this is an exact replica of jimmys lambretta from the movie quadrophenia its signed by pete townsend and roger daltry of the who
Luca Fazzo per ‘Il Giornale'
Si sono accapigliati per quasi vent'anni, contendendosi quel che restava di un sogno. Il sogno era l'avventura industriale di Ferdinando Innocenti, l'uomo venuto dalla Valdinievole che portò a Lambrate i tubi, la Lambretta, la Mini.
Quel che ne restava è una montagna di milioni tra contanti, gioielli, palazzi, titoli. Sessanta milioni. Un tesoro, più che un tesoretto: intorno al quale, come spesso accade quando in ballo ci sono un sacco di soldi, si è sviluppata una aspra battaglia tra eredi. Cui solo l'altro ieri la sentenza della Corte d'appello di Milano seconda sezione, ha messo conclusione.
L'oggetto del contendere era l'eredità di Luigi Innocenti, figlio unico di quel capitano d'industria vulcanico ed efficiente che fu Ferdinando. Il capostipite era morto nel 1966, lasciando Luigi alla guida di un piccolo impero che spaziava dalla meccanica pesante, alle automobili, agli scooter. Tempo cinque anni, e Luigi aveva deciso che la vita dell'imprenditore non faceva per lui. Colpa forse dell'autunno caldo, che aveva reso le fabbriche un posto meno pacifico che negli anni Cinquanta. O forse semplicemente questione di indole.
Fatto sta che nel 1971 Luigi Innocenti vende tutto, spezzettando la creatura paterna. La meccanica passa all'Iri, cioè allo Stato. Le Lambrette agli indiani. Le automobili finiscono in mano alla British Leyland. Luigi Innocenti si ritrova in mano una valanga di contanti, anche perché ha avuto l'accortezza di fasri pagare estero su estero, su un conto alla filiale Ubs di Lugano. Totale, 43 miliardi di lire dell'epoca. Quando nel 1976 in Italia entra in vigore la legge sul rientro dei capitali, un condono ante litteram, ne fa tornare solo 17.
Nello stesso anno in cui vende l'impero, Luigi Innocenti ottiene l'annullamento del suo primo matrimonio. E qui si innesca lo scontro ereditario che solo ora arriva a compimento. Perché Innocenti ha già un figlio, Gianfranco, nato dal primo matrimonio. Ma ha già anche una nuova compagna, Liliana Querci, che sposerà nel 1980 e che nel 1981 gli dà un secondo figlio, Lorenzo. Per un po', figlio di primo letto e nuova moglie vanno d'amore e d'accordo.
Poi, man mano che le condizioni di salute di Luigi peggiorano, anche i rapporti nella famiglia allargata virano al brutto. Litigano, si fanno causa, poi si riappacificano, poi litigano nuovamente. E il putiferio scoppia quando, il 12 giugno 1995, Luigi Innocenti muore. Il notaio apre il testamento redatto pochi mesi prima: e si scopre che Innocenti ha deciso di «lasciare tutti miei beni in parti uguali a mia moglie Liliana Querci e a mio figlio Lorenzo Innocenti, che nomino miei eredi universali, cosi revocando ogni mia precedente disposizione testamentaria».
Al primo figlio, Gianfranco, neanche una lira. Il motivo lo spiega lo stesso Luigi, nel testamento: al primogenito è già andata una valanga di soldi quando il padre era in vita, e gli passò progressivamente contanti e altri beni. Venti miliardi di lire in contanti, Svizzera su Svizzera; una quota tra il 40 e il 60 per cento di tutte le società immobiliari, compresa la Immobiliare Laurentiana, padrona di uno stupendo palazzo in via della Spiga; nonchè «tutti i gioielli di mia madre del valore di alcuni miliardi; l'arredamento della mia casa di Roma, via San Nicola Tolentino; l'arredamento della mia casa di Milano, Piazza S. Babila».
Tra gli arredi, la «Collezione Innocenti», una raccolta di mobili di grande valore. Gianfranco Innocenti però non ci sta: e accusa la nuova moglie di avere plagiato l'anziano genitore, reso poco lucido dalla salute malferma. «La malattia ridusse progressivamente anche le sue capacità psichiche, tanto da farlo diventare l'ombra del grande imprenditore a tutti noto, facilmente influenzabile da chi gli viveva a fianco. Gli inviti e le frequentazioni dell'ing. Innocenti cominciarono a essere gestite in via esclusiva dalla signora Querci, la quale andava via via estraniandolo dalla vita sociale e di relazione e da ogni affare, nella vita privata gli venivano preclusi gli svaghi (suonare il pianoforte) e i giochi (le carte) preferiti».
E, negando di avere mai ricevuto regali, Gianfranco Innocenti pretende la sua quota di eredità. Causa interminabile, perizie conto perizie. Nel 2010,il tribunale decide che il testamento va bene così com'è, il primogenito ha già avuto in vita la parte che gli spettava. Ma Gianfranco non molla, nel 2011 ricorre in appello. E adesso perde di nuovo. Dei sessanta milioni lasciati dal padre, dice la sentenza, ne ha già avuti abbastanza.
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