Estratto dell'articolo di Federico Rocca per “Vanity Fair”
l salone doppio di casa sua è pieno di libri e opere d’arte contemporanea. La sensazione è quella di un ordine maniacale, ma camuffato benissimo. Costantino della Gherardesca è in pigiama di seta rosso e blazer scuro, alle 11 del mattino. Mi accomodo su uno dei divani in pelle blu e mi porge un piccolo bicchiere di ceramica con una tisana.
«È tedesca!».
Ho letto molte sue interviste. Le piace raccontarsi?
«Non mi piace raccontarmi, mi piace raccontare: è il mio lavoro. A volte in un’intervista si riesce a farlo meglio che in tv, dove si deve essere estremamente didascalici».
Googlando il suo nome, come prima ricerca compare…
«Moglie, lo so. Non me lo spiego: forse la gente pensa che sia come uno di quegli omosessuali di potere degli anni ’60 con le mogli farlocche. Sfortunatamente non ne ho una».
Sfortunatamente?
«Sarebbe molto elegante, talmente paradossale che non sembrerebbe più un triste nascondiglio, come in Lontano dal paradiso. Sarebbe un po’ una cosa alla Leonard e Felicia Bernstein, che stavano assieme per amicizia. In fondo mi trovo meglio con le donne».
(...)
Pechino Express ripartirà a breve: dopo 10 anni non si è stufato?
«No, perché il programma è il racconto di decine di nazioni nel mondo. Certo, dipende tutto sempre da quella in cui giriamo. Taiwan è stata indimenticabile».
Ha mai toccato culture nelle quali si è imbattuto, invece, in questioni socialmente inaccettabili?
«In un altro programma, Le spose di Costantino. In Uganda ho intervistato un attivista per i diritti gay che, nonostante due lauree, aveva deciso di non andarsene, rischiando la vita in un Paese in cui vengono pubblicati nomi e foto delle persone omosessuali esortando la popolazione al loro linciaggio».
Definirebbe casuale il suo debutto nel mondo dello spettacolo?
pechino express 2022 costantino della gherardesca
«C’è sempre stata una certa intenzionalità. Ho studiato teatro in un collegio dove era passato anche Daniel Day-Lewis. Solo che lui era più bravo. Negli spettacoli per pochi eletti del dipartimento ufficiale ero un cane, ma in quelli pop degli studenti un fenomeno».
Piero Chiambretti è stato il suo Pigmalione?
«Sicuramente. Mi ha insegnato molte cose sulla tv. Per esempio che non vanno mai fatti preamboli».
Altri maestri dei primi anni?
«Gianni Boncompagni. E Irene Ghergo: mi ha insegnato che la televisione è donna».
Non sembrerebbe. Pensiamo anche solo a Sanremo…
«L’unica grande celebrity mai esistita in Italia è Mina. Andava a comprare le banane ed era accerchiata dai paparazzi. Un fenomeno mediatico che definirei ben più importante della conduzione di Sanremo».
Molto spesso ha dichiarato di lavorare per soldi. Sono davvero così importanti?
«È una cosa che dico per smascherare la gigantesca ipocrisia di chi parla del mondo dell’arte − che sia arte contemporanea o becera tv − come se il denaro non fosse parte della realtà».
Apre lentamente un wafer monoporzione e ancor più lentamente lo gusta, come fosse una delle sue risposte.
«Non sono economicamente ambizioso, l’avarizia è una delle qualità più spregevoli che esistano. I soldi servono per accorciare le distanze, in tutti i sensi».
(...)
Nel 2015 ha detto: «Forse tra due o tre programmi tv sarò abbastanza ricco per poter pensare ad avere un fidanzato».
«Ho fatto 600 programmi ma sono ancora single. Che meraviglia».
Non le piacerebbe avere una persona vicina?
«Mi piacerebbe, ma al momento non me lo posso permettere. Ma non per venalità! È un lavoro stare in coppia...».
È troppo concentrato sulla carriera?
«Forse ora sono molto più calmo, forse potrei avere tempo per dare attenzione anche a un altro essere umano. Ma per me è molto difficile accettare una persona nei miei spazi privati. Gli uomini poi sono ingombranti. Se almeno fossi eterosessuale e avessi una relazione con una giapponese...».
Non è obbligatorio condividere il letto.
«Lo pensavo anche io, ma ho imparato a fare questa cosa orrenda che chiamano “compromessi”».
Ha dichiarato di essere stato innamorato «raramente, forse solo una volta, ma brevemente».
«Ho fatto davvero di tutto per conquistare questa persona, e ci sono riuscito. Ma con uno sforzo enorme, che se adesso penso a una persona che un po’ mi piace, il ricordo di quella fatica mi fa dire: Ah, sti cazzi!».
Ma non è mica detto che tutte le volte debba essere così faticoso.
«Da noi, non belli, si aspettano sempre tanta dedizione, tanta».
È anche giornalista. Che domanda si farebbe per avere una bella risposta?
«Mi chiederei: secondo lei la globalizzazione, che in tanti hanno criticato nei nostri anni formativi − basti ricordare gli scontri di Genova −, è un fenomeno tangibile, esiste realmente?».
Ecco, si risponda.
«No, secondo me l’autarchia è sempre dietro l’angolo. C’è sempre meno attenzione e interesse riguardo alla cultura, all’arte e alla musica, per esempio, lontane».
Che domanda non si farebbe, invece, per non irritarla?
«Era molto grasso, ora è dimagrito. Come ha fatto?».
(...)
Che cosa guarda in tv?
«In realtà ascolto molta radio, soprattutto BBC Radio Six».
Ha un guilty pleasure televisivo?
«Be’, Rai 1. Il canale che più rappresenta l’Italia».
Quali colleghi le piacciono?
«Corrado, il mio preferito in assoluto».
Viventi?
«Fabio Fazio, una persona molto forte, un ninja. Fiorello è bravo, un talento naturale. Sa sentire e trasmettere l’entusiasmo per il quotidiano, al contrario di me. Milly è bravissima, beneducata, civile».
Si ritiene chic?
«No».
Un radical chic?
«Nell’accezione originale del termine, il radical chic era molto ricco. Io non lo sono abbastanza per esserlo davvero. Anche se dicono che lo sia: diciamo che è vero...».
costantino della gherardesca vittorio sgarbi
È snob?
«Senza nobiltà... Chi mi conosce pensa che lo sia molto meno di quanto sembri».
Lei, poi, nobile lo è davvero. Trash lo è mai stato?
«Spessissimo, felicemente. Sono cresciuto guardando il trash vero, quello di Divine e John Waters».
Nel 2018 il titolo di un pezzo di Rolling Stone era: «Costantino della Gherardesca è sopravvalutato». Lei come si sente?
«Guardi, né sopra né sotto: io mi sento valutato per quello che sono. Ma tengo sempre bene in mente quello che Boncompagni diceva: se noi fossimo a Hollywood, staremmo a pulire i gradini dello studio».
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