Luigi Mascheroni per “il Giornale” - 3 agosto 2022
Diabolik, chi sei? Risposte. Un antieroe, un criminale per cui si parteggia, un personaggio ambiguo: feroce e dignitoso, un Mistero, un ladro inafferrabile, uno dei più celebri fumetti italiani di sempre, un fenomeno editoriale, sociale, culturale.
Tra cronaca di ieri e miti d'oggi. Swiisss... Diabolik entra in scena, silenzioso come il sibilo del suo pugnale, un nebbioso e grigio inizio di novembre - i giorni dei morti... - del 1962, un mese dopo lo schianto di Enrico Mattei nelle campagne di Bascapè, uno prima del collaudo della Linea 1 della metropolitana milanese e pochi mesi dopo la rivolta operaia di piazza Statuto a Torino.
Un fumetto rivoluzionario e ribelle, inventato dalle borghesi sorelle Giussani, destinato negli anni a diventare conservatore e corretto, come il suo protagonista, capobanda di una lunga serie di «eroi in nero», tutti marchiati nel nome con una rigorosa K, da Kriminal a Satanik, che hanno terrificato una felicissima stagione fumettistica, e non solo.
Il primo numero di Diabolik - titolo: Il Re del Terrore - esce nelle edicole in poche migliaia di copie, di fatto solo nel Nord del Paese, Milano e Torino soprattutto, e quasi soltanto nelle stazioni ferroviarie. Atmosfere nere e formato tascabile, è la lettura perfetta per i pendolari che nei primi anni '60 affollano i treni locali e interregionali.
Da lì il genio del Male inventato da due ragazze della Milano bene, conquista prima migliaia, poi milioni di lettori, diventando un simbolo sia del noir sia dei coloratissimi Sixties all'italiana. Storie in bianco e nero, copertine pop, optical, psichedelia, design all'avanguardia: tutti i colori del nero. Era nato per essere letto in treno dai pendolari e sotto il banco dagli studenti: si è trasformato in una multicolore icona popolare.
Diabolik è uno straordinario caso sociale, editoriale, imprenditoriale a cavallo tra da una parte - l'Italia del boom economico, della grande trasformazione, del benessere e della cultura, dei mutamenti della mentalità e del costume, delle città che diventano metropoli, delle opportunità e del miracolo e - dall'altra - dell'Italia del desiderio, inquietante e oscura, che vuole emanciparsi, arricchirsi, possedere, l'Italia di un modello diverso di donna, elegante e irriverente, di nuove abitudini e nuovi vizi, un Paese che, trasformandosi da agricolo a uno tra i più industrializzati del mondo, conosce imponenti flussi di migrazioni interne, conflitti sociali, diseguaglianze economiche e un forte aumento della criminalità: furti, traffico di stupefacenti, rapine e omicidi... Eccola, l'Italia in nero. Il grande Nord ricco, brumoso bramoso, peccaminoso.
È il Nord che ha due capitali. Torino, la città più misteriosa d'Italia, magica, diabolica e nera, «una giungla composta da ladri, rapinatori, scippatori, travestiti, pervertiti, belle di notte e di giorno», la città che diventa scenario del delitto perfetto - siamo alla fine degli anni '50, una manciata di mesi prima dell'uscita di Diabolik - commesso da un killer che si firma "Diabolich", e poco dopo diventa la città della banda Cavallero che con le sue violente scorribande costellò gli anni dal 1963 al 1967...
E poi Milano, la città più ricca d'Italia, sfrontata, feroce, mondana e irriverente, un carosello di negozi di lusso, teatri d'avanguardia, night club, «la città dei mitra» - palcoscenico della spettacolare rapina dell'aprile 1964 in una gioielleria della centralissima via Montenapoleone... della speculazione immobiliare, della moda, delle minigonne, dei gioielli, del design (quanto ce n'è negli albi di Diabolik...), della cupidigia.
copertina diabolik la domenica del corriere
La Domenica del Corriere dell'aprile 1965 dedica la copertina con la grande illustrazione di Walter Molino al personaggio di Diabolik che, calzamaglia nera e pugnale sguainato, balza nella camera da letto di una bellissima donna immersa nella lettura di fumetti proibiti: all'interno del popolare settimanale spicca il servizio di Guglielmo Zucconi su «Ragazzini e signore-bene divorano i nuovi fumetti dell'orrido».
E sul Corriere d'informazione, siamo nell'ottobre 1966, Dino Buzzati pubblica un articolo sul caso della conturbante spogliarellista Rosa Draganovich, accoltellata in città, dal titolo Milano Diabolik?, dimostrando quanto l'inafferrabile ladro dagli occhi di ghiaccio sia entrato nell'immaginario collettivo.
È lo stesso Buzzati che firma tanti pezzi di nera dell'Italia di quegli anni: rapine, omicidi, fughe, rapimenti... Ed è il Buzzati che chiama il suo cane, un basset hound, «Diabolik», e che quando la sera, a letto, un romanzo lo annoia, si voltava verso la moglie Almerina e le diceva «Dài, passami Diabolik!».
Sono anni infestati dagli epigoni del «Re del Terrore», da Kriminal a Satanik di Max Bunker, da Fantax, a Demoniak e Sadik, tra successi in edicola, scandali, denunce in pretura, sequestri, interrogazioni parlamentari, parodie, film (quello di Selth Holt del '65 con Jean Sorel, iniziato e mai realizzato, o quello di Mario Bava del '68, oggi un cult) anatemi dei moralisti e studi dei sociologi. Inquietudini, cupidigie, voglie e immaginari di un tempo che fu.
Figlio di Fantômas, Rocambole e Arsenio Lupin, padre di una sterminata serie di criminali moralmente efferati e mediaticamente ad effetto, Diabolik ha attraversato sulla sua velocissima Jaguar la cronaca e il costume di sessant' anni di storia italiana. Sopravvissuto alle sue due madri - Angela è morta nel 1987, Luciana nel 2001 - uscito indenne da critiche e processi, salvatosi dai mutamenti epocali che hanno travolto il mondo del fumetto e dell'entertainment, passato con eleganza il giro del secolo, è diventato un fenomeno sociale sconfinando dal fumetto al cinema, al romanzo, le figurine, le canzoni, la pubblicità, i videogame...
Ha resistito, con i suoi modi, a tutte le mode, ed è restato in piedi persino di fronte allo tsunami globale della Rete. Diabolik - con accanto la fedelissima, blondissima Eva - è ancora tra noi. Tira centomila copie al mese, terzo fumetto d'avventura più venduto in Italia dopo Tex e Dylan Dog. Ed è diventato più ancora che una icona. È una «figura»: un tempo della trasgressione, oggi della tradizione. Ci ha spaventato arrivando, ci rassicura rimanendo. Ora abbiamo capito chi è Diabolik. Un compagno d'avventura.
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