SUI CARBONI ARDANT: “NON HO MAI AMATO UN MIO FILM. SE TI COMPIACI SEI FREGATO” - “MONICELLI MI AIUTAVA A RIFARE IL LETTO MA IO AMO I MASCALZONI” - “GLI ATTORI? ANIMALI” - “LE QUOTE ROSA? UNA PAROLACCIA”

Fanny Ardant: Truffaut? Non è stata la persona più semplice che abbia incontrato nella vita - Gassman era un perfezionista. Diceva: non parlo mai con un regista. Se è bravo, non c’è bisogno. Se è un cane, finisci per abbaiare con lui” - “Non c’è un bene o un male. C’è la vita. E decidere di non vivere pensando ad altro o perdendo tempo nel rancore è un gran peccato”....

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Malcom Pagani e Fabrizio Corallo per il “Fatto Quotidiano”

 

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   Le lezioni: “Gassman diceva ‘non parlo mai con un regista. Se è bravo, non c’è bisogno. Se è un cane, finisci per abbaiare con lui’”. Le impressioni: “Mi sembrava che Roma fosse perfetta per la gente molto felice come per quella molto infelice perché la bellezza dispera e consola”.

 

Fanny Ardant ha sessantasei anni. Tre figlie. Ottanta film nella sporta. Molti pregi. Qualche vizio innocente. Beve con ammirevole sportività l’acqua che costrinse Fantozzi ad ancorarsi a un pallone sonda in un casinò di Montecarlo. Ride spesso.

 

Gioca d’azzardo: “Ho sempre saputo adattarmi”. Usa “oui” per confermare o precisare le vaste note biografiche che la riguardano e se guarda oltre il bistrot di Saint-Germain, più in là dei profili di Truffaut, Resnais, Scola o Sorrentino, giura di aver accettato la distanza tra realtà e desiderio: “Le cose che hai dentro di te, le aspirazioni e le idee, una volta sviluppate in forma compiuta, deludono. Succede con il cinema e anche se ho sempre amato separare i piani, accade a volte anche nella vita”.

   

Le dispiace?

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   Raccontavo a Maria Callas questa sensazione acre e lei mi consolava: “Bisognerebbe considerare il lavoro come una prova costante”. Aveva ragione. Se ripenso alla mia parabola non sono soddisfatta. In fondo, se rifletto, a posteriori non ho amato un mio solo film.

   

Per superbia?

   Per realismo. La soddisfazione è lo stadio che precede la morte. Se ti compiaci sei fregato.

   

E se non ti compiaci?

   Magari sei fregato lo stesso, però almeno ci provi.

   

Provi a fare che cosa?

   A migliorare, criticarti, rivedere consapevolmente gli errori provando a non commettere di nuovo gli stessi. A cercare una tua strada, soprattutto.

   

Più facile a dirsi che a farsi.

   Tutto è già stato detto e tutto è già stato scritto, va bene, è vero. Ma se nell’arte non metti la ricerca dell’assoluto, è meglio ritirarti a vita privata. Bisogna tentare e rischiare, anche di fallire.

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La ricerca dell’assoluto sembra ambiziosa.

   E magari inutile o molto ridicola. Ma riproporre sempre lo stesso canovaccio per far contenti gli altri o perché è stato già inscenato e per di più ha funzionato molto bene, può essere anche peggio.

   

Per mancanza di curiosità?

   Perché cambiare salva la vita. Il cinema è una macchina complessa. Corre, non ti aspetta e difficilmente ti offre una seconda occasione. Per questo amo tanto il teatro. Il tempo delle prove. Il limbo in cui tutto è possibile. In teatro, che ti elogino o ti stronchino, ogni sera inizi quasi da zero. Hai un’altra chance.

   

Lei la sua la cercò lontano dalla famiglia.

   I riti sociali mi spaventano e i formalismi mi mettono a disagio. Sono cresciuta in una famiglia tradizionale, con un padre ufficiale di cavalleria a Montecarlo, ottimo amico del principe Ranieri, la tenuta in campagna e l’esempio quasi ancestrale dei nonni. Un modello di perfezione che temendo di non poter neanche sfiorare ho abbandonato a ventidue anni.

   

A casa non si discuteva?

   Tutt’altro. Mi hanno sempre spinta a pensare con la mia testa, a essere libera, a poter affermare il mio punto di vista.

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Però non smaniavano per vederla in copertina.

   Non volevano che facessi l’attrice e io me ne infischiai.

   

Lo rivendica?

