BUIO IN SALA - AL RAPPORTO ANNUALE SUL CINEMA, IL BILANCIO È SEMPLICE: 'SE FOSSE UN'AZIENDA DOVREBBE CHIUDERE DOMANI MATTINA'. INVECE SI FANNO SEMPRE PIÙ FILM, VISTI DA SEMPRE MENO SPETTATORI - A CINECITTÀ NON C'ERANO PRODUTTORI, REGISTI, NÉ FRANCESCHINI

110 milioni persi dal 2012, meno spettatori, meno incassi, una miriade di film a basso budget prodotti coi soldi del ministero e rimasti per lo più invisibili - Più spettatori spariscono, più film facciamo. Il finanziamento statale si riduce? Lo spalmiamo su più titoli. Meno soldi a ogni progetto, tanti piccoli film per tutti...

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Andrea Minuz per "Il Foglio"

 

DARIO FRANCESCHINI E MICHELA DI BIASE FOTO LAPRESSE DARIO FRANCESCHINI E MICHELA DI BIASE FOTO LAPRESSE

Se fosse un’azienda dovrebbe chiudere domani mattina, ma qui si tratta di una comunità e dobbiamo fare un ragionamento diverso”. Un incipit memorabile ci guida nella lenta, impietosa e un filo sfocata proiezione di slide. Sopra ci sono dati, cifre, analisi, curve statistiche del “rapporto 2014” sull’industria del cinema italiano, presentato al Teatro Blasetti degli studi di Cinecittà a cura della Fondazione Ente dello Spettacolo e del ministero dei Beni culturali – direzione generale per il cinema. Un “paese non ancora uscito dalla crisi”, un “comparto frammentato”, una “contrazione del business”.

 

Mentre cerchiamo di capire dove sia il business prima ancora di contrarsi, arrivano i numeri. Ed è subito Grecia. La cosa però va affrontata con savoir-faire. “E’ un’immagine in chiaroscuro”, “va detto che al sud crescono i monosala e lì il consumo ha tenuto”, “c’è tanto cinema di qualità”. Scattano persino punte d’orgoglio: “Da quest’anno l’Italia è il primo paese in Europa per numero di film con una produzione completamente domestica”.

 

Tradotto: “nessuno pare minimamente interessato a produrre film con noi”, ma detto molto meglio. Qualcuno avverta Cacciari di preparare un “siamo tutti figli del Logos e del Neorealismo”, un richiamo alle radici comuni della tragedia e della commedia, alla culla dell’audiovisivo, a Varoufakis e Vaporidis. Può forse continuare il cinema senza di noi? No. Però ci stiamo impegnando.

 

ritrovato film festival, bologna ritrovato film festival, bologna

110 milioni persi dal 2012, meno spettatori, meno incassi, una miriade di film a basso budget prodotti coi soldi del ministero e rimasti per lo più invisibili (per carità, non sempre è un male). Non si capisce quale oscuro algoritmo tra domanda e offerta ci spinga ad aumentare ogni anno il numero di film prodotti. Più spettatori spariscono, più film facciamo. Il finanziamento statale si riduce? Lo spalmiamo su più titoli. Meno soldi a ogni progetto, tanti piccoli film per tutti.

 

Lo stato pare farsi carico del diritto di ogni cittadino a diventare regista, almeno a sganciargli un’opera prima (sarà pure scritto da qualche parte nella Costituzione più bella del mondo). Ci sarebbe il problema di vederli tutti questi film, o almeno di venderli all’estero. Ma queste son cose del mercato. Noi qui si aiuta l’artista a esprimere se stesso e il proprio disagio per un paese che non lo capisce. Mica come in Francia, lì sì. Lascia stare che hanno perso mezzo miliardo negli ultimi quattro anni pure loro. Fa niente. Non c’è regista italiano che passi da Cannes senza ricordarcelo.

SPETTATORI AL CINEMA 3 SPETTATORI AL CINEMA 3

 

La Francia è il modello. L’esempio. Si finanziano e si premiano il triplo di noi. I numeri basta guardarli dal verso giusto. “Quando andiamo all’estero siano ancora quelli di Fellini e Rossellini”, ricorda il direttore generale per il cinema, Nicola Borrelli, uscendo per un attimo dall’understatement generale. “Il quadro complessivo del rapporto è quello di un settore stagnante. Siamo scomparsi dalle vendite internazionali. Coi premi non ci facciamo nulla. Ci accontentiamo dell’Oscar a Sorrentino o delle vendite di Gomorra, ma a parte questo non esistiamo.

 

Non siamo capaci di guardare al mondo e il problema della lingua è un alibi. Come industria dell’audiovisivo, l’Italia è indietro alla Danimarca, e anche i danesi hanno il danese. Siamo l’unico paese che non ha esportato un format negli ultimi tre anni”. Ma in questo lento inabissamento verso un futuro residuale c’è pur sempre un mondo perfetto. E’ il meraviglioso mondo di Rai Cinema/01 Distribution. “Il 2014 è stato un anno di crescita”, dice il delegato del servizio pubblico Carlo Brancaleoni.

 

La grande bellezza Toni Servillo La grande bellezza Toni Servillo

“Rai cinema ha raccontato il paese con una grande differenziazione di linguaggi narrativi. Da Ermanno Olmi che ha affrontato la Prima guerra mondiale con ‘Torneranno i prati’, al registro ironico di Mazzacurati, a un thriller dal linguaggio destrutturato come ‘Il capitale umano’ di Virzì… il successo del film per noi non può limitarsi al botteghino. Dobbiamo raccontare tante storie diverse al servizio dei cittadini”. Oltre ai thriller, Rai Cinema ha ormai ampiamente destrutturato anche il mercato italiano occupando tutta la filiera produttiva, dal film alla distribuzione, per proteggere i cittadini dalla concorrenza. Ma per quanto ancora possiamo stare tranquilli?

 

“Non ci deve spaventare questo momento di grandi trasformazioni… non ci deve spaventare Netflix”. Ma infatti. Siamo una comunità, non ce lo dimentichiamo. Anche se a sentire il report non c’era quasi nessuno. Non un produttore. Non un regista. Non c’era neanche Franceschini che l’anno scorso “c’aveva messo la faccia”, come scrissero i giornali. “Mettete un borgo medievale nei vostri film… riempite di grande bellessa il cinema italiano”, così disse. Sarà che l’effetto dell’Oscar è svanito. Saranno stati i quaranta gradi all’ombra della Tuscolana. Sarà che erano tutti in Umbria a cercare borghi medievali per le riprese. 

gomorra la serie tv genny e o nano gomorra la serie tv genny e o nano

 

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