UNA CICOGNA VOLÒ SUL FESTIVAL SNOB - MARINA: ''A VENEZIA VINCONO SOLO SPECCHIETTI PER CINEFILI, C'È UN BIZZARRO DISPREZZO DEL PUBBLICO. SI DICE FILM DA OSCAR COME SE FOSSE UNA PAROLACCIA. IL CINEMA È UN'ALTRA COSA'' - BARBERA: ''SÌ, SIAMO ALTERNATIVI A CANNES''

Dopo un weekend che ha visto i film di Venezia dopo il 10° posto al botteghino, le parole di Marina Cicogna sono difficili da contestare: ''Il cinema sono storie che emozionano. Una volta ''The Danish Girl'' o ''Birdman'' avrebbero conquistato il Leone d'Oro. Al Lido c'è paura del divertimento, bisogna annoiarsi un po'''...

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benedetta e marina cicogna foto di luciano di bacco benedetta e marina cicogna foto di luciano di bacco

Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera

 

Una Mostra per cinefili? Per il direttore Alberto Barbera il Leone d’oro, Desde allá , opera prima del venezuelano Lorenzo Vigas su solitudine e omosessualità, «è destinata a dividere, è esigente, non concede nulla allo spettatore, un linguaggio che toglie anziché aggiungere»; dice che la «mission» della Mostra, «oggi che i vecchi maestri stanno scomparendo o hanno meno linfa, è di scoprire autori nuovi e indicare una strada»; dice che ci sono due modelli di festival: «quelli che si accontentano di lavorare in sintonia col mercato, e quelli che fanno un lavoro di ricerca. Abbiamo scelto questa seconda strada. Che senso ha investire 12 milioni di soldi pubblici per fare da grancassa a film che comunque uscirebbero?». 

Nori Helmut Berger Marina Cicogna Pierre Clementy Nori Helmut Berger Marina Cicogna Pierre Clementy


La sperimentazione poetica di Laurie Anderson, il documentario sui minatori del cinese Zhao Liang, le docu-fiction di Amos Gitai e Sokurov…

 

Questi film, per Marina Cicogna, nipote dell’imprenditore Giuseppe Volpi, conte di Misurata, che fondò la Mostra, «sono esempi di grande televisione, il cinema è un’altra cosa, sono storie che emozionano. Una volta The Danish Girl o Birdman avrebbero conquistato il Leone d’Oro. C’è un’ottica da super cineclub, a Venezia c’è un bizzarro disprezzo del pubblico, si dice un film da Oscar come se fosse una parolaccia. La critica una volta era fatta da veri amanti di cinema, oggi penalizzano il festival. Il rischio è l’autoghettizzazione.

desde alla opera prima di lorenzo vigas desde alla opera prima di lorenzo vigas

 

C’è la paura del divertimento, al Lido bisogna annoiarsi un po’. Mio nonno non era cinefilo, era un imprenditore intelligente che qui aveva comprato degli alberghi e voleva lanciare il Lido, così mise uno schermo sulla piscina dell’Excelsior e cominciò l’avventura. Va recuperato quello spirito, il glamour, a iniziare dalle giurie. Comunque sono contenta per Valeria Golino che con il passare degli anni è sempre più bella e intelligente». 


«Non invidio Barbera», dice Gabriele Salvatores che a Venezia è stato sia in gara che giurato, «il suo è diventato un mestiere difficilissimo. Io ho sempre cercato di creare un ponte tra un cinema che non sia commerciale e il pubblico, perché per definizione un film è un’opera popolare prevedendo che sia fatto da un numero di copie. Venezia, dopo l’esplosione di Cannes, deve trovarsi una sua identità: non la chiamerei elitaria ma di ricerca». 

desde alla opera prima di lorenzo vigas desde alla opera prima di lorenzo vigas


La verità è che Venezia comincia dopo che Cannes ha scelto. «Ma sì — riconosce Barbera —, è il festival che ha più attrattiva, più budget (24 milioni), più sale (18), più giornalisti (4600 contro i nostri 2700), e si girano film sul loro timing, per essere pronti a maggio. Ha costruito nel tempo un rapporto solidissimo con grandi autori, i Dardenne, i Coen, lo stesso Nanni Moretti, che vogliono andare lì. Un festival che non sia di sopravvivenza, deve rinnovarsi diventando laboratorio di nuove idee. Il cinema-cinema, come lo si intendeva una volta, è diventato una percentuale di quello che si fa. Le gerarchie tra i vari festival sono più complicate, e la rivoluzione digitale ha cambiato il modo di fare cinema, c’è più libertà, si possono fare film con pochi soldi». 

michael keaton in birdman michael keaton in birdman


C’era una volta Venezia appaiata a Cannes, se non più forte. Poi è arrivato il ’68. «Cannes si è fermata un anno, Venezia dieci. Hanno cambiato lo statuto, abolita la gara, il festival ridotto a rassegne sul dissenso nel cinema sovietico. Negli anni 80 non ci fu volontà politica di rilanciare il Lido. Con Carlo Lizzani, si fecero miracoli ridisegnando un ruolo. Ma furono nozze coi fichi secchi, tuttora è così. Cannes è cresciuta sull’assenza di Venezia». 


E l’America? «Non siamo così radicali, Hollywood non vuole più investire una montagna di dollari venendo a Venezia, con il rischio magari di avere fischi in sala. La contrapposizione fra cinema d’autore e cinema commerciale è più netta che in passato, negli anni 60 Fellini restava in sala tre mesi, Netflix con i film on demand cambierà il consumo». 
Se un film come The Danish Girl esce a mani vuote, l’industria cinematografica ci penserà due volte prima di scegliere il Lido? «A loro non interessa vincere, ma che funzioni la macchina promozionale. Come è successo». La Mostra ha una forma di disprezzo verso il grande pubblico? «No, nel modo più assoluto». 

THE DANISH GIRL THE DANISH GIRL


Insomma, bisogna fare la spesa con quello che si ha e con la realtà. In una cosa Venezia è uguale a Cannes: le targhe dello sponsor d’Oltralpe che fornisce automobili sono francesi. 
 

 

 

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