“L’amaca” di Michele Serra per “la Repubblica”
Una giovane giornalista, Benedetta Perilli, racconta su “RE Le inchieste” di “Repubblica. it” la sua “guarigione” dall’uso compulsivo dei social network. È il resoconto di un sano sussulto di libertà nei confronti di una insana dipendenza.
Un passaggio, tra i tanti, mi ha molto colpito. Eccolo, nelle parole di Benedetta: «Quando ho disattivato il mio account, Facebook mi ha chiesto perché e io ho risposto che passavo troppo tempo online; lui mi ha suggerito che avrei potuto ridurre le notifiche; io gli ho detto che non mi interessava più; lui ha giocato la carta del senso di colpa mostrandomi le foto dei miei migliori amici e dicendomi che a loro sarei mancata».
Sembra, in piccolo, l’estremo tentativo del cervellone Hal, in “Odissea nello spazio”, di resistere alla sua disattivazione. L’idea “neutra” dei social come un semplice medium o un luogo pubblico (un’autostrada, una piazza) ne esce contraddetta. Le autostrade e le piazze non parlano. Non cercano di riacciuffarti se te ne vai.
Qui si tratta, con ogni evidenza, di un’azienda che, come tutte le aziende di questo mondo, non vuole perdere un cliente. La gratuità apparente dei social (sono, in realtà, uno smisurato collettore mondiale di target pubblicitari) inganna al punto che non ci rendiamo più conto di essere, quasi ad ogni clic, clienti. Solamente clienti.