TRIPOLI, BEL SUOL DI RICATTI! LA SCARCERAZIONE DEL TORTURATORE ALMASRI È LA PROVA, COME DAGO DIXIT, CHE LA LIBIA USA I MIGRANTI A MO' DI PISTOLA PUNTATA SULL'ITALIA! LA STORIA INIZIA NEL GIUGNO 2017: IN APPENA TRENTASEI ORE APPRODANO IN ITALIA 13.500 PROFUGHI. IL MINISTRO MINNITI (GOVERNO GENTILONI) TRATTA CON I CAPITRIBU' E L'EMERGENZA RIENTRA - NONOSTANTE LE CENSURE DELL'ONU, I LIBICI SONO ANCORA NOSTRI PARTNER SEMPRE PIÙ ESSENZIALI NEL RISPARMIARCI UNO "TSUNAMI DI SBARCHI". NEGLI ULTIMI GIORNI SI REGISTRA UN BOOM DI PARTENZE DALLA LIBIA "MA ALMASRI NON C’ENTRA NULLA. CI SONO DUE TRIBÙ LIBICHE CHE SI SPARANO ADDOSSO…” - DAGOREPORT
1 - DA BIJA AD ALMASRI ACCORDI E RICATTI
Goffredo Buccini per il “Corriere della Sera” - Estratti
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Se una storia di ricatti c’è, comincia in un fine settimana di giugno 2017.
In appena trentasei ore di caldo rovente e mare piatto, approdano da noi 13.500 profughi. Barche e barchini prendono d’assalto le nostre coste, la Libia è il grande propulsore di questo potente flusso di disperati. Fallito dopo le primavere arabe e la fine cruenta di Gheddafi, lo Stato nordafricano è diviso in fazioni: di qua il debole premier Al Sarraj, imposto dalla comunità internazionale, di là l’ambiguo generale Haftar, sostenuto da russi, francesi ed egiziani; in mezzo una specie di Aruba delle migrazioni che gestisce un prezioso business internazionale: il traffico di carne umana.
Tra Bani Walid e Kufra, Shwerif e Sabrata, clan di pirati e famiglie di scafisti organizzano nei porti e nei villaggi libici le partenze e la prigionia di chi, talvolta per mesi o anni, attende di partire. In Italia si va profilando quella che il ministro degli Interni Marco Minniti, Pd, governo Gentiloni, definisce una «emergenza democratica».
Non è un modo di dire. Nel 2016 abbiamo registrato il record di arrivi via mare: 181 mila. Ora, le proiezioni lasciano intravedere la cifra monstre di 250 mila sbarchi. Siamo fragili e esposti. Tra gli italiani, che non si sono mai ripresi dalla crisi dei primi anni Dieci, monta un rancore sordo contro i migranti, con i quali devono contendersi ciò che resta del welfare. Una commissione d’inchiesta parlamentare sulle periferie certifica che in giro per il Paese vagano circa seicentomila irregolari, un esercito di sbandati che mette in pericolo sicurezza e convivenza. La scommessa del governo è stabilizzare la Libia.
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Una sfida geopolitica a perdere, con l’Europa che non ci aiuta e ci chiude le porte in faccia.
Già prima della crisi di giugno, il 2 febbraio 2017, firmiamo con Al Sarraj un Memorandum di intesa che ci impegna a fornire «supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro gli immigrati clandestini»: guardia di frontiera, guardacoste e dipartimenti del ministero degli Interni di Tripoli.
Dopo il disastro di giugno, Minniti va a incontrare personalmente i «sindaci» (in sostanza i capitribù libici che controllano il territorio). Tra luglio e settembre stringe accordi, vede Haftar, mette in piedi un meccanismo «in progress» che prevede corridoi umanitari, intese coi Paesi di partenza dei migranti, rimpatri assistiti e, se possibile, «europeizzazione» del problema. Rivendica come risultato avere consentito alle organizzazioni Onu l’ingresso nei «campi» di detenzione dei migranti (un balzo in avanti per un Paese che non riconosce la Convenzione di Ginevra e considera schiavi i migranti illegali in base a una legge di Gheddafi mai abrogata).
Nella sostanza ha ragione, gli sbarchi crollano del 77% in un anno. Ma proprio dalle organizzazioni Onu verranno le censure più pesanti anche per l’Italia. Il 18 dicembre 2018, l’Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati) e l’Unsmil (Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia) pubblicano un dossier gravissimo. Il periodo esaminato va da gennaio 2017 ad agosto 2018. Sessantuno cartelle descrivono chi sono davvero la «guardia costiera», la «guardia di frontiera» e gli agenti tripolini con cui abbiamo stretto patti.
Milletrecento interviste «di prima mano» su undici centri di detenzione (solo quelli ufficiali, perché quelli «informali» sono assai peggiori e off limits), tratteggiano i profili di banditi in divisa e funzionari corrotti responsabili di «omicidi, fosse comuni nel deserto, stupri seriali e di gruppo anche su donne incinte e mamme che allattano» e, ancora, bambini massacrati davanti ai genitori, torture feroci in collegamento video coi parenti della vittima che devono pagarne la liberazione, ferri roventi, unghie strappate, scosse elettriche (qualcosa di non molto lontano dalle accuse mosse adesso contro il «generale» Almasri).