   Feci benissimo. Non ho mai messo in cima alle mie preoccupazioni il giudizio degli altri. Men che mai di chi ti giudica da fuori. La famiglia è un conto, l’esterno un’altra cosa. Il moralismo in giro costa poco.

   

E il denaro invece che posto riveste?

   Quando servono i soldi, lavori. Funziona così. L’ho sempre fatto, anche da dattilografa. Da segretaria. Battevo a macchina comunicati per il Festival di Aix en Provence.

   

Oggi i soldi mancano?

   A un certo cinema? Molto. Ormai lavori a vista. Salta un film alla settimana. All’improvviso, quando magari hai lavorato sul copione fino alla notte prima. Al tempo stesso ci si ingegna. Se la cornice è povera, le idee devono essere buone. Però devi trottare, offrire il massimo del risultato con il minimo dei mezzi, cercare di evitare la trappola dell’esercizio di stile. Mi sono buttata in questo nuovo mestiere, quello della regista, senza paracadute. Vedremo. I risultati e la soddisfazione.

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È stato difficile passare dall’altra parte?

   Un attore è come un animale. È un cane in una foresta. Se ti annusi con il regista e ti piaci, tutto bene. Se invece fin dal primo momento non ti capisci, recuperare è inutile. Dopo è tardi. E il punto di incontro, il punto di contatto non lo trovi più.

   

Dall’8 aprile lei sarà a Roma, ospite della rassegna “Rendez vous” dedicata al recente cinema francese. Lì presenterà il suo secondo film da regista, Cadences obstinées, ancora senza distribuzione italiana.

   E non mi illudo che arrivi. Per certi film il mercato si è ristretto. Il destino di un’opera, non tanto diversamente da ieri in verità, è diventato un numero al lotto.

   

Per Cadencees obstinées ha scelto un cast eterogeneo.

   La protagonista è Asia Argento. Ci sono Gérard Depardieu, Franco Nero e Nuno Lopes, un bravo attore portoghese che avevo visto nei film di Raùl Ruiz. La storia è semplice. Posso?

   

Prego.

   Racconta un amore che nasce e muore in quattro mesi sullo sfondo della ristrutturazione di un albergo. Più i lavori progrediscono, più l’amore si spegne. Cadences obstinées è un apologo su cosa si possa salvare e cosa possa rinascere dopo la fine di una passione. Ed è anche un film sulla rinuncia.

FANNY ARDANT CON LAMBASCIATORE FRANCESE E SIGNORA FANNY ARDANT CON LAMBASCIATORE FRANCESE E SIGNORA

 

Asia Argento interpreta una violoncellista che ha abbandonato una carriera sicura perché il giorno dopo aver rinunciato a un concerto, decide di rinunciare anche al secondo e poi al terzo fino ad abbandonare completamente le scene. Lascia l’arte per l’amore e poi scopre che l’amore che aveva idealizzato si rivela tiepido, banale e indifferente. Ma non è una vittima delle circostanze, la mia protagonista.

   

Chi è allora?

   Una rompicoglioni. Una donna che si ritrova nella situazione che si è meritata. E quando se ne rende conto, accelera il processo di distruzione della gabbia che lei stessa ha chiuso attorno a sé.

   

Cosa voleva dire con il suo film?

Catherine Deneuve. Fanny Ardant Catherine Deneuve. Fanny Ardant

   Volevo capire qual è il posto che l’amore lascia libero per l’arte. Se l’amore è folle, non c’è spazio per altro. La discussione è antica. E il dubbio fondato: se Mozart fosse stato felice, sarebbe stato così creativo?

   

Le chiedono consigli?

   Di rado. Non è un ruolo che mi somiglia.

   

Se li dovesse dare a un giovane attore che parole userebbe?

   Se proprio dovessi, gli direi “liberati, ascolta la tua voce, non aver paura di essere considerato matto, avanza dritto senza timori”.

   

E cosa non gli direbbe?

   Di essere saggio, ragionevole o educato.

   

Catherine Deneuve. Fanny Ardant Catherine Deneuve. Fanny Ardant

Lei ha detto di non essersi mai sentita femminista.

   Se avessi sostenuto di essere stata femminista sarei stata disonesta e non mi sarei fatta un gran favore.

   

Per quale ragione?

   Perché l’abitudine a incasellare la gente in categorie precostituite non mi convince e il tema delle quote rosa non mi fa vibrare.

   

Per le quote rose si sono armati pensosi dibattiti in nome della parità di genere quasi ovunque.

