Cristiana Lauro per Dagospia
Il mondo del vino ha una particolare inclinazione a flettersi alle mode, un po’ come i ragazzini che intasano i profili social di Sfera Ebbasta. Oggi si tende ad assaggiare col gusto degli altri, generando flussi (e derive) di consumatori un po’ spiazzati che oscillano in varie direzioni a seconda di dove tira il vento.
Insomma ultimamente si beve con le orecchie, per sentito dire. Un po’ di approfondimento non guasterebbe ma l’epidemia di sedicenti esperti, soprattutto in rete, ha contaminato il ruolo dei divulgatori. Quelli bravi che parlano per farsi capire, non per fare i fenomeni col calice in mano. E per inciso, sono rimasti quattro gatti.
Fin qui se ne sono viste di tutti i colori, siamo passati dai vini comò che sapevano più di legno che di uva, alla demonizzazione grossolana delle botti di legno in favore del cemento che però una volta vetrificato - come previsto dalle vigenti normative - diventa un’altra cosa.
(Se volete approfondire il discorso delle vinificazioni in cemento ecco un buon riferimento https://www.winesurf.it/inchiesta-sulle-vasche-cemento-cosa-ne-pensano-produttori-enologi-consumatori/)
Contemporaneamente o giù di lì, il trend ha messo al bando tutti i vitigni internazionali, pericolosi nemici da combattere.
C’è stato il periodo dei vini mangia e bevi - densi, a trama fitta, spesso surmaturi - che somigliavano alle marmellate di frutta. Erano decisamente carenti di acidità che è una delle tre componenti fondamentali dell’equilibrio gustativo di un vino, assieme al grado alcolico e al residuo secco (ovvero il frutto).
Di lì a poco una sorta di ribellione oltranzista, i moti rivoluzionari del fiasco, stabilì l’esatto contrario orientando la voga su vini scarni, anoressici e con acidità spiccate quasi taglienti in gola. L’industria farmaceutica, visto l’ incremento impressionante dei consumi di sistemi tampone antiacido e gastroprotettori di vario genere, tuttora ringrazia.
GIANNI BRERA E IL VINO - GIANNI RIVERA
C’è stato il periodo dei vini non filtrati per partito preso, fino alla confusione mentale di alcuni produttori i quali - per non sottrarsi a ciò che interpretavano soltanto con occhio modaiolo - arrivarono al paradosso di proporre lo stesso vino in versione filtered o unfiltered specificata in etichetta. Che è un po’ come l’offerta per le bimbe della Barbie bianca, nera o con gli occhi a mandorla e le bacchette di legno in mano.
Anche i vini che sanno d’aceto (che una volta si chiamava spunto e oggi volatile) hanno avuto la loro ribalta perché in nome della naturalità qualcuno si è messo a produrre un po’ alla carlona senza considerare che si possono ridurre gli interventi in vigna con prodotti di sintesi anche senza sostituire la chimica con difetti organolettici. Difetti che finiscono per diventare gli unici elementi di riconoscibilità di quel vino, alla faccia del vitigno, del territorio e della zona di produzione. Un po’ come se le belle signore si riconoscessero per la cellulite o il fascino dei maschi dal sudore ascellare.
Oggi se non bevi Orange Wine rischi di essere tagliato fuori dal consorzio umano, sei antico. La tendenza attuale vuole solo vini bianchi lungamente macerati e se per caso il vino bianco non ha fatto una macerazione lunga una quaresima che lo ha reso color tè freddo, per molti non è all’altezza dei palati esperti.
Ci tengo a ricordare che i vini che bevevano i nostri nonni erano a tutti gli effetti Orange Wine. Sappiatelo!
INCHIESTA SULLE VASCHE IN CEMENTO: ECCO COSA NE PENSANO PRODUTTORI, ENOLOGI, CONSUMATORI
La nostra inchiesta sulle vasche in cemento ha avuto risposte molto interessanti e particolareggiate. Ci sembra quindi doveroso come prima cosa ringraziare tutti quelli che ci hanno dedicato il loro tempo rispondendo ai nostri quesiti. Detto questo scendiamo nel dettaglio delle risposte, cercando di sintetizzare i punti salienti di ognuna.
Carlo Boscaini in Valpolicella le usa da cinquant’ anni e negli ultimi anni ne hanno acquistate diverse, però più piccole. Le ritiene utili soprattutto per i rossi da invecchiamento: questi fino a quando non vanno in legno, se stanno nel cemento e non in acciaio, si riducono molto meno. Alla base della riscoperta del cemento Carlo mette la stabilità di temperatura e, appunto la minore o assente riduzione di un vino in cemento. Non crede che conferiscano particolari caratteristiche aromatiche al vino.
