Marco Giusti per Dagospia
Accolto con più calore e più stato di culto o straculto dopo la prima proiezione di ieri sera salutato da una critica decisamente negativa, "Megalopolis", opera finale di un Francis Coppola che pensa al futuro, a fermare il tempo, ma torna agli studi classici, al latino, alla Congiura di Catilina non è un film facile da digerire.
Così pieno di riferimenti anche sofferti al cinema, al suo cinema, di meccanismi narrativi antiquati, di un delirio di immagini che mischiano grandeur e banalità pubblicitaria, sembra un film costruito per dimostrare di essere un autore ancora vivo e ancora in grado di dire qualcosa di nuovo mentre tutto quello e tutti quelli che hai conosciuto scompaiono.
Non a caso è dedicato alla moglie Eleanor e proprio in questi giorni se ne è andato anche il suo mentore, Roger Corman. Coppola trasferisce la storia di Catilina, il suo scontro con Cicerone, in una New York ribattezzata New Roma del futuro dove la scoperta di una nuova materia, il megalon, permette al super-palazzinaro Cesare Catilina, Adam Driver con frangetta alla Frederic Forrest di costruire la città del futuro, Megalopolis. Forte dell'appoggio dello zio, Crasso, un invecchiatisso Jon Voight, e in continuo scontro con il sindaco Frank (come Sinatra) Cicerone, Giancarlo Esposito.
E sotto lo sguardo invidioso del cugino, Claudio, Shia LaBoeuf. Le donne faranno la differenza. La figlia di Cicerone, Giulia, Nathalie Emmanuel, che si innamorerà di Catilina e la giornalista arrampicatrice Wow, Aubrey Plaza, che passerà dal letto di Catilina a quello di Crasso tramando per il potere. I latinisti magari si divertiranno con questa lezioncina di storia, ma francamente penso che la debolezza del film stia proprio nel suo stesso progetto. Perché ripescare Catilina e farne un sognatore costruttore come l'architetto di Ayn Rand.
Più che imbarazzante o decisamente trash, confesso di averlo trovato noioso, specialmente nella parte centrale. Ci sono, è vero, dei momenti notevoli di innovazione, come l'arrivo sul palco di un giornalista che raccoglie il commento di Catilina dallo schermo. O l'uso del megalon come risolvi-tutto come fosse plastilina, o la presenza di vecchi meravigliosi attori di casa, Laurence Fishbourne, Tania Shire, Dustin Hoffman, Jason Schwartzman, James Remar, una Kathtyn Hunter che illumina lo schermo anche in un ruolo minore.
Ma in generale "Megalopolis" sembra un film testamento di un mondo che fu, cinema compreso, e non un ragionamento sul futuro. E non sapete come mi dispiace dire queste cose. Ma se capisci che non avrai sicuramente voglia di rivedere un film, allora non funziona, c'è poco da aggiungere.
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