DAGOREPORT
Gianni Vattimo Il pensiero debole
Addio scudo crociato, in soffitta falce e martello, benvenuti negli anni Ottanta. Siamo al di qua e al di là dei partiti, in un paesaggio che vede l'economia schiacciare la politica (la famigerata "reaganomics"), in cui sale alla ribalta il leader che si fa partito.
Si è chiuso il ciclo della politicizzazione, del protagonismo collettivo e della ricerca della felicità sociale, secondo l'espressione coniata dal sociologo Albert Hirschmann, autore appunto del libro "Felicità privata e felicità pubblica" (che spiega come i pendolarismi della storia derivino dall'oscillazione dei gusti del pubblico fra questi due poli).
Di qui, complice la delusione sui risultati delle battaglie sociali e ideologiche, finite nell'assassinio di Aldo Moro, inizia un nuovo ciclo, quella della felicità individuale, della affermazione personale, della fine degli steccati e dei ruoli consolidati.
Mescolare le carte, dunque. Dal sinistrismo al narcisismo, dal Noi all'Io, dalla sommossa delle Bierre alla mossa delle Pierre, da Lotta Continua al successo di breve durata, dai furgoni cellulari al telefonino cellulare, dal significato al significante, dalle fratte ai frattali, dal ciclostile al fax, dalla rivolta a Travolta.
E' un Pediluvio universale. Impara l'arte e mettila nei party. Peperoncino dall'inizio alla fine. Conciliare l'alto e il basso. L'est e l'ovest. La Storia e la scoria. La qualità e la quantità. Lo snob e il Blob. I Dik Dik e i Duran Duran. Le Botteghe Oscure e le boutiques lucenti.
Del resto, lo scavalcamento dei ruoli, la sapienza combinatoria, il desiderio di sedurre, è ben rappresentato e legittimato dalle culture emergenti degli anni Ottanta: il Post-moderno nell'architettura, la Transavanguardia nella pittura, il "Pensiero debole" nella filosofia, la New Wave nella musica giovane, il miraggio del look nelle tribù giovanili, il computer come memoria istantanea, il video come operazione di smontaggio e rimontaggio della realtà.
Se non si può opporre l'avanguardia alla tradizione, né l'avvenire al passato, alle idee forti dell’ideologia marxista, ormai obsolete, occorre contrapporre il Pensiero Debole, un tentativo positivo di mettersi in comunicazione con l'astuzia del tempo e l'ambivalenza del presente. A che serve, armati fino ai denti di sacra ideologia, scavare e scavare alla ricerca della “verità” quando poi, una volta risaliti in superficie, quella “verità” non ci serve a un cazzo, visto la velocità dei cambiamenti nella società?
Ecco che, partendo dal pensiero di Nietsche (“Il massimo della profondità è la superficie”), Vattimo e Rovatti scodellano “Il pensiero debole” (Feltrinelli) dove propongono una filosofia quasi Zen: la realtà sempre più turbolenta va fronteggiata a mo’ di un surfista che sa bene che affrontare l’onda finirà a gambe all’aria, meglio cavalcarla e arrivare alla riva.
DAGO NEL SERVIZIO DEL TG1 DEDICATO A GIANNI VATTIMO