Ferruccio Gattuso per leggo.it
Il mondo corre, e la musica ti cambia sotto i piedi. Ma ci sono cose che non cambiano, c’è musica che resta perché, quando è nata, aveva radici salde. “Siamo la band più longeva d’Europa dopo i Rolling Stones, vorrà pure dire qualcosa”, la butta lì Pietruccio Montalbetti, storico fondatore dei Dik Dik. C’è stato un tempo che Milano faceva rima con “band”: negli anni Sessanta spuntavano formazioni agguerrite, come i Camaleonti e Le Ombre. I sogni venivano da oltremanica, il sound divertiva i figli e, immancabilmente, irritava i genitori.
Nati ufficialmente nel 1965: proprio quell’estate, a giugno, i Beatles passarono da Milano. Un involontario battesimo della musica?
Montalbetti: “Io ci andai, al Vigorelli, a sentirli. Dovetti aspettare qualche artista, poi li vidi salire. Collegarono gli strumenti, partirono col primo pezzo e non sentii più nulla. Un boato continuo per tutta l’esibizione”.
La musica ritorna dal vivo, dopo la pandemia: qual è il vostro stato d’animo?
Giancarlo Sbriziolo detto Lallo: “Tranquillo e sereno. Aspettiamo che finisca questa piaga biblica. Per fortuna, ogni tanto in tv c’è qualche coppa d’Europa da vincere”.
È stato un anno duro per i Dik Dik?
Montalbetti: “Siamo stati agli arresti domiciliari, come tutti. Ma abbiamo scritto canzoni nuove con il cantautore e producer Luca Nesti, e il tutto è finito nel nostro nuovo album ‘Una vita d’avventura’, sei brani inediti e cinque riletture di nostri classici”.
La pandemia vi ha portato via Pepe Salvaderi, co-fondatore della band: come avete affrontato il momento?
Montalbetti: “Nell’unico modo possibile: andando avanti. La sofferenza la vivi dentro di te ma resti fedele alla tua storia e alla musica. A lui abbiamo dedicato l’album. Quando suono sul palco ero abituato a vederlo alla mia sinistra, ora non ci devo pensare”.
Milano ieri e oggi: cosa è cambiato per una band?
Lallo: “Da anni non vivo a Milano, preferisco la quiete della provincia. Ma certo qui c’era tutto per un musicista: il centro era pieno di locali, noi ci esibivamo spesso al Ciao Ciao, lì incontravamo gli amici Camaleonti”.
In che zona siete nati?
Montalbetti: “Eravamo tutti tra via Stendhal e via Foppa, lì sono cresciuti altri artisti come Cochi Ponzoni e Moni Ovadia. Le prove le facevamo all’oratorio di Santa Maria del Rosario. Era periferia, la campagna a due passi. Ecco, siamo rimasti cittadini di campagna”.
Il primo contratto come l’avete ottenuto?
Montalbetti: “In breve: da mesi riempivamo i locali. Grazie a don Angelo, lì in oratorio sono riuscito a farmi fare una lettera di raccomandazione del Monsignor Montini, futuro papa. La lettera diceva che eravamo buoni parrocchiani. Io l’ho portata alla Ricordi, che ai tempi produceva organi per le chiese. Ci permisero di fare due provini, andò bene”.
E come si resta insieme tutto questo tempo?
Lallo: “Siamo rimasti impiegati della canzone. Mai usato droghe. E abbiamo sempre discusso per capire, mai per avere ragione”.
Sognando la California, L’Isola di Wight: portavate i giovani con la mente altrove.
Lallo: “Erano l’equivalente degli attuali tormentoni estivi. Solo che questa è musica che è rimasta”.
Cosa ne pensate della scena musicale attuale?
Montalbetti: “Rap e trap ci lasciano indifferenti. La tv condiziona questo tipo di musica, i talent sono una messa in scena, trionfa la legge dell’apparire”.
Cosa ne pensate del successo internazionale dei Maneskin?
Lallo: “Bravi lo sono, ma copiano il rock degli anni Settanta. Perlomeno fanno rock, è già qualcosa”.