CHI BALLA CON LUPI? RENZI E’ FURIOSO PER L’INCHIESTA CHE HA COINVOLTO INCALZA E PER GLI SCHIZZI DI FANGO SU LUPI - MATTEUCCIO NON VUOLE DANNI DI IMMAGINE AL SUO GOVERNO: CHIEDERÀ AL MINISTRO DI DIMETTERSI
Fabio Martini per “la Stampa”
Di prima mattina avrebbe voluto festeggiare il boom delle “assunzioni” con uno dei suoi tweet energetici. E invece no. Per Matteo Renzi si è spalancato uno dei peggiori lunedì da quando si trova a palazzo Chigi. Una iattura, per il premier, questo nuovo scandalo che colpisce l’Italia a 46 giorni dall’Expo, proprio mentre il presidente del Consiglio cercava di proporre una nuova immagine nel mondo.
E infatti, ieri mattina, via via che Renzi apprendeva nuovi dettagli sullo scandalo, il suo umore si incupiva sempre più, fino a trasformarsi in rabbia, non appena ha appreso che un suo ministro era lambito dal fango. Un umor nero testimoniato da due fatti eloquenti: per tutta la giornata Matteo Renzi non ha parlato con Maurizio Lupi, ma neppure con Angelino Alfano e Gaetano Quagliariello. E sulla vicenda, Renzi - sempre così loquace - non ha speso neppure un tweet.
Umor nero che è testimoniato anche da un tam-tam fatto diffondere ieri sera da Renzi stesso ai suoi: «Per il momento nessuno esprima solidarietà premature». E sul far della sera Renzi predisponeva le parole d’ordine. Tanto per cominciare, prima di chiedere un passo indietro a Lupi ma prima anche di rinnovargli la fiducia, bisogna “leggere” tutte le carte dell’inchiesta. Secondo: se Incalza è fuori dal ministero dal 31 dicembre, è perché così ha voluto palazzo Chigi.
Terzo: guai con l’adagio qualunquista che sono tutti uguali, perché questo è il governo di Cantone e dell’Anac, che porta in Parlamento le nuove norme su falso in bilancio e anticorruzione. E dunque grandi eventi, come l’Expo, si possono fare e si faranno. Oggi, nel discorso alla scuola di polizia, Renzi dirà tutte queste cose in chiaro e farà capire se a suo avviso sia meglio che Lupi rassegni le dimissioni.
Anche perché su questa vicenda incombe la “dottrina” Renzi che non sembra lasciare molte speranze al ministro dell’Ncd. In occasione della vicenda che vide protagonista nel luglio 2013, l’allora ministro della Giustizia Cancellieri (che telefonò a casa Ligresti nei giorni in cui erano stati arrestati Salvatore e le figlie), Renzi elaborò una teoria, impostando la questione in modo diverso dal consueto approccio di “sinistra” e facendo prevalere il piano sostanziale su quello formale.
Scrisse l’allora sindaco: «L’idea che ci siamo fatti dell’intera vicenda Ligresti è che la legge non sia uguale per tutti e che se conosci qualcuno di importante te la cavi meglio. È la Repubblica degli amici degli amici: questo è insopportabile».
Affermazioni di principio che sembrano ritagliate sul caso Lupi, tanto più che Renzi continuava: «I media scrivono che il ministro Cancellieri dovrebbe dimettersi se le arrivasse un avviso di garanzia. Non la penso così: le dimissioni non dipendono da un avviso di garanzia, vent’anni di giustizialismo soprattutto mediatico hanno trasformato uno strumento a favore della difesa in una condanna preventiva».
Teoria generale così suggellata: «Non è un problema giudiziario, è peggio: è un problema politico. Il ministro, quando ci sono i procedimenti giudiziari non mette naso, non telefona, sta fuori: altrimenti perde l’autorevolezza necessaria».
Dunque, il punto centrale del “teorema Renzi”, poi replicato in altri casi, era questo: non si deve mai perdere autorevolezza, quando si è lambiti, o indeboliti, da vicende controverse. Certo, Maurizio Lupi è un personaggio, difficile “scaricarlo” su due piedi. Nel governo è lui il capofila di Comunione e liberazione, movimento ramificato, influente, con una solida rete di potere, un movimento che nell’Ncd è rappresentato anche dall’ex presidente della Compagnia delle Opere Raffaello Vignali, da Roberto Formigoni, dal sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi, fiorentino come Renzi.