IL CINEMA DEI GIUSTI - SALUTATO DA UN TRIONFO DI PUBBLICO E DI CRITICA A BERLINO, ARRIVA ANCHE NELLE NOSTRE SALE FUOCOAMMARE DI GIANFRANCO ROSI, MOLTO PIÙ DI UN DOCUMENTARIO SU LAMPEDUSA CHE RIPORTA IL CINEMA ITALIANO A QUALCOSA CHE VISCONTI A ROSSELLINI HANNO COSTRUITO COL NEOREALISMO

Qualcosa che va oltre il giornalismo, come ha scritto “The Hollywood Reporter”. E oltre la cronaca. Ma è qualcosa che ci tocca profondamente e dovrebbe farci crescere umanamente proprio come il piccolo Samuele. Grandissimo film...

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Fuocoammare di Gianfranco Rosi

 

Marco Giusti per Dagospia

 

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Salutato da un trionfo di pubblico e di critica a Berlino, da “The Guardian” a “Variety”, da “The New York Times” a “The Hollywood Reporter”, arriva anche nelle nostre sale Fuocoammare di Gianfranco Rosi, molto più di un documentario su Lampedusa e sulla tragedia dei migranti nel Mediterraneo, quanto un film sulla distanza che separa gli abitanti dell’isola e noi cittadini europei da un disastro di proporzioni bibliche che abbiamo sotto gli occhi ormai da tanti anni. Rosi, che ha passato un anno e mezzo a Lampedusa, sceglie di seguire pochissimi personaggi dell’isola.

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Un ragazzino di 12 anni, Samuele, che apparentemente non ha contatti coi migranti, ma la cui crescita è vista come una metafora della nostra coscienza. Poi la sua famiglia, il padre marinaio. La nonna che cucina a casa e che alle notizie dei ritrovamenti dei migranti morti risponde per tutti noi con un “poveri cristiani”.

 

Un un dj locale, Pippo Fragapane, anche autore della canzone del titolo, “Fuocoammare”, che trascrive le reazioni dei lampedusani a un fatto di guerra, quando gli inglesi bombardarono una nave italiana nel porto dell’isola e tutto il mare si illuminò di fuoco e luce. Poi un medico in prima linea, il dottor Bartolo, lucido e umanissimo riguardo a cosa è capitato in questi ultimi 20 anni e ai doveri che ha l’uomo di aiutare gli altri uomini.

 

Al tempo stesso Rosi riprende quello che in questo anno e mezzo è capitato in mare. Seguendo il dramma di un gruppo di nigeriani che sono sbarcati lì dopo un viaggio terrificante. E filmando, a bordo di una motovedetta, la scoperta di un barcone con un numero impressionanti di morti. Ma non è la morte il soggetto del film. E neanche l’eroismo di chi opera lì nel Mediterraneo salvando vite tutti i giorni a rischio della propria.

 

E’ la crescita di una coscienza. Quella di Samuele, ovviamente, che diventa grande, e in qualche modo si ritrova un corpo e una mente che stanno cambiando. In qualche modo i suoi cambiamenti, l’occhio pigro che ci vede meglio, il tentativo di convivere col mare, diventano metafore della situazione che il mondo vive di fronte alla tragedia. E altro soggetto è la separazione, reale, tangibile, che nella stessa Lampedusa c’è tra gli abitanti del posto e i migranti che viaggiano e muoiono a pochi chilometri da casa loro.

 

Attorno al cambiamento di Samuele e alla distanza tra la vita sull’isola e quella in mare è costruito un film che lucidamente, senza patetismi o moralismi, ci mostra quello che è oggi questo disastro. Il grande radar che capta i messaggi dai barconi bloccati nel mare è un momento di grande cinema, ma Rosi non vuole costruire per grandi eventi.

 

Smonta il meccanismo facile dell’inchiesta giornalistica per andare dentro la nostra stessa coscienza. Grande film politico solo per il tema che tratta, Fuocoammare, come il Sacro Gra, che fece vincere a Rosi un più che giusto Leone d’Oro a Venezia, è un’opera importante che non solo ha grandi possibilità di vincere Berlino, ma riporta il cinema italiano a qualcosa che Visconti a Rossellini hanno costruito col Neorealismo. Qualcosa che va oltre il giornalismo, come ha scritto “The Hollywood Reporter”. E oltre la cronaca. Ma è qualcosa che ci tocca profondamente e dovrebbe farci crescere umanamente proprio come il piccolo Samuele. Grandissimo film. In sala dal 18 febbraio.    

 

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