Marco Giusti per Dagospia
Una famiglia di disperati, in un’Italia medievale, magica e contadina sospesa nel tempo, vive sotto un monte e non vede mai il sole. L’unica cosa è rompere il monte a picconate per riportare la vita e la speranza. Per molti critici, questo complesso, ispirato, serissimo Monte, diretto dal settantenne regista iraniano, ma da anni attivo in America, Amir Naderi, è il miglior film dell’anno.
Presentato a Venezia lo scorso settembre, e poi visto in giro per festival, Seoul, Tokyo, fino alla presentazione ufficiale americana prevista al Moma di New York, Monte, nella sua essenzialità, privo di musica, di veri dialoghi, con due soli bravissimi attori reali, Andrea Sartoretti che fa Agostino, forte e testardo, e Claudia Potenza che fa sua moglie Nina, triste e decisa, dimostra che il cinema non dovrebbe essere solo essere industria e piccolo calcolo. Li sapessimo poi fare questi film di cassetta…
Ecco, Monte, diretto da un regista come Naderi, vecchio e borderline, con pochi mezzi e molta voglia di tentare qualcosa di diverso ma di credibile, riesce nel piccolo miracolo di un film ispirato, che spinge attori e tecnici alla conquista di una specie di corpo a corpo continuo col cinema e con la messa in scena in posti impossibili. Girato su vere montagne, con riprese più o meno ardite, con un freddo tangibile, non perde mai né concentrazione né ispirazione.
Grazie anche al lavoro degli attori, finalmente non scelti per stereotipi da fiction italiana di medio livello, ma per la loro forza espressiva e per la capacità di aderire ai difficili personaggi che si devono esprimere quasi senza parlare e grazie all’uso incredibile del suono, che riprende i veri rumori della montagna. Un film antico, in qualche assurdo modo anche molto italiano. E lo doveva girare un regista iraniana poliglotta di 70 anni. In sala da giovedì.