VIDEO - ''CRISIS IN SIX SCENES''
NON BASTA CHIAMARSI WOODY PER FARE UNA BUONA SERIE TV
Gianmaria Tammaro per il Fatto Quotidiano
Per Mike Hale del New York Times, Crisis in Six Scenes è "appena un fantasma del vecchio Woody Allen". Sul Guardian Mark Lawson non ci gira attorno e titola: "Perché la sit-com di Woody Allen è un fallimento". Per Daniel D' Addario, critico televisivo del Time, "Crisis in Six Scenes è la prova che i servizi di streaming sono in crisi".
Addirittura su Metacritic, il punteggio è di appena 44. E su Rotten Tomatoes solo il 18% delle recensioni sono positive. Una carneficina.
Insomma: alla critica anglofona la mini-serie di Woody Allen non è piaciuta. "Crisis in Six Scenes- scrive Ed Power sul Telegraph - soffre di una scrittura zoppicante".
Sempre per il Guardian, non è nemmeno chiaro perché si intitoli così. Figurarsi cosa viene fuori dal resto.
In Italia, la serie di Woody Allen non è ancora arrivata (e chissà quando arriverà: l' esordio di Amazon Prime è fissato per fine anno, ma non c' è nessuna data ufficiale, solo qualche voce). Ma l' impressione generale è che questo non sia il lavoro migliore del regista newyorkese. Tra i pochi a salvare Crisis in Six Scenes, c' è Vanity Fair, edizione americana: il merito - si legge nel titolo dell' articolo firmato da James Wolcott - è di Miley Cyrus, la co-protagonista insieme ad Allen, che rappresenta una "buona ragione" per guardarla.
Poteva essere la grande occasione per Amazon e invece è stato un massacro: dopo il 30 settembre, giorno della release della serie, quasi non se n' è parlato più. E di analisi che prendessero in esame i tanti elementi di Crisis in Six Scenes (la critica sociale, l' ironia sul terrore e il terrorismo; la risposta della politica, i pregiudizi, la lotta per la parità dei diritti) non ce ne sono state. È stato un generale fuggi-fuggi: nessuno - nessuno dei big, almeno - ne ha voluto parlare bene. E perché, poi?
Questa non è una serie tv, ma un film: una comedy divisa in sei parti, ognuna delle quali lunga circa 20 minuti, con una storia che si rivolge al passato - leggi: gli anni 60 - e un cast che non ha convinto. Prima tra tutti proprio Miley Cyrus: "Uno sfortunato errore - scrive Sonia Saraiya di Variety - da cui è impossibile riprendersi".
Eppure Woody Allen l' ha sempre detto: se ha accettato di girare Crisis in Six Scenes, è stato perché l' offerta di Amazon, a un certo punto, si è fatta "irrinunciabile". "Alla fine - ha confessato a Lorenzo Soria, più di un anno fa - è diventato troppo bello per poter dire di no, anche perché mi sono detto: che cosa saranno mai sei mezz' ore per un genio come me? Invece ci ho sofferto moltissimo e ho finito per lavorarci un sacco".
In teoria, Crisis in Six Scenes dovrebbe essere una sit-com: con stacchi, riprese quasi ferme, pochissimi movimenti di camera e location che si contano sulla punta delle dita. Non ci sono le risate registrate (per fortuna), e la continuity temporale - cioè quante ore, giorni e mesi passano nel corso del racconto - è piuttosto ridotta.
Le citazioni ai primi lavori di Woody Allen sono ovunque. "Avrebbe fatto meglio a girare Crisis in Una sola volta", scherza Charlie Lyne sul Guardian. Senza nessuna pietà. Crisis in Six Scenes, scrive Brian Lowry della CNN , è una comedy "stanca" e soprattutto prevedibile ("telefonata").
Quando è stato diffuso il primo trailer la reazione - più o meno unanime - è stata entusiasta: Woody Allen seduto dal barbiere, che dice battute e interpreta uno scrittore in crisi. Ma Woody non si è limitato a recitare sempre la stessa parte: facendo satira anche su sé stesso.
C'è una battuta sulle figlie adottive; e per la critica sentirla dire in un suo show, dopo che ha sposato la sua figlia adottiva e che è stato accusato dalla sua ex moglie di molestie sessuali, è stato inaccettabile. "Con scene come questa - scrive sempre la Saraya su Variety - è difficile separare l' arte dall' artista". Ma non dovrebbero, invece, essere la stessa cosa? Si chiama coerenza. E per il politicamente corretto, quello che ha fatto vincere le elezioni presidenziali a Donald Trump, forse, è anche troppo.
woody allen 80 e soonyi previn 45