Michele Neri per Il Messaggero
Quest'anno si festeggia la maturità di una piccola invenzione che ha rivoluzionato l'esistenza di tutti. Il telefonino prima, poi lo smartphone con fotocamera inserita. Si contendono i natali la sudcoreana Samsung con il modello SGH-V200, uscito nel giugno del 2000, e la giapponese Sharp che, nel novembre dello stesso anno, mise in commercio il modello J-SH04. Potevano raggiungere una risoluzione di 0,10 megapixel: nulla in confronto ai 10 mega dei modelli in circolazione.
La portata di questa innovazione (il primissimo prototipo fu creato nel 1997 dall'americano Philippe Kahn), e che inizialmente apparve singolare, in questi diciotto anni è andata ben oltre gli effetti numerici della diffusione capillare di uno strumento adatto a riprendere e condividere la propria esperienza della realtà.
Colpisce che, nel 2017, siano state prodotte più di un trilione di fotografie, o letto in un altro modo, che ogni minuto siano catturate più foto di quante ne siano state scattate negli ultimi 150 anni. O che ogni secondo atterrino su Instagram 830 scatti. Numeri impressionanti, ma l'impatto di questa fotografia democratica è ben più profondo, ramificato e spesso difficile da intuire. Siamo immersi nelle immagini.
LA RIPRESA
Una conseguenza dell'inarrestabile affermazione di questo strumento ibrido riguarda gli smartphone stessi: da quando, già nei primi anni Duemila, Nokia sfornò modelli da un megapixel (il primo a toccare i cinque, fu il Nokia N95), è stata la qualità della ripresa a determinare il successo di vendita di un nuovo modello. Poi sono arrivate fotocamere doppie o frontali, lenti Zeiss, la collaborazione Hasselblad Lenovo, quella Leica Huawei, autofocus, filtri, effetti speciali, software di archiviazione eccetera. Sono nati e scomparsi formati come gli MMS. Uscendo dai confini della tecnica, gli effetti si moltiplicano.
E' cambiato l'alfabeto universale: dalla generazione che compie adesso 25-30 anni in giù, l'unico linguaggio valido è quello delle immagini. Se i ragazzi stanno abbandonando Facebook a favore di Snapchat o Instagram, è perché questi due social sono stati progettati con al centro le immagini.
L'impatto della presenza di uno strumento di ripresa sempre a disposizione ha rivoluzionato i rapporti personali. Quelli verticali, da genitori a figli: oltre il novanta per cento dei bambini di due anni dispone ora di una presenza fotografica online, come se l'infanzia priva di un doppio condiviso non esistesse. C'è un termine inglese, per descrivere questa solerzia nel distribuire dettagli dell'intimità dei figli: sharenting (crasi di sharing l'ormai inevitabile condividere e di parenting, essere genitori).
I rapporti con la realtà esterna dei figli stessi (e spesso anche di adulti), così presi dal gioco della rappresentazione di sé, da non riconoscere il rischio insito nella diffusione di dettagli anatomici a presunti fidanzati e che poi possono diventare ex, e con amici lieti di ricevere ritratti sexy. E' sempre più drammatica la cronaca di sessioni di sexting finite male, con le immagini di rapporti sessuali diffusi a insaputa del soggetto, così come quella di selfie estremi e finiti peggio (chi poteva pensare che quasi 150 ragazzi e ragazze sarebbero morti per un autoritratto? Il dato riguarda il periodo 2014-2017).
I PROFESSIONISTI
In questi diciotto anni è stata stravolta l'industria della fotografia. Dopo le prime reazioni di sufficienza nei confronti dei fotofonini, i professionisti hanno imparato ad apprezzarne le qualità diverse: ora corredi professionali e ultimi iPhone o Samsung convivono in pace. Il settore è stato trasformato in altri modi. Se attorno a un qualsiasi concerto, conferenza, un viaggio del Papa, si alzano subito centinaia di braccia pronte a immortalare l'evento, al fotografo di attualità sono richieste capacità sempre maggiori e diverse.
Se poi sono gli stessi soggetti a riprendersi, come nel selfie collettivo di Bradley Cooper alla notte degli Oscar 2014, poi twittato da Ellen DeGeneres, fare la differenza diventa più complesso.
Senza quest'invenzione, le fake news avrebbero avuto meno efficacia; forse non avremmo sentito parlare di Kim Kardashian, e molto probabilmente non avremmo assistito a tanti spettacoli indecenti (si veda l'apripista degli autoscatti intimi, il politico democratico Anthony Weiner nel 2011) che nemmeno l'irresistibile facilità del nuovo mezzo può giustificare.
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