Fausto Perathoner della cantina trentina Maso Grener adesso non ha vasche di cemento ma le ha usate in passato, anche in Croazia. Prima di rispondere alle nostre domande riporta un bellissimo aneddoto “Ho avuto il piacere ( e l’onore) di avere una lunga frequentazione con il dott. Tachis e durante una sua visita in cantina ( lavoravo in Trentino ed erano gli anni 90) aveva notato che c’erano due escavatori impegnati a smantellare delle vasche in cemento per far posto a vinificatori in acciaio inox.Rientrato in Toscana Tachis mi scrisse una lettera dai toni amichevoli, ma molto critico sul fatto di aver visto smantellare un patrimonio così importante e terminava la sua lettera dicendo che non sarebbero stati lontani i tempi in cui avremmo visto uscire i vinificatori super tecnologici dalle cantine per far rientrare il cemento! E anche in quell’occasione aveva visto bene.”
Per lui i vini vinificati in cemento, fossero essi vini bianchi ( riesling/pinot Grigio) o rossi (cabernet/Merlot) dal punto di vista sensoriale avevano sempre un naso molto pulito e aperto ( ma non ossidativo) e anche in bocca si evidenziava la sapidità e la rotondità. Normalmente i vini vinificati in cemento erano pronti prima, ma non avevano una vita più corta.
Rispondendo al nostro quesito sui motivi principali della “riscoperta” del cemento pensa che in molti casi ci siano più motivazioni di comunicazione che di sostanza o di verifiche concrete. Crede che l’omologazione di molti vini ( sia per denominazione che per zona di produzione) a cui abbiamo assistito negli ultimi 20 anni, anche con l’innalzamento del livello qualitativo, sia uno dei motivi che stimola a ricercare e a provare delle cose alternative ed ,in un certo senso, ritornare un po’ indietro.
Angelo Bertacchini, libero professionista in varie cantine, consiglia ai suoi clienti che hanno rossi da invecchiamento di sostituire l’acciaio con il cemento. Ammette che venti anni fa era di parere diverso ma l’esperienza gli ha fatto rivalutare il cemento. Addirittura aggiunge “A parer mio sono molto utili se impiegati per lunghi affinamenti, in alternativa all’impiego della botte” Inoltre “In vini particolarmente poveri di tannini ed antociani, questo rappresenta un ottimo strumento per favorire la stabilizzazione della materia colorante, senza influenzare radicalmente col legno il gusto del vino”. Indubbiamente una visione molto interessante.
Francesco Brigatti in Alto Piemonte dice “Ho sempre usato le vasche di cemento per il nebbiolo, sia in fermentazione che per lo stoccaggio prima di imbottigliare. In fermentazione ho una temperatura più costante e uniforme con migliore estrazione, inoltre è più facile anche la gestione della fermentazione malolattica.” In Alto Piemonte in passato le utilizzavano solo per fermentare ma oggi le cose sono cambiate . Comunque precisa “Sono utili sul Nebbiolo, dove la gestione della fermentazione è più difficile e dove spesso le temperature ambientali sono più basse in quanto è l’ultima uva ad essere vendemmiata, mentre la vespolina viene meglio in acciaio.” Comunque anche per lui un vino in cemento va meno in riduzione che in acciaio.
Hannes Rottensteiner , produttore in Alto Adige, ci presenta anche lui un pezzo di storia. Le ha dal 1956 ma quelle costruite allora erano troppo grosse per le caratteristiche attuali della sua azienda, quindi adopera solo le più piccole e le ha dotate di sistema di refrigerazione. Afferma che “in fermentazione le ritengo alternativa molto valida al legno. Anche dopo la fermentazione sono praticamente una via di mezzo tra legno (molto ossidativo) e acciaio (a volte eccessivamente riduttivo).”
Le ritiene più utili per “Vini di corpo più consistente, con tenore tannico da ammorbidire, dove però si vuole dall’altra parte anche conservare il frutto che almeno in parte andrebbe perso in legno. Vini che tollerano anche una temperatura di fermentazione un pochino più elevata. Vini che devono fare la malolattica: in quest’ultimo caso perché mantengono meglio la temperatura.”
STING E LA PRODUZIONE DI VINO IN TOSCANA
Stefano Cinelli Colombini da Montalcino, dopo aver premesso che loro hanno vasche in cemento praticamente dall’Ottocento sostiene che
“I vini a base sangiovese in Toscana si ossidano facilmente, per cui possono essere danneggiati da barriques e simili contenitori piccoli con elevato scambio di ossigeno. Inoltre quei piccoli vasi con doghe molto sottili non hanno coibenza, per cui sentono molto gli sbalzi di temperatura. Tutto questo può invecchiare troppo rapidamente il vino e va usato con cautela. Però i sangiovesi toscani sono molto acidi e tannici, per cui necessitano di un lungo periodo di maturazione e affinamento prima di essere messi in commercio. Le vasche in cemento vetrificate sono ideali per questo fine, hanno una elevata coibenza e non fanno passare l’ossigeno per cui fanno maturare il vino rallentando al massimo l’invecchiamento.” Inoltre e questo è molto importante “I vasi in cemento vetrificato permettono una evoluzione lenta dei vini in un ambiente a bassa ossidazione, per cui alla fine si hanno vini perfettamente maturi ma più freschi.” Chiude dicendo che “Chi lavora bene non ha mai cessato di usare i vasi in cemento, mentre chi segue le mode li ha buttati. E ora li ricompra.”
