“'L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE' SPIEGA BENE QUESTI ANNI SENZA DEPOSITO, NÉ IDEOLOGICO NÉ MORALE, CHE SONO GLI '80" – COL CELEBRE TORMENTONE A “QUELLI DELLA NOTTE” FU DAGO A FAR DIVENTARE IL ROMANZO DI MILAN KUNDERA UN SUCCESSO POP E A SALVARE DAL FALLIMENTO ADELPHI DI CALASSO. E PENSARE CHE L’EDITORE SANDRO FERRI DI E/O, CHE OGGI PUBBLICA ELENA FERRANTE, ERA IN CONTATTO DA TEMPO CON KUNDERA PER I DIRITTI. “MA SUA MOGLIE CI CONSIDERAVA TROPPO PICCOLI. QUANDO IL LIBRO È ANDATO ALL'ADELPHI CI SIAMO OFFESI. L'ABBIAMO CONSIDERATO UN TRADIMENTO” – LA CRITICA DI ALDO BUSI

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Estratto dell'articolo di Stefano Ciavatta per https://www.esquire.com/it/cultura/libri/a44516886/insostenibile-leggerezza-essere-milan-kundera

 

 

dago arbore dago arbore

Era il 2002 quando Roberto Calasso di Adelphi, in un'intervista al Corriere della Sera, ricordava che “L'insostenibile leggerezza dell'essere è stato uno dei più grandi successi editoriali degli ultimi cinquant'anni, sullo stesso piano di Cent'anni di solitudine di García Márquez. In Italia il successo fu ancor più clamoroso che altrove.

 

Partimmo con una tiratura prudente di 10mila copie, perché l'autore era ancora un'entità molto vaga per il pubblico italiano”. L’allusione era ai romanzi e racconti pubblicati da Mondadori e Bompiani tra il 1969 e il 1980, poi diventati classici kunderiani anche per il pubblico italiano. “Per mesi abbiamo fatto fatica a tenere dietro alle ristampe. In un anno si vendettero 225mila copie. A oggi il venduto totale è di circa un milione di copie”. Calasso diede poi a Cesare quello che si sapeva da tempo fosse di Cesare: “La cosa diventò anche un fenomeno mediatico, per la coincidenza con la trasmissione del momento, Quelli della notte di Arbore, dove la formula magica del titolo di Kundera veniva usata da Roberto D'Agostino come tormentone”.

insostenibile leggerezza dellessere insostenibile leggerezza dellessere

 

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Del salotto fa parte anche Roberto D’Agostino, all’epoca ex impiegato di banca in caciarona fuga dal cartellino, critico musicale, penna di costume (si dice ancora così?), un Arbasino autodidatta, una versione nottambula e festaiola di Irene Brin, insomma pre-fondazione Dagospia (lontanissima e inimmaginabile), autoproclamatosi lookologo degli smodati anni Ottanta, in cerca di vecchie faune travestite da nuove tribù, piene di velleità edonistiche ed effetti speciali, l’apparire come unico miraggio possibile, “l’edonismo reaganiano” come fototessera e passepartout di un decennio.

 

L’instant book Look Parade (Sperling, novembre 1985) sembra un gioco da antropologo dandy in mezzo a Paninari, Yuppies, Rambo, Eccentrici e Inautentici, in mezzo al riflusso, la frivolezza, il consumismo, il disimpegno, il fastidio per l’aria da caserma militante degli anni Settanta. Prelude invece ai brillanti sciocchezzai postmoderni di battute, idee, opinioni carpite ovunque sui media: Il peggio di Novella 2000 (con Renzo Arbore, Rizzoli), il rarissimo Libidine (Mondadori), Come vivere e bene senza i comunisti (Mondadori), Chi è, Chi non è, Chi si crede di essere (Mondadori), L’insostenibile pesantezza del Sublime (Mondadori), Sbucciando piselli (con Federico Zeri, Mondadori).

roberto calasso roberto calasso

 

 

D’Agostino aveva intercettato subito la fortuna del libro di Kundera. Copertina chiara, quel pantone Adelphi che cambia sfumatura col tempo, come i colori dei dipinti italiani nei manuali d’arte, solita eleganza con Les Pléiades di Max Ernst in bella mostra, un nudo forse non instagrammabile oggi. Lo citava a proposito e a sproposito, chiamandolo in causa per introdurre gli argomenti più vari.