Scrive l’Onu: «Ci sono credibili informazioni sulla complicità di ufficiali dello Stato libico, gruppi formalmente integrati nelle istituzioni».
A novembre 2017 la Cnn documenta in un servizio persino le aste degli schiavi. Il confine tra criminali e poliziotti o guardacoste libici è sottile. Così sottile che in quel terribile anno viene in Italia in visita «di studio» il guardacoste e trafficante Abdurhaman al Milad, detto «Bija», membro di una delegazione ufficiale e nostro ospite. È il capo della milizia Al Nasr e gestisce il porto e il centro di detenzione di Zawiya, sulla lista nera dell’Onu.
Otto anni dopo, non molto sembra cambiato. Il memorandum è stato rinnovato nel 2020 e nel 2023, sotto governi di segno diverso. I libici sono ancora nostri partner, sempre più essenziali nel risparmiarci uno tsunami di sbarchi. Il caso Almasri è l’ultimo frutto avvelenato di un albero dalle radici lunghe e profonde.
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2 - LA RAGNATELA LIBICA
Francesco Grignetti per “la Stampa” - Estratti
Il boom di partenze dalla Libia negli ultimi quindici giorni non è un abbaglio.
Quei 3354 migranti arrivati nel giro di due settimane sono vissuti come un'emergenza che costringe palazzo Chigi a convocare una riunione alla presenza di Giorgia Meloni, con i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, il ministro Matteo Piantedosi. C'è infatti da esaminare la novità del premier e dei ministri indagati, ma soprattutto capire cosa stia accadendo sull'altra sponda del Mediterraneo (non in Tunisia, dove il governo autoritario di Kais Saied, pur con metodi brutali che nulla hanno da invidiare a quelli libici, è riuscito a cancellare i nuovi arrivi e le partenze verso l'Europa) e se ci sia un collegamento tra la vicenda del ras libico Almasri e il boom inatteso dei flussi.
Già, perché, a dispetto della propaganda, il sospetto d'un uso strumentale delle partenze da parte libica c'è eccome.
Non sarebbe poi così strano.
(…)
Spiegano fonti bene informate: «Anche se non se ne parla sui media occidentali, da alcune settimane ci sono due tribù libiche che si sparano addosso. Questo ha generato una fase di grande destabilizzazione sulla costa e in alcuni porti. Almasri non c'entra nulla».
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Agghiacciante prospettiva, comunque: le milizie si contendono il controllo dei porti perché il traffico di migranti è talmente lucroso da giustificare perfino una guerra intestina.
A supporto di questa tesi parlano alcuni dati. Se è vero che il risveglio delle partenze data 20 gennaio, il giorno dopo l'arresto a Torino di Almasri, c'è da dire che le partenze sono proseguite per i restanti 7, 8 giorni quando il caso era ormai chiuso con particolare soddisfazione da parte del "generale" libico restituito alla sua formazione paramilitare, il gruppo armato Rada guidato dal salafita Abdul Rauf Kara.
(…)
Nessun complotto, allora? Il solito business? Concorda un analista indipendente come Matteo Villa, del centro studi Ispi, che su Twitter ha mostrato come i trend di partenze dalla Libia in realtà siano costanti da anni e semmai in ripresa da novembre scorso. Scrive, polemico con tutti quelli che hanno spiegato l'aumento degli sbarchi dalla Libia come una conseguenza dell'arresto di Almasri: «La politica italiana è incredibile, ma anche il giornalismo che gli va dietro». Detto ciò, Villa trova risibile che si possa parlare di un effetto "deterrente" del Protocollo Albania quando vi sono stati trasferiti 49 migranti (di cui 5 subito rimpatriati) a fronte delle migliaia che arrivano nonostante tutto. Difficile dargli torto.
Tutti questi bengalesi, pakistani, siriani, eritrei, etiopi sono partiti avendo pagato migliaia di euro in anticipo e a prescindere dalle contingenze italiane del momento. La spinta migratoria dal Bangladesh e dal Pakistan, in particolare, pare incontenibile. Fino a qualche mese fa potevano contare addirittura su un vettore aereo siriano, la controversa compagnia Cham Wings dietro cui si celavano i sodali del dittatore Assad, che faceva la spola dagli aeroporti pakistani e bengalesi con Damasco e da lì con l'aeroporto di Bengasi, nella Libia orientale. Era tutto molto facile. E quando poi i migranti erano atterrati, i trafficanti li nascondevano in appartamenti o capannoni dove aspettavano il primo barcone utile.
Se il governo ritiene quindi che la vicenda di Almasri non incida sulle partenze, ciò non toglie che il trend in ascesa li preoccupi moltissimo, ma Meloni e Chigi possono fare ben poco. Devono solo sperare che ci sia una tregua tra i combattenti tribali, che le "autorità" locali riprendano il controllo dei porti e che rispettino l'impegno di frenare le partenze.
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Con quali metodi, si sa.
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