Ofelia Bartolucci, della cantina romagnola Enio Ottaviani, dove ci sono ben 47 vasche in cemento che per loro sono fondamentali, parte da lontano dicendo “che il cemento negli anni sessanta era sinonimo di cantina sociale” e quindi era poco considerato per la produzione di vini di qualità.
Per lei “Il cemento è un vaso vinario intermedio, tra il legno e l’acciaio. Fa – in minima parte – il lavoro che può fare una botte grande in legno, con alcune interessanti eccezioni:per esempio una microssigenazione costante e graduale con l’esterno ( quindi un dialogo tra vino, cemento e l’ambiente in cui si trova, con una costanza termica graduale) mentre il legno risente invece a volte di shock termici, così l’acciaio. Inoltre il cemento – a differenza del legno – non rilascia alcun sentore, permettendo così una naturale evoluzione del vino.
Fabrizio Ciufoli, enologo, dopo aver ammesso che la sua cantina di famiglia (Poggio Bertaio) non ha cemento solo perché nata da poco, ammette che nelle cantine in cui collabora “ Ho iniziato a usarle quando mi sono reso conto che l’uso che potevamo farne non era assolutamente quello per cui sono nate (cioè la fermentazione) e cioè quando ho capito che in fase di stoccaggio post legno, sia prima sia dopo aver realizzato i blend avevano un risultato nettamente superiore a quello dell’acciaio”
Quando gli viene chiesto se a livello sensoriale conferiscono caratteristiche al vino dice una cosa veramente interessante “A mio parere più che conferire nuove caratteristiche al vino, contribuiscono a mantenere integre quelle più positive che il vino ha!”
Ancora più importante la chiusura: quando chiediamo se crede ci siano motivi prevalentemente economici e/o di marketing nella recente riscoperta di questi contenitori? Afferma “La soluzione ai problemi da me riscontrati in fase di stoccaggio con le vasche di acciaio sono superabili solo climatizzando l’ambiente in cui esse si trovano. E’ ovvio che se si hanno a disposizione vasche di cemento non c’è bisogno di climatizzare e così i costi si riducono sostanzialmente, ottenendo inoltre ottimi risultati”.
Per correttezza c’è anche chi, come il lettore Simone Santini è nettamente contrario al cemento, sostenendo che nelle resine che vengono usate per vetrificarle ci sono sostanze tossiche che si sciolgono nel vino..
Allora, vediamo di tirare le fila:
La prima cosa che si nota dalle risposte la sapevamo e cioè che l’uso delle vasche in cemento era molto diffuso in passato, almeno fino agli anni settanta. A questo fatto aggiungerei una cosa e cioè il “valore negativo del passato”: la cantina Ottaviani ha sottolineato il fatto che le vasche in cemento ad un certo punto hanno fatto tanto “cantina sociale”, con una chiara valenza negativa.
In effetti le grandi, spesso gigantesche vasche che tante cantine, sociali o meno, avevano in passato, erano difficilmente gestibili e soprattutto richiedevano, per averle al meglio, costi di gestione (vetrificazione etc) piuttosto alti . Mi tornano in mente le tine in legno che si usavano in Toscana fino agli anni sessanta, viste successivamente (per fortuna per un breve periodo) come il demonio. In realtà andavano benissimo se pulite e perfettamente sanificate: la stessa cosa possiamo dirlo per le vasche in cemento.
Tutti i produttori e gli enologi che ci hanno inviato le loro annotazioni non usano le vasche in cemento solo per la vinificazione, ma anche per lo stoccaggio (prima o dopo passaggi in legno) e soprattutto per l’affinamento.
Sullo stoccaggio tutti sono d’accordo su una cosa e cioè che il vino (quasi sempre in questi casi si parla di vino rosso) tende molto meno a ridursi se tenuto in vasche di cemento. Questa funzione è forse uno dei principali motivi di un ritorno in auge di questi contenitori.
Per quanto riguarda invece l’affinamento, questa funzione, sicuramente poco utilizzata in passato, sembra abbia preso piede quasi come “morbido rifiuto” dell’utilizzo del legno. La strada di usare meno legno in affinamento a sua volta, secondo noi, è dovuta da una parte alla tendenza del consumatore di avere vini meno marcati da legno e dall’altra dall’indubbio vantaggio finanziario che una vasca in cemento ha nel tempo rispetto ad una botte.
In definitiva ci sembra di notare come la vasca in cemento più che diventare “di moda” abbia ripreso un ruolo che le competeva, con alcuni interessanti usi attuali dovuti anche alla diminuzione, da parte dei consumatori, del feeling con vini molto marcati da legno.