 

Già il titolo del libro, un ossimoro sontuoso ma “paraculo” (avrebbe detto Diamante Covelli), lungo ma definitivo, prestava il fianco a essere equivocato ed evocato come mattone da dissacrare. Come non approfittarne? Lo stesso gioco non si sarebbe potuto fare con un altro bestseller (accusato anch'esso di aver venduto troppo): Il nome della rosa di Eco, uscito nel 1980 e rilanciato nel 1986, era un titolo innocuo. 

 

 

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ROBERTO CALASSO VISTO DA TULLIO PERICOLI ROBERTO CALASSO VISTO DA TULLIO PERICOLI

Ecco dunque l’arringa per Kundera, depositata nel “vizionario dei nomi famosi” di Chi è, chi non è, chi si crede d’essere: “Siamo tutti Milanisti. Se lo merita, non solo per le rapinose trame che tesse nei suoi romanzi, quanto perché quello Spirito del Tempo che lo scrittore cecoslovacco ha battezzato L'insostenibile leggerezza dell'essere spiega bene questi anni senza deposito, né ideologico né morale, che sono gli '80.

 

Fornito di un oculato volto da zingaro triste, con quella piega amara, ma così amara che sembra un Fernet, Milan Kundera, spretatosi di comunismo ceco e tirannico, sistematosi dal 1975 a Parigi (è cittadino francese grazie all'intervento del presidente Mitterrand), con il suo celebre romanzo filosofico ha scritto un epitaffio a un decennio ingorgato da valori in via di risucchio e soffocato dalla pesantezza dell'anima.

 

Roberto Calasso Roberto Calasso

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Nella Storia confidenziale dell'editoria italiana (Marsilio), Gian Arturo Ferrari ha ricordato il precedente in tema di bestseller e televisione italiana, il libro Così parlò Bellavista di Luciano De Crescenzo, romanzo Mondadori del 1977, a cui diede una mano decisiva la presenza dello stesso autore nel talk show Bontà loro di Maurizio Costanzo su Rai 1. Per altre latitudini editoriali, però, anche De Crescenzo soffrì la diffidenza e lo scetticismo verso il suo successo.

 

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C’era insomma chi vedeva l’apocalisse e i barbari alle porte, in anni in cui il sistema editoriale era granitico, milionario, i suoi protagonisti venerati e autorevoli, i lettori forti erano veramente forti e tanti. Nel 1989, sul Messaggero, Giorgio Manganelli, tra i più liberali e illuminati uomini delle patrie lettere, relativizzava la faccenda Kundera ma non vedeva lontano: “Un amico mi dice che una recensione favorevole di Geno Pampaloni fa subito vendere qualche centinaia di copie, nella sola Milano: questa è la misura autentica dell'efficacia di una buona recensione: agisce sui libri che aspirano a tirature non oltre le diecimila copie; se va oltre, le recensioni non c'entrano; magari c'entrano i premi, sempre meno, e qualche battuta televisiva.

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La televisione non si rivolge in primo luogo ai lettori”. Tra le accuse di calcolo editoriale, “troppo ricercato e zuccherino” (Ruggero Guarini), “il messaggio del libro è programmato a tavolino, perde anima e si neutralizza” (Asor Rosa), si infilò barricadero anche Aldo Busi che aveva esordito clamorosamente con Adelphi l’anno prima: “Pessoa, Yourcenar, Eco, Kundera, appartengono a quell'inconsistenza di buon tono su cui l'editoria ha fondato un impero per catturare gli ansiosi di non sfigurare in materia di Destino & Arredocasa”. Questi e altri giudizi critici sono inclusi da D'Agostino nella voce Kundera del suo Chi è, Chi non è, Chi si crede di essere.

 

E pensare che c’era un altro editore che lo avrebbe pubblicato di corsa. Un retroscena nel retroscena delle fortune kunderiane lo ha raccontato Paolo Di Stefano in Potresti anche dirmi grazie (Rizzoli). Sandro Ferri di E/O, oggi casa editrice di Elena Ferrante, ieri punto di riferimento per autori dell’Est, era in contatto con Kundera per i diritti: “Ci teneva al corrente dello sviluppo del libro. Diceva: «Vediamo, forse». Ma si capiva che sua moglie non voleva, ci considerava troppo piccoli. E quando il libro è andato all'Adelphi ci siamo offesi. L'abbiamo considerato un tradimento”.

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