SAN(TA) SUU KYI - AL PARLAMENTO DI LONDRA È STATA ACCOLTA, PIÙ CHE COME UN POLITICO, COME UNA SANTA - CALMA, SERENITÀ E FERMEZZA, MA SE SI TOCCA LA SFERA PERSONALE SI IRRIGIDISCE - E QUANDO LE CHIEDONO DEI FIGLI CHE NON LA VOGLIONO INCONTRARE E DEL MARITO ABBANDONATO E MORTO DA SOLO, RISPONDE COME MAMMA EBE: “NON CI SONO STATI MOMENTI PARTICOLARMENTE DIFFICILI. NON SONO UNA DONNA VISSUTA NELLE DIFFICOLTÀ”...

Andrea Malaguti per "la Stampa"

La portano nella sala delle divinità. O almeno quella che gli inglesi considerano tale, la Westminster Hall. Un onore concesso solo ad alcuni Capi di Stato. Mandela, oppure Barack Obama. Aung San Suu Kyi non guida nessun Paese, anche se per il mondo la Birmania è lei. In effetti è molto di più, un simbolo planetario, il bene incarnato, così la considerano ovunque.

E adesso, qui, è anche la prima donna (escludendo la Regina, entità evidentemente metafisica) cui viene concesso il privilegio - per lei e per chi l'ascolta di pronunciare un discorso davanti al Parlamento riunito nel cuore sacro del Tempio della Democrazia. Il suono di un'orchestra la introduce, David Cameron, Gordon Brown, Ed Miliband, deputati, Lord e dignitari del Regno, scattano in piedi. «Ci sono ancora tante colline da scalare», sussurra lei. L'applauso che l'accoglie è un'incoronazione.

Un fiore bianco a legarle la coda, il vestito di seta viola, lo scialle bianco, è una di quelle donne evidentemente preziose che in base ai modi, al portamento, o forse alla sola presenza sono in grado di trasformare impercettibilmente l'umore di un intero ambiente. «Questo è il momento più importante per la Birmania, il momento in cui in cui il nostro Paese ha più bisogno di aiuto». Chiede alla Gran Bretagna di stare al fianco della sua gente.

Ed è come se una fiamma le brillasse negli occhi, facendole tremare l'iride scura. C'è un silenzio irreale. L'intero salone pende dalle sue labbra. Un'alchimia difficile, che si porta dentro il disagio sottile che si prova quando sembra di avere a che fare con la perfezione. A che cosa si deve rinunciare per diventare delle sante in vita? Sono tre giorni, da quando è arrivata in Gran Bretagna, che Londra se lo domanda. Educata ad Oxford, sposata con un suddito di Sua Maestà morto di tumore nel 1999, due figli con passaporto britannico. Perché non parla mai di loro? In quale angolo della sua coscienza li nasconde?

Il dubbio è talmente presente che a Downing Street, nella conferenza stampa che precede il discorso della Westminster Hall, una giornalista spagnola, dopo un lungo preambolo fatto di ammirazione e di riconoscenza, le dice: «Suo marito Michael Aris è morto mentre era prigioniera, i suoi figli sono cresciuti lontani da lei, qual è stato il momento più difficile?».

Fino a quell'istante nessuno ha parlato di lei come madre e come moglie. E lei è stata straordinaria a nascondere le ferite. Fa parte della sua lotta. Ha spiegato che il suo viaggio ha l'obiettivo di guardare avanti. Vent'anni di arresti domiciliari appartengono a un tempo sparito e anche l'ex generale e presidente del suo Paese, Thein Sein, sta lavorando per le riforme. «E per questo lo ringrazio». Ha aggiunto che bisogna capire i motivi delle divisioni e agire rapidamente per rimuoverli. Nessun rancore, nessun deposito acido. Cerca ponti, non scontri. Ma adesso? Con questo riferimento ai suoi affetti come se la cava?

Suu Kyi lascia scivolare la mano sottile sui capelli neri, li porta dietro le orecchie. A 67 anni è come se vivesse una dimensione senza tempo. Lo sguardo è morbido, accogliente e lei è sottile fino alla trasparenza. Eppure la voce prende una solidità da leader. Arriva come un ordine. «Non ci sono stati momenti particolarmente difficili. Non descrivetemi come una donna che ha vissuto nelle difficoltà». Granitica. Ha sepolto un pezzo di sé con un rigore da figlia di soldato o semplicemente non vuole che il suo martirio oscuri quello del suo popolo? «La Birmania deve affrontare molte sfide. L'unica cosa che conta è che siano i birmani a decidere come», dice congedandosi.

Gli infiniti giorni in cui le sarebbe bastato pochissimo, una qualunque forma di tenerezza primordiale, per andare avanti, non cambieranno la sua traiettoria attuale. È troppo larga la responsabilità che porta sulle spalle. La Westminster Hall, l'attende. È in cammino. Il resto non conta più. A che cosa si deve rinunciare per diventare sante in vita?

 

IL MARITO DI AUNG SAN SUU KYI CON I FIGLI ARIS E ALEX A OSLO NEL PER RITIRARE IL NOBEL PER LA PACE jpegAUNG SAN SUU KYI A OXFORD CON LA LAUREA HONORIS CAUSA jpegAung San Suu Kyi liberaAung San Suu Kyi liberaAung San Suu KyiAUNG SAN SUU KYI NEGLI ANNI SETTANTA CON LA FAMIGLIA DURANTE UNA GITA

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