Filippo Facci per "Libero quotidiano"
boris godunov con Ildar Abdrazakov
Meraviglioso. È sempre il Teatro alla Scala il nostro zenit. I vari media strillano come lemuri e compilano elenchi di putiniani con reciproco lancio di escrementi (lo fanno tutte le scimmie, soprattutto le urlatrici del Belize) ed eccoti che la Scala passeggia con il suo incedere lento e ottocentesco: e per il prossimo 7 dicembre ti piazza tre ore di Boris Godunov di Modest Musorgkij, la cosa più russa del globo terracqueo, più russo c’è solo cadere da un ponte di San Pietroburgo fradici di vodka.
La Scala aveva programmato il mattone russo prima ancora della guerra (con calma, con tempi umani: siamo noi i criceti nella ruota) e ora ti annuncia anche il ritorno di quell’altra urlatrice che è Anna Netrebko, putiniana di ferro, a cui è bastato un post su Facebook per sistemare tutto. Ma soprattutto ti piazza il “Boris” in “prima versione”, anche se Musorgkij era talmente incapace di comporre che il suo gruppetto di musicisti nazionalisti (antitedeschi e antifrancesi, musicalmente) gli cambiarono 3580 battute su 4225; Ciaikovskij parlava di “parodia ordinaria e dilettantesca”,
Balaikirev ebbe a definirlo “quasi un idiota”. Lui non colse neanche il successo: alcolista, finì in ospedale e si procurò due bottiglie di cognac che scolò d’un fiato: ci rimase, praticamente un suicidio. Era il 1881 e aveva 41 anni. E finirà così, perché la Scala sa tutto, ci seppellirà tutti
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