   Vi dirò: quote rosa mi sembra una parolaccia e alla parità di genere non ho mai creduto. Le cose sono più complesse di uno slogan. Valiamo per quel che siamo. Giovani, vecchi, bambini, amanti, donne, uomini. Libertà e rispetto non sono proprietà di nessuno e femminismo mi pare una definizione riduttiva. Cosa significhi, esattamente non lo so.

   

Truffaut Truffaut

Ha conosciuto uomini rispettosi?

   Ho conosciuto uomini fantastici. Gente molto spiritosa.

   

Nei suoi film però gli uomini sono anche mascalzoni.

   Ci sono anche quelli e non sono sempre rassicuranti. Ma a me in assoluto i mascalzoni sono simpatici.

   

Tanti registi italiani. Il primo incontro importante, Mario Monicelli, avvenne alla fine degli anni ’70.

   C’era una coproduzione italo-francese con la Gaumont e da Parigi spedirono una mandria di ragazze alla volta di Roma.

   

Una mandria?

   Proprio un carico bestiame. Da brave pecore, avremmo dovuto sostenere un provino nello stesso giorno. Monicelli, abilissimo, fingeva di volere il bene di tutte senza desiderare veramente lavorare con nessuna. Alla fine la mandria tornò e io, da pecora nera, decisi di rimanere a Roma.

   

Ci era mai stata prima?

   Un paio di volte. Ci ero venuta anni prima, entrando nottetempo nel Colosseo incustodito. Con i gatti, senza chiedere permesso a nessuno. Una cosa magica, romantica, un po’ scema, vagamente clandestina.

   

MICHELANGELO ANTONIONI MICHELANGELO ANTONIONI

Cosa cercava a Roma quando dopo il provino con Monicelli decise di rimanere in Italia?

   Quello che ho sempre inseguito anche dopo. A Roma non cercavo memorie da turista di passaggio. Non cercavo ricordi. Cercavo di vivere. In quella città era possibile. La gente, le osterie, i quartieri. Ti sentivi parte di qualcosa. Non eri estraneo. Non eri ospite. L’Italia è la mia seconda patria affettiva. Poesia, letteratura, lirica, cinema. Ho conosciuto tante cose.

   

Con Monicelli diventaste amici?

   Mario mi diede ospitalità in una casa romana in cui si comportò da gran signore e vero e proprio angelo del focolare. Mi aiutava a rifare il letto, si preoccupava stessi bene. Monicelli fu il primo a parlarmi in francese, a farmi sentire a mio agio, a condividere i libri, le passioni comuni e uno spazio di dialogo.

   

Era importante che le avesse parlato in francese ?

ETTORE SCOLA E FANNY ARDANT ETTORE SCOLA E FANNY ARDANT

   Molto. Era la mano tesa di uno spirito aperto. Un modo di dire: “Benvenuta”. Mario non fu l’unico. Quando lavorai con Scola ne La famiglia, nel 1987, passai un’estate sul litorale romano. Cenavamo spesso con Ettore, Gassman e Mastroianni. Mi parlavano tutti in francese, sforzandosi di arrotare la erre. La loro dedizione servì da pungolo. Mi misi in pari.

   

In che modo?

   Imparai di corsa l’italiano. Tempo dopo, capii di avercela fatta ascoltando una barzelletta in compagnia. Era una storiella esiziale, una sciocchezza, io ridevo come una bambina con la platea stupita. Avevo capito tutte le parole. Una liberazione.

   

Cosa ricorda del lavoro corale con Scola?

   Un grande divertimento. Una capacità unica di riassumere i fatti e di fare chiarezza per sé e per gli altri. Poi l’ironia.

   

Scola è ironico?

   Ettore, forse per pudore, forse per eleganza, nascondeva la sensibilità sotto un’ingannevole patina di leggerezza. Sembrava cinismo e invece era tranquillità. Dominio della situazione. Intelligenza. Scola aveva una forza tranquilla. Proprio come Antonioni. Ma sapete qual è il vero problema delle interviste e dei ricordi lieti?

fanny ardant gassman fanny ardant gassman

   

Qual è?

   Che spiegare un sentimento è difficilissimo. Dire perché si ama qualcuno è impossibile. L’amore è oscuro, complicato. È molto più facile spiegare perché non ti piace qualcuno. Se parlo di un amico, non riesco a inserirlo nel catalogo se non stendendo un panegirico.

   

Allora parliamo dei nemici.

   Qualcuno a cui non vai a genio lo incontri e qualcuno con cui avresti preferito non lavorare, anche. Il percorso è lungo, la perfezione irraggiungibile.

   

Gassman era perfetto?

