Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera”
Dopo un «conclave» cominciato alle 10 del mattino e durato oltre 11 ore, i Berliner Philharmoniker non sono riusciti a nominare il nuovo direttore musicale. C’è stata una spaccatura frontale tra la linea progressista, favorevole al lettone Andris Nelsons, 37 anni, e il tradizionalista Christian Thielemann, berlinese 56enne che rappresenta il ritorno al sinfonicismo germanico, il richiamo a Furtwängler.
Thielemann, candidato numero uno, in serata era a un soffio dalla nomina, ma hanno pesato le ombre sulla sua posizione politica, il suo nazionalismo culturale e le sue dichiarazioni anti-islamiche. Cose che in una città come Berlino fanno sentire il loro peso. Una partita aperta tanto che il pianista Lang Lang aveva twittato: «Maestro Nelsons, sono fortunati ad averti».
Philharmoniker Berliner Orchestra
E i Berliner hanno replicato: «Non credete ai rumors, vi terremo informati». Il successore di Simon Rattle, sotto contratto fino al settembre 2017, sarà quindi scelto tra sei mesi o forse un anno.
I Berliner erano a un bivio storico: ricercare il suono inconfondibile, potente e sontuoso, stile Karajan per intenderci, o proseguire nel solco della «modernità» tracciata da Abbado e Rattle? È l’unica orchestra al mondo che sceglie democraticamente, al proprio interno, il direttore musicale, con una dichiarazione di voto in un’urna. L’appuntamento era segreto, ma nel pomeriggio si è appreso che il luogo era la chiesa di Gesù Cristo, usata alla fine della Seconda guerra come studio di registrazione. Hanno dovuto lasciare fuori i cellulari e sono entrati.
Un’atmosfera da guerra civile. Sono musicisti di 26 paesi, alcune comunità hanno una folta rappresentanza: i sudamericani e gli spagnoli volevano Gustavo Dudamel, i russi Kirill Petrenko, gli israeliani si sono battuti per Daniel Barenboim. Suscettibilità e sensibilità al calor bianco.
Dicono che l’errore con Barenboim sia stato quello di avergli preferito, 16 anni fa, Rattle. Barenboim aveva dato una disponibilità di tempo limitata per contemplare il suo altro incarico alla Staatsoper. La componente tedesca ha mantenuto un atteggiamento di neutralità.
Lo scontro su Thielemann è stato duro, i suoi fautori hanno denunciato il conformismo di una certa sinistra, il bon ton ipocrita, il politically correct: «In fondo, dire che in Occidente esiste un problema di immigrazione fuori controllo non vuol dire essere razzisti». Si è fatto troppo chiasso e la sua candidatura è svanita. Così è scattato un clima da «Prova d’orchestra».
Gli anziani del consiglio, i Berliner in pensione, hanno dispensato suggerimenti. I clamori si sono azzerati improvvisamente due giorni fa, al concerto di Mariss Jansons, 72 anni, anche lui nella rosa, ma ha appena firmato il contratto con la Bayerischen Rundfunks, e la priorità era un’età giovane per sprigionare energie, duttilità e ambizioni.
A Berlino, l’orchestra rappresenta la società e la società rappresenta l’orchestra. Un gioco degli specchi in cui, così dicono, era auspicabile un direttore con un divismo controllato, che non disturbi. «Quel che è certo è che non volevamo un’elezione alla Papa Luciani, che durasse un mese».
BARENBOIM DIRIGE Barenboim Andris Nelsons