Marco Giusti per Dagospia
Che vediamo stasera in tv? Intanto mi sono visto su Apple tv un romanticissimo film irlandese, apprezzatissimo dalla critica internazionale, “Flora and Son”, scritto e diretto da John Carney (ricordate “Once”, “Sing Street”) con Eve Hewson, la figlia di Bono, e Joseph Gordon-Levitt. La giovane Flora, la Hewson, si è lasciata con il marito, Jack Reynor, un musicista un po’ sfigato, e cresce malamente un figlio adolescente, Max, Orén Kinlan, che le dà non pochi problemi e è a rischio di finire al gabbio perché seguita a fare cose da teppistello. Lei stessa non ha un lavoro vero, guadagna qualcosa come babysitter, alternando seratine alcoliche al desiderio di riprendersi il suo uomo scappato con un’altra.
Ma il quadretto non è idilliaco. La salva la musica. Una chitarra che recupera dalla monnezza. Un corso on-line con un bel maestro di Los Angeles, Joseph Gordon-Levitt, il versione super-gentile. E tramite la musica recupera anche il rapporto col figlio, che vorrebbe produrre e cantare musica trap. Molto carino. Molto musicale. Eve Hewson bravissima, piena di vita. L’aveva già vista giovanissima in “The Knick” di Steven Soderbergh. Ieri mi sono visto per puro piacere anche “I professionisti” di Richard Brooks in inglese su Netflix. Appena inserito. Spettacolare come allora.
Burt Lancaster e Lee Marvin sembrano riproporre la coppia Burt -Gary Cooper di “Vera Cruz”. Hanno combattutto con i rivoluzionari anni prima dalla parte giusta e ora, per soldi, devono recupera la bella moglie di un riccone yankee, Claudia Cardinale, rapita da un loro vecchio compare, Jack Palance. Ma non è stata rapita, è scappata di proposito. La Cardinale è bellissima, anche se per tutto il film Burt Lancaster dirà di preferirle la guerrigliera Sissi Chiquita di Marie Gomez, una bomba messicana che fa vedere le tette e, come dice Burt, “non dice mai di no”. Il quartetto dei professionisti è magistrale e il nostro cinema ha rubata a piene mani idee dal film.
Lee Marvin, che secondo Tarantino, non ha mai recitato davvero dopo “Cat Ballou”, troppo preso dalla bottiglia, si limita a dare ordini e a parlare con Burt dei bei tempi. Ma ha una presenza incredibile. Capisco cosa voglia dire Tarantino, e un po’ è vero che è appannato, ma non lo potresti sostituire con nessun altro. Burt Lancaster, invece, è una bomba, non solo è cinico e ride come in “Vera Cruz”, non si fida di nessuno, sorride con tutti i denti bianchissimi in evidenza, può sparare anche alle donne, ma a 52 anni fa da solo tutte le acrobazie e le cadute, sale aggrappato a una corda su un roccione senza nessun tipo di protezione. Robert Ryan, al tempo malato di cancro ai polmoni, si limita a poco, ma è un grande attore e già vederlo li fa stare meglio.
Ma la vera sorpresa, oggi come allora, è Woody Strode, gigantesco attore afro-nativo americano, che tira con l’arco, glielo insegnò per questo film Richard Farnsworth, come Burt fa tutte le sue cadute, anche perché non c’era uno stunt nero di quella taglia, per la prima volta nella sua carriera ha un vero e proprio ruolo. La sua presenza illumina un film che anticipa il Mucchio selvaggio di Peckinpah per temi e rapporti tra gringos e rivoluzione, per non parlare di “C’era una volta il West” e, soprattutto, di “Keoma” di Castellari, dove Woody Strode torna a tirare con l’arco. La stunt della Cardinale, leggo si fece male sul set in una scena pericolosissima a cavallo. Così si dovette fare da sola tutte le scene più difficili a cavallo. Guardate come cerca di abbindolare Burt Lancaster togliendosi gli abiti mentre cerca di prendergli la pistola dalla fondina. Ma Burt l’aveva già capita e anticipata.
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