ERA IL 23 MAGGIO 2010 E GIA’ SI SAPEVA TUTTO SU EMILIANO-DEGENNARO - QUELLA DEGLI APPARTAMENTI DI VIA PAPPACENA COSTRUITI PER LE FORZE DELL’ORDINE E FINITI POI, GRAZIE A UNA DISCUSSA CONVENZIONE, A CONSIGLIERI COMUNALI E MAGISTRATI È UNA STORIACCIA SCOPERCHIATA QUASI DUE ANNI FA DALLA “GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO” - LO SCANDALO CHE OGGI FA TREMARE LA PUGLIA VENIVA DESCRITTO COME “UN'ORDINARIA STORIA DI URBANISTICA BARESE”…

Articolo di Massimiliano Scagliarini per "la Gazzetta del Mezzogiorno" del 23 maggio 2010

Sono nate come case per poliziotti, carabinieri, finanzieri. Per chi - erano gli anni in cui morivano Falcone e Borsellino - scendeva al Sud a combattere la mafia. È finita, ma c'erano pochi dubbi, che in molti di quegli appartamenti, costruiti su suoli agricoli o comunque vincolati e con i contributi dello Stato, oggi ci abitano persone comuni e non gli uomini delle forze dell'ordine cui erano destinati.

Le case sono state vendute (e occupate) ancora prima dei bandi ministeriali per darle in affitto, certi che tanto nessun poliziotto le avrebbe richieste. Un'ordinaria storia di urbanistica barese, in cui l'interesse pubblico finisce per agevolare convenienti operazioni edilizie. Per raccontarla conviene andare lì, in via Pappacena, nel cuore del quartiere Poggiofranco, dove la Dg Sviluppo ha appena terminato quattro palazzine immerse nel verde.

Gli appartamenti previsti in via Pappacena sono 250, di cui 80 destinati all'affitto. Il secondo bando della prefettura è stato pubblicato il 5 maggio e si chiuderà il 2 agosto: riguarda 30 degli 80 appartamenti di «edilizia privata convenzionata» che dovranno essere assegnati al personale «impegnato o coinvolto nella lotta alla mafia». Ma forse, più che il futuro - dovranno - è meglio usare il condizionale - dovrebbero.

Utilizzando l'elenco degli immobili allegato al bando, la «Gazzetta» ha infatti verificato che quasi tutti quegli appartamenti sono stati quasi venduti: e basta farsi un giro lì, in via Pappacena, per rendersi conto che le case sono già occupate, probabilmente proprio da chi le ha comprate. Tutto alla luce del sole.

La convenzione con il Comune che regola il «programma costruttivo integrato» numero 286/16 non impedisce che gli appartamenti destinati alle forze dell'ordine vengano venduti a chiunque. Basta infatti che chi acquista si impegni a darli in fitto ai rappresentanti delle forze dell'ordine per il numero di anni previsti.

L'«atto d'obbligo unilaterale» firmato nel 2004 da Giovanni De Gennaro (all'epoca rappresentante dell'impresa) è piuttosto chiaro. Il documento fissa infatti i prezzi di vendita degli appartamenti (1.710,59 euro al metro quadrato) e pure i canoni di affitto, che devono essere pari al 4,5% del valore totale dell'immobile. Il nodo è proprio qui.

Ecco due esempi. Piano 11, lotto 5B, 156 metri quadrati di superficie commerciale. È una delle case destinate ai militari. La vendita davanti al notaio è avvenuta il 27 gennaio scorso. L'acquirente è un signore barese di 45 anni che ha pagato 360mila euro più Iva per la casa, un box di 11 metri quadri e un posto auto: il prezzo stabilito per legge sarebbe di 327mila euro, quindi la vendita è avvenuta a 33mila euro in più.

Piano 10, lotto 5b, altri 156 metri quadri commerciali: la vendita (a due persone residenti a Taranto) è avvenuta il 23 gennaio, 335mila euro per l'appartamento più i soliti box e posto auto. In questo caso la maggiorazione è stata di 6.900 euro. Per entrambi gli appartamenti, l'affitto «concordato» è di circa 15.600 euro annui, 1.300 euro al mese per 96 metri quadri netti (parliamo di un tre vani e doppi accessori). Poco, troppo?

«In quella zona - rispondono da Tecnocasa - per il fitto di 100 metri quadri si spendono 1.000-1.100 euro. I 1.300 euro sono l'estremo superiore del mercato, superfici più ampie e finiture di pregio: un target di professionisti, imprenditori, gente che risiede fuori». Roba da ricchi insomma, meno da agenti di polizia.

Ecco dunque svelato l'arcano. È difficile che il bando della prefettura troverà qualche appartenente alle forze dell'ordine disposto a sborsare 1.300 euro al mese di fitto, anche perché per molti quell'affitto supererebbe lo stipendio. E allora, quelle case «per militari» diventeranno a tutti gli effetti appartamenti di edilizia privata, tanto che molti legittimi proprietari ci si sono già trasferiti (basta leggere le etichette sui campanelli).

Appartamenti costruiti, però, su un'area in cui il piano regolatore prevedeva altro (nel caso del programma 286/16, servizi per la residenza), e soprattutto con il contributo dello Stato. Che ha finito per finanziare la casa di questi fortunati acquirenti: a Poggiofranco la quotazione del nuovo (secondo l'Agenzia del Territorio) è tra i 2.500 e i 3.800 euro al metro quadro, che a via Pappacena sono diventati 1.700 grazie - in ultima analisi - ai contributi del ministero.

