GIU’ DALLA SCALA: LA PRIMA STAGIONE POST PANDEMIA CON VERDI, IL DON GIOVANNI DI CARSEN E I RADIOHEAD - LA NUOVA STAGIONE DEBUTTA IL 7 DICEMBRE CON IL “MACBETH” DI VERDI E LA SOLITA COPPIA CHAILLY-LIVERMORE (ALLA QUARTA INAUGURAZIONE DI FILA!) - POI 12 OPERE E 8 BALLETTI (ANCHE CON LA MUSICA DEI RADIOHEAD) – MATTIOLI: "LA SCALA RESTA UN TEATRO IN RITARDO DI QUINDICI-VENT’ANNI SUL RESTO DEL MONDO. SUL FRONTE REGIE È TUTTO UN VORREI MA NON POSSO" – VIDEO

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ALBERTO MATTIOLI per lastampa.it

 

 

livermore chailly livermore chailly

Solita solenne presentazione della stagione della Scala, la prima dopo la pandemia che si dovrebbe svolgere più o meno normalmente. Protagonista il quartetto formato da Beppe Sala, sindaco, Dominique Meyer, sovrintendente, Riccardo Chailly, direttore musicale e Manuel Legris, direttore del Ballo. Prima il cartellone e poi il commento: chi fosse, per dirla con Da Ponte, già “istrutto" sul primo può passare direttamente al secondo.

 

Come già stra-anticipato, si inizia, ovviamente a Sant’Ambroeus, con il Macbeth di papà Verdi. Praticamente, i protagonisti sono gli stessi dell’ultima prima a.C., ante Covid, cioè la Tosca del 7 dicembre ‘19: dirige Chailly, regia di Davide Livermore (alla quarta inaugurazione di fila!), interpreti principali Anna Netrebko, Luca Salsi e Francesco Meli, più Ildar Abdrazakov come Banco, e non è poco. Chailly annuncia il Macbeth parigino, ovvio, con il balletto ma l’aria finale di lui della versione fiorentina.

RICCARDO CHAILLY RICCARDO CHAILLY

 

A seguire, dodici titoli d’opera: I Capuleti e i Montecchi di Bellini, direttore Evelino Pidò, regia di Adrian Noble, con Marianne Crebassa e Lisette Oropesa come amanti di Verona, Thaïs di Massenet che manca da tempo immemorabile con Viotti-Py, Marina Rebeka come protagonista e Ludovic Tézier come Athanaël, una Dama di picche di Cajkovskij con Gergiev-Hartmann, l’arcidivina Asmik Grigorian come Lisa e un po’ di russi, Adriana Lecouvreur di Cilea diretta da Giampaolo Bisanti nella collaudata bellissima regia di sir David McVicar e due compagnie: nel ruolo del titolo si alternano Agresta e Netrebko, come Bouillon Rachvelishvili e Zhidkova, come Maurizio il tenore ignoto Freddie De Tommaso ed Eyvazov, come Michonnet Corbelli e Maestri, più il Carlo Bosi come Abate.

 

livermore livermore

Poi torna il meraviglioso Don Giovanni di Carsen (e anche un po' di Mozart, volendo) diretto da Pablo Heras-Casado con una nuova compagnia dove spicca la coppia padrone-servitore, cioè Christopher Maltman e Alex Esposito, e arriva una Ariadne auf Naxos diretta da Michael Boder con la regia di Sven-Eric Bechtolf e una compagnia così così.

 

Il secondo Chailly stagionale è un altro sempreVerdi, Un ballo in maschera, nuovo allestimento tutto di Marco Arturo Marelli, in scena Radvanovsky-Meli-Salsi, e il secondo Livermore una nuova Gioconda di Ponchielli diretta da Frédéric Chaslin con Yoncheva-Barcellona-Sartori-Frontali-Schrott. Si fa finalmente un nuovo Rigoletto al posto di quello imbarazzante di Deflo: provvede Mario Martone, il giovin direttore della Casa Michele Gamba ha l’occasione della vita, cantano Piero Pretti, il mongolo Enkhbat Amartüvshin e la Gilda dell’ultima volta, Nadine Sierra.

riccardo chailly riccardo chailly

 

Poi ci sono Il matrimonio segreto per i ragazzi dell’Accademia, una nuova Fedora ancora con Martone diretta da Marco Armiliato con la Yoncheva e il gran ritorno di Roberto Alagna e, last ma assolutamente non least, la prima italiana di The Tempest, capolavoro di Thomas Adès diretto da lui medesimo.

