Lettera di Paolo Isotta a "Il Tempo"
Caro Direttore,
il bellissimo odierno articolo di Luigi Bisignani sul mio nuovo libro “Altri canti di Marte” è accompagnato da un "boxino" volto a illustrare la mia modesta persona. Si parla anche del fatto che io, storico della musica e insegnante in Conservatorio dal 1971, ho lasciato il "Corriere della Sera", del quale ero il critico musicale, dopo trentacinque anni. Caso rarissimo di un editorialista che, andando in pensione, non viene pregato di continuare a scrivere.
Le cose sono andate così. A ottobre compivo sessantacinque anni: la legge mi dava la facoltà di non esser collocato in pensione e lavorare ancora purché vi fosse il consenso del datore di lavoro. Tale consenso venne negato. E si capisce: il nuovo direttore Luciano Fontana era in imbarazzo ad avere un collaboratore come me. Le persone scadenti si circondano di loro simili.
Questo, tuttavia, è stato per me una fortuna. Sono entrato al "Corriere" con un grande come Franco Di Bella e ho avuto direttori del calibro di Piero Ostellino, Ugo Stille, Paolo Mieli, Ferruccio de Bortoli, Stefano Folli. Tutti mi hanno lasciato totale libertà pur nei rari casi nei quali vi fosse dissenso. Ho avuto mandato pieno senza interferenza veruna. Con un direttore come Fontana avrei offuscato l'ultimo tratto della mia carriera giornalistica: onde, se non mi avesse mandato via lui, me ne sarei andato io.
Quindi siamo contenti in due. Io fui solo una parentesi, durata anche troppo, ch'era necessità chiudere. Adesso ho un avvenire di scrittore; il "Corriere", almeno per la musica, ha un avvenire ricompreso nella cupiditas serviendi , quella brama di servire che prescinde pure dal prezzo. Ma questo è Tacito: per i soggetti dei quali parlo, che Tacito non l'hanno nemmeno sentito nominare, dirò: nell'istituto della Marchetta.
Un affettuoso abbraccio.
Tuo
Paolo Isotta