   Era di una simpatia pazzesca. Aveva due facce, una ludica e l’altra di aderenza assoluta al lavoro. Veniva spesso a vedermi a teatro quando recitavo a Parigi, a cena, dopo le recite si dimostrava simpatico, allegro e generoso. A un certo punto, cambiava tono. Diceva “e ora parliamo dello spettacolo” Esaminava ogni dettaglio. Un perfezionista totale. Prodigo di consigli.

   

È perfezionista anche lei?

   Senza la vena affratellante, coinvolgente di Vittorio. Senza le sue capacità di mattatore. Sono sempre stata, volontariamente va detto, un po’ per conto mio. Mi ero innamorata del personaggio di Cheyenne in This must be the place di Sorrentino. Mi ritrovavo non lontana da un tipo che ovunque fosse, era sempre un po’ estraneo al mondo. Ma senza revanche. Con uno sguardo gentile. Uno sguardo che prevede anche la possibilità dell’errore.

   

Lei sbaglia spesso?

Lidia Ravera Lidia Ravera

   Sbaglio per amore. E sempre per eccesso. L’equilibrio è un approdo astratto. Ed è bello trovare qualcosa che ti renda felice. A qualsiasi età.

   

Sul tema della donna che conquista in tarda età le hanno chiesto di esprimersi spesso.

   Pensare che ho sempre pensato fosse il clichè più vieto, la cosa più banale della vita. La più antica. Una donna più matura che rende matto un giovane ragazzo è un archetipo. E senza scomodare Edipo – chi c’è di più maturo della madre? – è arduo presentare il rapporto tra una donna adulta e un ragazzo come una rivoluzione contemporanea. Stendhal e Balzac non parlavano d’altro.

   

Alla porta accanto c’è sempre una signora.

   I desideri sono irrazionali. Se li puoi razionalizzare vuol dire che sono diventati già un’altra cosa. C’è l’istinto e l’istinto ha una parte importante nella commedia della vita. È come quando scegli un copione. Perché opti per una sceneggiatura e rifiuti un altro progetto? Cosa ti spinge a decidere? Non certo un’analisi lucida e precisa. Decidi con la pancia e non ti chiedi troppo.

   

È meglio così?

   Se si potesse spiegare tutto ci annoieremmo a morte.

   

Per non annoiarsi reciterà in un film per la regia di Daniel Auteil.

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   Sarà tratto da Piangi pure di Lidia Ravera. Lidia è rapida, arguta, mi ha chiesto di leggere il libro e io mi sono fatta rapire. Ne ho parlato ad Auteuil chiedendogli di esserne il protagonista. Si è entusiasmato. E dopo aver deciso di recitare nel film, ha scelto di dirigerlo. È la storia di una donna anziana, Iris, costretta a mettere in vendita la sua casa in nuda proprietà per problemi economici.

 

Messa per cause di forza maggiore di fronte agli anni che passano, si confida con uno psicanalista. Lui le consiglia di tenere un diario, lei accetta e scrivendo scopre una sè che non conosceva. Come è ovvio, alla fine si innamora di lui. “Mi ha fatto fare pace con il tempo” dice dell’uomo la protagonista.

   Con il tempo, almeno con il tempo che passa, io mi sento in pace da sempre.

   

Cosa ha imparato da Truffaut, suo compagno di vita e padre di una delle sue figlie, Josephine?

   L’entusiasmo per il suo lavoro. L’amore per quel che faceva. Scriveva un copione, ragionava ad alta voce su un’idea e si sentiva felice.

   

 

Era una forma di semplicità?

bol99 roberto bolle fanny ardant bol99 roberto bolle fanny ardant

   Non riuscirei a definire Truffaut la persona più semplice che abbia incontrato nella vita. In società si chiudeva, non parlava volentieri, aveva una natura speciale e un posto deputato a esprimerla. Una forma di racconto in cui diversamente dai salotti, teneva banco come nessuno. Sapeva cosa fare. Quando farlo. Come farlo.

   

Anche lei sa tutte queste cose?

FANNY ARDANT FAUSTO BERTINOTTI FANNY ARDANT FAUSTO BERTINOTTI

   Io non ho mai saputo cosa fare. Ho sempre camminato nel buio, però ho sempre vissuto intensamente. Non saprò mai se ho fatto bene o no ad andare in una certa direzione, ma una cosa la so.

   

Quale?

   Che una buona direzione, una direzione sicura non esiste. Non c’è un bene o un male, una ragione o un torto. C’è la vita. E decidere di non vivere pensando ad altro o perdendo tempo nel rancore è veramente un gran peccato.

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