesi malamente. Questo è un pregiudizio tedesco. Un politico che proponga di aiutare l' Italia per renderla migliore non sarebbe molto ben accolto dai suoi elettori».
Perché assistono all' eterno ritorno degli stessi problemi? Da ultimo, Alitalia.
«È un' azienda di Stato».
Lo era.
«Certo, ricordo: sono stato coinvolto nel caso. In precedenza ero stato coinvolto nella ristrutturazione di Lufthansa e ne abbiamo fatto un' azienda competitiva.
Ma Alitalia ha sempre cercato di prendere la strada più facile e il sistema dei sindacati in Italia è un problema. Sono sindacati di ispirazione politica, non spinti da motivazioni economiche per il benessere dei lavoratori».
Torna anche la questione dei costruttori auto. Prima gli Stati Uniti accusano Volkswagen, ora Fiat-Chrysler. Atti giustificati o di ispirazione politica?
«Sono piuttosto sicuro, purtroppo, che nel caso Volkswagen è stato molto ingenuo violare la legge, sapendo come avrebbe reagito il sistema americano. Del resto quello non è il solo caso. Lei ha citato Fiat. Ma prenda la questione dell' Iran. Oggi è un' area in cui noi europei potremmo legittimamente fare affari, eppure nessuna banca europea si arrischia per timore di avere problemi o ricevere multe negli Stati Uniti. Intanto, per qualche ragione, gli hotel internazionali di Teheran sono pieni di americani».
Donald Trump sarà meno attento alle questioni ambientali del dieselgate?
«Tutto questo non ha niente a che fare con la preoccupazione per l' ambiente. Se gli americani trovano qualcosa che possa colpire un loro concorrente, colpiscono. Di questo si può star certi».