Loris Mazzetti per il “Fatto Quotidiano”
Il Festival di Sanremo di Carlo Conti è stato un grande successo non solo per gli ascolti da record e i 6,5 milioni di euro di attivo, ma per i contenuti. Le strisce arcobaleno portate sul palco dagli artisti: più significative che tante parole sulle unioni civili.
Il maestro Ezio Bosso affetto da Sla (tra Elton John e Nicol Kidman), sulla carrozzella, con le sue emozionanti parole e la straordinaria performance musicale può aver aiutato gli spettatori a vincere i troppi pregiudizi legati al rapporto con la disabilità.
Questa è la tv servizio pubblico di cui c' è bisogno, il bene comune che merita il canone. La presenza di Bosso ha segnato uno dei picchi d' ascolto dell' intera manifestazione: oltre 13 milioni di telespettatori. Portarlo all' Ariston non è stata un' operazione semplice, il diversamente abile è ancora considerato un tabù, quattro mesi di faticosissima trattativa con la Rai.
Merito di Carlo Conti che lo ha imposto e alla tenacia della giornalista Paola Severini, per nulla intimorita di fronte all' indisponibilità di certi personaggi che nulla hanno a che vedere con gli obiettivi di questa Rai. Severini da sempre si occupa di solidarietà e diritti sia sulla carta stampata che a Radio Rai.
Il suo progetto Musica antidiversità avrebbe meritato anche la partecipazione del gruppo rock Ladri di carrozzelle, formato da giovani con difficoltà motorie, sette album di cui due live e una media di cento concerti l' anno al loro attivo. Sono dei big della musica leggera.
Una risorsa per il prossimo Festival. Sanremo 2016 ha dimostrato che la tv generalista vive e regna insieme a noi. La media dell' età di chi lo ha seguito è stata di 53 anni contro i 60 di Rai1, il 39,74% tra i 25 e 34 anni, oltre il 44% tra i 15 e 24. In crisi non è la tv generalista ma ciò che essa offre.
Enzo Bosso; il grande Nino Frassica con la favola A mare si gioca, il bambino che aspetta invano la mano del papà che lo tiri fuori dall' acqua; l' atleta disabile Nicole Orlando dal cromosoma in più; la scuola di Ceresole Reale che continua a esistere nonostante solo due allievi, sono la dimostrazione che si può e si deve, nelle trasmissioni Rai, trovare spazi che servano a far conoscere il paese reale che non è solo quello degli scandali e della violenza.
È dovere del servizio pubblico non inseguire solamente l' ascolto e di smarcarsi dalla bulimia dei politici di essere presenti in tv a tutte le ore e in tutti i programmi.
2. POI È ARRIVATO EZIO BOSSO E IL FESTIVAL HA CAMBIATO PELLE
Mario Raffaele Conti, Dea Verna e Nicole Persicoper “www.oggi.it”
Poi è arrivato Ezio Bosso e il Festival ha cambiato pelle. Un artista è salito sul palco dell’Ariston e ha cominciato a parlare di senso della vita: «La musica siamo noi, è una fortuna che condividiamo. Noi mettiamo le mani, ma ci insegna la cosa più importante che esista: ascoltare».
Si contorce sulla sua sedia a rotelle per colpa della malattia, la Sla, e per l’emozione, ma non smette mai di sorridere e quel sorriso contagia, invade l’anima, passa attraverso lo schermo e arriva al cuore e alla mente. Non è pietà per un musicista che è stato devastato dal male più atroce, che paralizza i muscoli ma lascia intatta la consapevolezza e l’intelligenza e l’emozione. No, la pietà non c’entra.
È che il pianista, compositore, direttore d’orchestra Ezio Bosso, 44 anni, è anche un maestro di vita. Davanti a un discutibile tweet del blog satirico Spinoza («Commovente come anche una persona disabile possa avere una pettinatura da coglione») ha risposto con ironia: «Quello perché cerco di pettinarmi da solo».
«Lo conosco dagli Anni 90 ed era già un genio allora», rivela Gaetano Curreri, leader degli Stadio. «Aveva appena composto la colonna sonora del film di Gabriele Salvatores, Io non ho paura, e mi colpiva la sua capacità di teorizzare e comporre musica». È un musicista classico, ma in Italia è poco conosciuto in quell’ambito.
A eccezione del maestro Mario Brunello, uno dei più bravi violoncellisti al mondo: «Con Ezio ho registrato un disco, ha scritto una Sonata per me, abbiamo suonato tanto insieme e siamo molto amici», ci ha spiegato, «ma preferisco lasciare a lui tutto il meritato successo».
Mario Lavezzi e Franco Mussida, due eccellenze del rock italiano, ci hanno confessato il loro interesse professionale. Per Bosso si apre una carriera anche in Italia, lui che ha diretto la London Symphony Orchestra e l’Orchestra dell’Accademia della Scala, che ha scritto per il balletto e composto anche sinfonie.
All’estero è famoso
Nel rock ha già navigato, per tre anni, fino all’88, è stato il bassista del gruppo mod degli Statuto. Poi si è buttato anima e corpo nella classica che lui aveva studiato fin da piccolo.
Lo stesso Bosso ha ricordato l’incontro con John Cage, guru della musica contemporanea, che lo salvò da un insegnante manesco all’età di 11 anni: «Durante una delle lezioni in cui, come al solito, venivo maltrattato entrò nell’aula questo signore di una certa età. Semplicemente si sedette e chiese se potevo ripetere l’esercizio che stavo facendo. Alla fine disse: “A me sembra molto bravo, perché grida?”».
Bosso non è molto conosciuto in Italia anche perché la sua carriera si è sviluppata soprattutto all’estero. Ha calcato palcoscenici prestigiosi come il Sydney Opera House, il Teatro Colon di Buenos Aires, la Carnegie Hall di New York, ha vinto premi come il Syracuse New York Award per la miglior colonna sonora nel film di Cristiano Bortone Rosso come il cielo o il Green Room Award 2010 in Australia. Ha vissuto a Londra e dal 2013, due anni dopo aver scoperto di essere malato, è tornato a Torino (ora vive all’Opera Barolo).
Il dramma è del 2011 quando subisce un intervento al cervello: «A un certo punto avevo perso tutto, il linguaggio, la musica: la ricordavo, ma non la capivo», ha raccontato. «Suonavo e piangevo, per mesi non sono riuscito a far nulla. La musica non faceva parte della mia vita, era lontana, non riuscivo ad afferrarla. Ho scoperto così che potevo farne a meno. E non è stato brutto. È stato diverso, è stata un’altra esperienza».
Questo è Ezio Bosso, l’ex bambino prodigio che a 4 anni imparò il solfeggio prima dell’alfabeto, che è stato introdotto alle note dalla zia e dal fratello musicisti. L’uomo che cinque anni fa ha dovuto ricominciare daccapo, ritrovare «la coordinazione tra corpo e mente necessaria per tornare al pianoforte».
Ora ha pubblicato un doppio album tutto suo: The 12th Room, ispirato ai libri di Helena Blavatsky, «una teosofa che tra i suoi libri cita frammenti del libro tibetano proibito o maledetto che si chiamava proprio Libro delle 12 stanze», spiega.
«C’è una teoria antica che dice che la vita sia composta da 12 stanze», ha illuminato anche dal palco di Sanremo. «Sono le 12 in cui lasceremo qualcosa di noi, che ci ricorderanno». Ha scritto lui stesso: «Ci sono incontri, dove giri lo sguardo e dici sì, solo sì. Fai proprio sì con la testa. Non riesci a fare altro. E tutto è diverso. Tutto è cambiato».