Le case di via Pappacena non sono un esempio preso a caso. Nel dicembre 2005 la procura di Bari sottopose il complesso a sequestro preventivo, ipotizzando reati in materia edilizia e paesaggistica. Quel problema adesso pare superato. Ma leggendo le carte si scopre una storia un po' paradossale e zeppa di interrogativi, cominciata nel 1992 e terminata soltanto l'11 maggio 2007 con un voto del consiglio comunale che - riapprovando un accordo di programma - di fatto ha sanato tutte le irregolarità urbanistiche.

Una storia su cui pesa come un macigno un documento della prefettura di Bari datato 9 settembre 1994 in cui l'allora prefetto Corrado Catenacci diceva «no» a tutti i programmi straordinari di edilizia per le forze dell'ordine: a Bari, scriveva, non c'è la «stretta necessità» richiesta dalla legge.

Via Pappacena ha anche delle particolarità tutte sue. Il 30 marzo 1994 la giunta comunale espresse parere negativo sul progetto perché presentava «elementi di forte conflittualità con lo strumento urbanistico vigente». Parole nel vento. Per quello stesso progetto, il 29 luglio il Comune stipulerà l'accordo di programma con la Regione. E un mese dopo, il progetto addirittura cresce. All'inizio, infatti, l'operazione doveva interessare un suolo di 27.000 metri quadrati. Poi, il 23 agosto, lo Iacp (partner dei privati) aggiunge altri 13.000 metri quadrati.

Passano 13 anni. Siamo nel 2007, nel pieno della consiliatura Emiliano. Il cantiere di via Pappacena è stato sequestrato due anni prima. L'11 maggio l'assessore all'Urbanistica, Ludovico Abbaticchio, porta in aula una delibera per la ratifica dell'accordo di programma. Che non è quello del 1994 (ratificato fuori termine) ma uno nuovo, definito «confermativo», stipulato il 17 aprile. È la sanatoria per una serie di problematiche urbanistiche: i rilievi della procura di Bari, nella delibera, vengono definiti «perplessità».

Votano a favore sia destra che sinistra: contrario il solo Donato Cippone, astenuti Avantaggiati, Bronzini, Loiacono e Monteleone.

Ma come sono organizzate le partecipazioni societarie della famiglia De Gennaro? Il cuore di tutto è Dge Holding, la cassaforte di famiglia in cui ci sono i fratelli Carmine, Daniele, Giovanni, Gerardo (consigliere regionale del Pd) e Vito. Vito è il padre di Annabella, oggi assessore nella giunta Emiliano.
Alla Dge Holding fa capo la Dg Sviluppo, la società che sta costruendo i palazzi di via Pappacena: il presidente è Daniele, i consiglieri sono Giovanni e Gerardo.

Il presidente del consiglio sindacale è Donato Radogna, consigliere comunale eletto nelle file della lista Simeone (centrodestra), transitato nell'Udc e ora passato nell'Api, la lista di Rutelli che sostiene il vicesindaco Alfonsino Pisicchio: al gruppo Api, per renderlo numericamente robusto, il sindaco ha «prestato» un consigliere della propria lista civica.

Alla Dge Holding fa capo, in ultima analisi, anche la Dec, la prima impresa di costruzioni del Mezzogiorno, il cui amministratore è Vito Degennaro (padre dell'assessore) e il cui presidente del consiglio sindacale è Radogna. La Dec a Bari sta realizzando il passante ferroviario per l'aeroporto ed ha costruito il Direzionale del quartiere San Paolo. Alla Dec, a cascata, appartengono i parcheggi interrati di piazza Giulio Cesare e quello, in costruzione, di piazza Cesare Battisti. E questa è un'altra storia che val la pena di essere raccontata.

Il 6 agosto 2009, nella prima seduta operativa dell'Emiliano-bis (il 3 agosto l'esecutivo si era riunito soltanto per prolungare il contratto del direttore generale Vito Leccese), sul tavolo della giunta atterra una delibera di 78 pagine intitolata: «Lavori di costruzione, manutenzione, gestione parcheggio interrato di piazza Cesare Battisti in project financing. Presa d'atto prima perizia e atti conseguenti».

La «prima perizia» dice sostanzialmente questo: il cantiere del parcheggio è stato rallentato per cause di forza maggiore (tra le quali, probabilmente, anche un intervento della procura di Bari), e per terminare i lavori l'impresa dovrà spendere tre milioni e trecentomila euro più del preventivato. La parte interessante sono gli «atti conseguenti»: per far sì che l'investimento della Dec resti in equilibrio finanziario, se aumentano le uscite è necessario intervenire sulle entrate. Ovvero, sulle tariffe del servizio che sono a carico dei cittadini.

E dunque la giunta comunale recupera quei 3,3 milioni modificando i listini. La sosta oraria in piazza Cesare Battisti costerà 1,50 euro l'ora, cioè il 50% in più di quanto previsto nel contratto. L'acquisto dei posti (per 27 anni e 6 mesi) passa a 49.200 euro, il 64% in più dei 30.000 euro iniziali. La giunta (assenti Emiliano e l'assessore Degennaro) approva la variante. Al termine dei 27 anni e 6 mesi di gestione, a fronte di un investimento pari a 17,26 milioni, il margine operativo lordo dichiarato dalla stessa Dec sarà superiore a 40 milioni di euro.

 

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