CHE LOLITIGIO! NEL MEMOIR DI MAURICE GIRODIAS, IL PRIMO EDITORE DEL CELEBRE ROMANZO DI NABOKOV, SCANDALI, LITI E POLEMICHE SU "LOLITA" – L’AUTORE NEPPURE VOLEVA FIRMARE IL ROMANZO COL SUO VERO NOME, IL LIBELLO ERA ONSIDERATO ALLA SUA USCITA PORNOGRAFICO MA SI TRASFORMÒ IN UN BESTSELLER TRADOTTO IN 30 LINGUE. NABOKOV E GIRODIAS NON SI PARLARONO MAI, SE NON TRAMITE AVVOCATI…

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Luigi Mascheroni per “il Giornale”

 

lolita nabokov io lolita nabokov io

«Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia». È l'incipit sontuoso di un romanzo - nato con scandalo e diventato un classico - che conoscono tutti. Lo-li-ta.

 

Quello che invece pochi sanno è come quel libello considerato alla sua uscita pornografico si trasformò in un bestseller tradotto in 30 lingue, con oltre 50 milioni di copie vendute nel mondo. Il cui titolo nel frattempo è entrato nei vocabolari come sostantivo e nell'immaginario popolare come icona: Lolita. Sinonimi: ninfetta, adolescente precoce, ragazzina maliziosa... Tabù.

 

E se Vladimir Nabokov fu il padre di Lolita, il patrigno - primo editore del romanzo - fu Maurice Girodias (1919-90), fondatore a Parigi della leggendaria casa editrice Olympia Press. È lui, conoscendo come andarono le cose persino meglio dello stesso scrittore russo, che a un certo punto decise di raccontare in prima persona in che modo un libro rifiutato da tanti divenne un successo invidiato da tutti. Lo fece nel 1965 con un lungo testo pubblicato sul magazine letterario americano Evergreen Review e che oggi appare in volume in italiano: Maurice Girodias, Lolita, Nabokov e io (Henry Beyle, pagg. 92, euro 27, traduzione di Franca Cavagnoli).

 

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È una storia di condanne, censure, guerre sulla spartizione dei diritti, cause legali, tribunali e - prima di tutto - del desiderio di un uomo di mezza età per una dodicenne... È ciò che immaginò, senza neppure una descrizione oscena, un allora oscuro insegnante di Letteratura russa alla Cornell University di New York (attività svolta in parallelo a quella di entomologo al Museum of Comparative Zoology di Harvard), nato a San Pietroburgo nel 1899, fuggito dalla Russia comunista nel 1919 ed emigrato negli Stati Uniti nel 1940... Vladimir Nabokov.

 

Il romanzo, insidioso e ambizioso, lo aveva scritto da tempo quando, nell'estate del '55, un'agente letteraria russa, sua amica, propose il dattiloscritto rifiutato da molti editori americani, spaventati dall'argomento, a Maurice Girodias. Chi era? Il figlio - col cognome della madre però - di Jack Kahane, fondatore della Obelisk Press che per prima aveva pubblicato Tropico del Cancro di Henry Miller, e a sua volta ideatore dell'Olympia Press che a Parigi contrabbandava, accanto a titoli per l'epoca decisamente osé e quindi facili da smerciare agli arrapati turisti stranieri, opere di Samuel Beckett, William S. Burroughs e J.P. Donleavy. Girodias, a dimostrazione che nella storia dei libri gli editori contano quanto gli autori, aveva coraggio e fiuto.

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Infatti capì immediatamente sia l'affare editoriale sia il valore letterario di un libro che raccontava una delle passioni umane più proibite ma in un modo del tutto sincero (e chissà cosa ne pensano oggi le sacerdotesse del #MeToo): «Sentivo che Lolita sarebbe diventata l'unica grande opera d'arte moderna capace di dimostrare una volta per tutte la futilità della censura morale e il ruolo indispensabile della passione nella letteratura». E disse subito sì. «Visto, si stampi».

 

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Così Lolita fu stampato per la prima volta, in lingua inglese, a Parigi: usci nel settembre 1955 in un'edizione in due volumi oggi oggetto di collezione. L'anticipo sganciato da Girodias era superiore a quanto potesse permettersi, e pur di pubblicarlo non insistette neppure per riservarsi una percentuale sui diritti di una possibile trasposizione cinematografica (e infatti...).

 

Da parte sua Nabokov, il quale all'inizio neppure voleva firmare il romanzo col suo vero nome, forse non si accorse subito di che genere di libri pubblicasse la Olympia Press, o comunque se li fece andare bene... Resta il fatto che al momento dell'uscita nelle librerie nessuno si accorse di Lolita, che vendette pochissimo. Poi accadde qualcosa di singolare: mesi dopo in un'intervista sul Times Literary Supplement Graham Greene ne parlò come di uno dei tre libri migliori dell'anno.

 

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I giornalisti cominciarono a dedicargli titoli e pagine, partirono accuse di pornografia, la curiosità crebbe e il pubblico e la critica si divisero tra sostenitori e detrattori (dei quali soltanto un numero infinitesimale aveva letto il libro, come sempre). Da qui, un'oscena odissea editoriale e una serie infinita di polemiche, che Nabokov battezzò «lolitigio». Succede ad esempio che alcune copie del romanzo, spedite a acquirenti residenti negli Stati Uniti, vengono sequestrate alla dogana, e poi rimesse in circolazione. Il governo francese mette al bando il libro ma subito dopo ci ripensa.

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Nabokov e la moglie, ingolositi da contratti ben più ricchi, si scontrano duramente con Girodias, chiedendo di annullare il loro accordo. L'editore americano Putman nel '58 fa uscire una nuova edizione di Lolita che scala le classifiche. Poi il libro sbarca in Inghilterra. Nel '59 esce in Italia da Mondadori (con una copertina simile all'originale, semplicissima, sul verde) e in francese (peraltro tradotto dal fratello di Girodias: Èric Kahane) mentre nel '65 appare anche in russo, tradotto naturalmente dallo stesso autore. In mezzo: cause, diffide, risarcimenti, tribunali...

 

Nato letterariamente da un amore innaturale, il libro - un capolavoro anche in questo - sconfinò editorialmente nell'odio. Nabokov e Girodias non si parlarono mai, se non tramite avvocati.

 

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L'ostilità dello scrittore verso l'Olympia Press crebbe col tempo. E l'editore finì col farsene una ragione («Tanti anni in questa professione ti insegnano che nessun grande scrittore può essere qualcosa di diverso da un mostro di egolatria»). Il secondo non poteva accettare che i suoi meriti fossero disconosciuti. Il primo non sopportava che il suo Lolita fosse stato scoperto da un editore che lo aveva messo fra titoli, diciamo così..., commerciali come Il bidet di Debby o Tenere cosce. Cosa di cui si vergognava. E così, da scrittore scandaloso, anche Vladimir Nabokov fu per un momento, a suo modo, un autore bigotto.

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