Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano”
Conte nostro, che sei a Chigi, sia santificato il tuo nome, venga il tuo decreto, sia fatta la tua volontà.
GIUSEPPE CONTE FIRMA UN DECRETO
Finora lo avevano accostato a Winston Churchill o al Grande Fratello, considerato come lo spirito del mondo in pochette o l' incarnazione massima della storia («La Storia è con noi», aveva detto lui stesso).
Nessuno però aveva mai osato paragonarlo all' autorità suprema nei cieli e sulla terra, all' Essere eterno ed increato, all' Onnipotente che rivendica giustamente pieni poteri.
In poche parole, a Dio in persona.
benigni milioni canone dieci comandamenti
Ci voleva Roberto Benigni perché Conte venisse identificato con la figura stessa del Signore, con l' Unto ed il Messia, che non è solo buono, lungimirante, misericordioso, ma è al suo posto perché simbolo della Provvidenza, premier santo, consacrato più che eletto, mandato a noi per la nostra salvezza. Cosicché anche la sua Parola non può essere smentita, essendo il Verbo, fonte di ogni Verità e Giustizia.
Nella sua nuova veste di esegeta delle Sacre Scritture, Benigni, dopo aver interpretato a modo suo a Sanremo il Cantico dei Cantici, rileggendolo con un inno all' amore libero, gay friendly e osé, due giorni fa si è cimentato nell' impresa ardua di adattare i Dieci Comandamenti all' attualità politica.
Ospite del Tg1, il comico toscano ha paragonato i decreti di Conte al Decalogo ricevuto da Mosè, attribuendo a entrambi un valore divino. «Quando Mosè è sceso dal Sinai con le Tavole della Legge», dice Benigni, «quello è stato il primo Dpcm della storia dell' umanità. E quando Dio disse "Io sono il Signore Dio tuo", è un' autocertificazione, la prima».
carattere provvidenziale La metafora biblica serve a Benigni non solo per lanciare la replica del suo spettacolo I Dieci Comandamenti, in onda sabato su RaiUno, ma soprattutto per giustificare la bontà delle misure prese da Conte. E mostrarne la legittimità e il carattere provvidenziale. «I Dieci comandamenti insegnano la libertà», spiega Benigni, «e in questo momento bisogna assolutamente seguire le regole» perché «le regole insegnano la libertà: siamo più liberi seguendo le regole».
Quindi, se da due mesi siamo impossibilitati a uscire, se sono state sospese le più elementari libertà civili, se rischiamo di sentirci trasgressori, criminali o peccatori ogni volta che ci avviciniamo a un essere umano o osiamo entrare in una chiesa, non dobbiamo lamentarci. Perché non siamo prigionieri, ma liberi. E stiamo seguendo la volontà di Dio. Cioè di Conte.
Pertanto bando alle insofferenze e alle polemiche. Dobbiamo soltanto rivolgere un perpetuo inno di lode a Lui, il Misericordioso Giuseppi. E ringraziarlo per il dono della quarantena, testimonianza del suo immenso amore. «Questa fase 2», aggiunge Benigni, «la sto vivendo come una prova d' amore che ci sta dicendo quanto amiamo noi e amiamo gli altri» perché «le regole insegnano ad amare se stessi e gli altri». E allora preghiamo insieme il nostro Salvatore, uniamoci spiritualmente all' Altissimo, trasformiamo il suo nome in un "Con Te", riconoscendo che è Lui il nostro unico Affetto stabile, il Congiunto a cui abbiamo legato le nostre anime. Dal Vangelo secondo Benigni, amen.
papa bergoglio e roberto benigni
La predica di don Roberto, un tempo mangiapreti e oggi sacerdote del contismo, precedeva come detto la replica in prima serata de I Dieci Comandamenti, spettacolo del 2014 ora ricicciato sul servizio pubblico. Tuttavia, vuoi per quel lancio prono al governo, vuoi per quel senso di déjà vu che ha ogni cosa fatta da Benigni (anche quando non si tratta di una replica, il comico non fa che plagiare se stesso, come ha fatto a Sanremo, ripetendo ampi passaggi di un vecchio spettacolo), il programma è andato maluccio fermandosi al 14,2% di share, staccato di 8 punti da Bonolis che su Canale 5, con la replica di Ciao Darwin, raggiungeva il 22,2.
Va detto che, da quando è iniziata la quarantena, RaiUno non fa che prendere sberle il sabato sera, perdendo puntualmente contro la rete ammiraglia Mediaset: solo il Papa, il sabato pre-pasquale, è riuscito a rintuzzare gli attacchi di Canale 5. Per il resto è stata perenne débâcle. Tuttavia Benigni doveva essere il pezzo da novanta, il jolly messo in campo per rimontare, un campione con un compito preciso: parlare di Dio per battere Darwin. Ma anche stavolta ha vinto Darwin.
LA CONTRADDIZIONE
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Gli spettatori più attenti, d' altronde, non potevano non notare alcune contraddizioni. E cioè: non puoi paragonare, nell' anteprima, i decreti di Conte alle Leggi di Dio sapendo che poi, nello spettacolo, farai un lungo monologo sul «non nominare il nome di Dio invano» e sul «non abusare, non sciupare il nome di Dio». Appunto, viene da dire. La vera bestemmia è stata fare certi accostamenti.
Ma, in generale, fa tristezza in Benigni questo passaggio da guitto dissacrante a comico di corte, questa trasformazione da piccolo diavolo a fratacchione, come direbbe De Luca, che ripete la litania della sua devozione, giurando di obbedire a tutti i comandamenti a cominciare dal primo: «Non avrai altro Dio all' infuori di Conte».
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