Pierluigi Panza per il Corriere della Sera
Alcuni melomani e loggionisti avevano deciso a priori di contestare la regia del Rigoletto in scena alla Scala. Applauditissimi i cantanti, non il direttore Michele Gamba
Vorrei sapere cos’hanno nella testa, ma lo so, quei quattro o cinque pre-organizzati, che hanno trascinato un’altra decina di rumorosi spettatori a «buare» la regia (anche il direttore, ma soprattutto la regia) del «Rigoletto» alla Scala alla sua serata d’esordio del 20 giugno (repliche sino all’11 luglio).
In testa hanno il desiderio, come scriveva Sartre, di sentirsi «coessenziali» alla messa in scena e di meritarsi il ruolo di giudici di uno spettacolo sulla base della «ricorrenza». Cioè, poiché vedo tanti spettacoli, più di voi, giudico. Poco importa che Diderot abbia fondato l’idea di critica delle arti sulla base di un dettame filosofico riassumibile nel verificare la rispondenza di un’opera al suo fine, sostanzialmente ritenendo insufficiente la sola «ricorrenza» per saper giudicare: loro continuano a pensare questo. Dunque, avendo visto tanti «Rigoletti», alcuni melomani o loggionisti o sedicenti tali avevano deciso a priori — poiché già nei commenti dei giorni scorsi circolava che sarebbe stato fischiato – di contestare quello di Martone-Palli.
Perché? Per partito (anti Martone) preso. Questi melomani o loggionisti o sedicenti tali, che acquistano tramite improprie code il biglietto al 50%, sono gli stessi che, da decenni, iniziano con il ritornello che non si può fare «La Traviata» dopo Callas-Visconti, non si può fare Verdi in quel modo, era meglio la Traviata di Aix-en-Provence, ma vuoi mettere quella di Salisburgo, vergogna Tcherniakov che sbucciava le zucchine e la solita liturgia di banalità nelle quali auto-rispecchiarsi e trovare una (nobile) ragione di vita.
Al Rigoletto, applauditissimi i cantanti, non il direttore Michele Gamba, i «buu» sono arrivati tutti in chiusura di sipario anche perché, ciò che sarebbe forse più contestato sono gli ultimi due secondi della messinscena di una drammaturgica che ha collocato Rigoletto nell’attualità e che è stata ben costruita.
Raccontiamola così: si fa Rigoletto a Milano, a due passi dalla famigerata Terrazza sentimento dell’arrestato Alberto Genovese, accusato di stupri vari e di prediligere un giorno questa e un giorno quella. Dunque, siamo su Terrazza sentimento e il duca delle startup è al telefonino. Intorno ci sono modelle minigonnate che strabevono e tirano di coca tutto il tempo in attesa di andare a letto con lui o con qualcun’altro.
I cortigiani del duca delle startup, ovviamente, lo idolatrano e cercano di fornirgli nuove fanciulle, tanto «questa o quella» per lui pari sono. Quando la giovane Gilda riesce a fuggire dal serrato controllo del padre Rigoletto, che la tiene segregata in casa (qui il genitore c’è, a contrario dei casi alla Genovese), la fanciulla s’innamora del duca delle startup. Viene rapita dai suoi cortigiani che la credono un’altra ma fa lo stesso (oggi l’inganno sarebbe via WhatsApp), finisce nelle segrete stanze del duca delle startup mentre le altre festaiole si vestono e svestono tutto il tempo.
Il padre, disperato, la scopre e, adirato, vuole vendicarsi contro il duca delle startup. Così assolda un sicario di periferia, Sparafucile. Ma si sa come vanno queste cose: i banditi, in quanto tali, non rispettano i patti e anziché uccidere il mago delle startup, che si è fatto anche la sorella del sicario, uccide la povera Gilda, che si offre per amore dello sciagurato duca (del resto, molte fanciulle accalappiate difendano i loro cosiddetti «aguzzini»). Mi sembra una buona idea drammaturgica, che proietta Rigoletto nell’oggi. Veniamo al finale.
Mentre Rigoletto piange dopo aver scoperto che il bandito ha ucciso sua figlia anziché il duca, si vede che di sopra, a Terrazza sentimento, stanno facendo un’ennesima festa. Rigoletto stringe tra le braccia la figlia morta e sanguinante ma, d’improvviso, la scena ruota e nel finale choc si vede che anche a Terrazza sentimento si sono tutti uccisi, c’è sangue ovunque perché il sangue di Gilda ricade su tutti loro e il loro mondo. Mi sembra facile da capire e mi sembra che risponda al primo fine dell’Arte: disvelare, creare nuovi mondi, fare pensare, sconvolgere i sentimenti… Ecco, bisogna pensare e studiare prima di buare per sentirsi importanti.