 

Per il balletto, il direttore Manuel Legris annuncia La Bayadère in versione Nureyev con la Zakharova (solo per due recite, però), una serata Dawson-Kratz-Kylián (per Solitude Sometimes di Kratz la musica è dei Radiohead), Jewels di Balanchine, Sylvia dello stesso Legris, lo spettacolo per la Scuola di Ballo, i due McGregor di AfteRite e Les noces, Giselle della Chauviré (e qui lungo applauso in memoria di Carla Fracci) e Onegin di Cranko con Roberto Bolle.

 

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Poi la stagione sinfonica con il debutto di Speranza Scappucci, i recital di canto, quelli dei pianisti (anche Lang Lang, Barenboim e Pollini), le ospitate (notevoli: Staatskapelle di Berlino e West-Eastern con Barenboim, Mariinskij con Gergiev, Orchestre de Paris con Salonen, Staatskapelle di Dresda con Thielemann), i concerti straordinari e un ricco autunno. Prima della “prima”, cinque opere. Intanto, tre Rossini, L’italiana in Algeri di Ponnelle diretta da Dantone, un nuovo Barbiere di Siviglia Chailly-Muscato e la ripresa del Turco in Italia Fasolis-Andò già bloccato dalla pandemia.

 

Poi una ripresa del solito Elisir d’amore (però con l’insopportabile Aida Garifullina) e soprattutto la nuova produzione della Calisto di Cavalli, supercapolavoro barocco che promette benissimo anche come realizzazione perché dirige Christophe Rousset, mette in scena McVicar e la compagnia pare eccellente. Novità anche in biglietteria, dove finalmente si smetterà di far pagare i posti in fondo alla platea e soprattutto quelli dietro nei palchi come gli altri, mettendo fine a una truffa istituzionalizzata.

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Altra notizia: da settembre il nuovo maestro del Coro sarà Alberto Malazzi, cui facciamo un bocca al lupo grande quanto il grazie al suo predecessore, quel monumento di saggezza musicale che è  il grandissimo Bruno Casoni. Il Coro della Scala è un patrimonio dell’umanità come la Cappella Sistina o le Dolomiti e va maneggiato con la stessa cura.

 

E adesso il commento. Il teatro esce da un periodo difficilissimo con i conti in ordine, un clima sindacale sereno e molta voglia di ricominciare  e di questo bisogna dare atto a Meyer. Il cartellone, francamente, è migliore di come si poteva temere ma peggiore di come lo vorremmo.

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Nella parte mezza piena del bicchiere c’è la buona scelta delle compagnie di canto, una certa equilibrata diversificazione del repertorio, gli accoppiamenti giudiziosi fra titoli e direttori. In quella mezza vuota, qualche eccesso di prudenza e qualche scrittura strana. Vedi il fronte regie, dove è tutto un vorrei ma non posso.

 

SCALA RIAPERTURA SCALA RIAPERTURA

L’idea di sostenere una via italiana alla regia d’opera, con due Livermore e due Martone più il debutto di Muscato, è buona. Le altre appaiono scelte un po’ casuali: bene appoggiarsi su McVicar (due produzioni anche lui) che non indispone i “povero Verdi!” ma benché tradizionalista è un regista vero; benissimo sbarazzarsi dei reperti più vetusti di Deflo o Zeffirelli; ottimo chiamare Olivier Py che sarà fischiatissimo ma chi se ne frega.

 

dominique meyer dominique meyer

Però bisognava proprio dare la nuova Dama di picche ad Hartmann, che alla Scala ha già fatto un Idomeneo bruttino e un Freischütz orripilante, o affidare un titolo mitico come Ballo a Marelli, che non è esattamente una figura di riferimento?

 

In generale, la Scala resta un teatro in ritardo di quindici-vent’anni sul resto del mondo, come sanno tutti tranne la critica italiana. Tuttavia mi sembra che cerchi di colmare il ritardo, quindi prossimamente a Milano scopriranno fra esclamazioni di giubilo l’acqua calda, tipo Cavalli e Adès, Py e la Radvanovky, insomma quel che ovunque è la norma (a proposito di Norma: manca, se non vado errato, dal ‘77, mentre Semiramide dal ‘64. Qualcuno conosce l’esistenza di Angela Meade?). Però fra molte (troppe) prudenze questa stagione va nella direzione giusta. Tutto sommato, il bicchiere è più pieno che vuoto.    

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