Giuseppina Manin per il Corriere della Sera - Estratti
«Questa famiglia non c’è più. È già distrutta». Scandite a sipario ancora chiuso da Néris, fida amica di Medea, le parole di Euripide suonano come minaccioso annuncio della tragedia che verrà. La tragedia di una casa che va a pezzi, di una donna abbandonata per un’altra dall’uomo a cui tutto ha sacrificato, dei loro figli contesi, vittime innocenti della furia vendicatrice della loro stessa madre.
«Succede nel mito e succede nella realtà, la storia di Medea è quella di donne che amano troppo e male. Investono tutto sull’uomo e quando lo perdono, perdono tutto», spiega Damiano Michieletto che alla Scala sta allestendo la «Médée» di Cherubini, opera iconica per l’interpretazione leggendaria di Maria Callas negli anni 50, dal 14 gennaio per la prima volta al Piermarini nell’edizione francese, direttore Michele Gamba, protagonista Marina Rebeka.
medee di michieletto alla scala
Rispetto all’originale mancano però i dialoghi richiesti dalla formula dell’Opéra-comique in voga a fine ‘700, quando andò in scena a Parigi. Qui sostituiti da alcuni interventi scritti dal dramaturg Mattia Palma secondo gli intenti del regista. Che rilegge la nera vicenda della maga assassina dall’inedito punto di vista dei figli.
«I protagonisti involontari della storia sono loro. Due bambini di cui nulla ci viene detto, testimoni silenziosi del disastro familiare. Ho voluto restituire significato alla loro presenza, dar la parola a chi mai l’ha avuta. I loro pensieri li ascolteremo attraverso le voci registrate di altri bimbi di madrelingua francese. Battute brevi per aprire finestre sul loro vissuto, ma con funzione narrativa, per ricordare gli antefatti della tragedia.
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medee di michieletto alla scala
I bambini guardano, ascoltano, cercano di capire, di mettere ordine in quel groviglio di odio, amore e rancore, per loro incomprensibile. «Fino all’ultimo inconsapevoli di quanto sta per succedergli, pronti a negare l’inaccettabile. Perché quella donna dolente, furibonda, minacciosa, è pur sempre la loro madre. Ho consultato uno psichiatra sulle oscure pulsioni dell’infanticidio. Mi ha spiegato che la prima reazione delle piccole vittime è di respingere l’ipotesi che la mamma possa far loro del male. Perché la figura di riferimento va conservata intatta».
La sacralità del mito segna l’inconscio individuale e collettivo, e dilaga nel tempo. Michieletto lo trasloca in una quotidianità borghese di famiglie sfasciate, dove i bimbi diventano merce di scambio, usati, contesi, talvolta sacrificati sull’altare del regolamento di conti. Ma a differenza della cruenta esecuzione riferita da Euripide e da Cherubini, il crimine assumerà stavolta tinte meno sanguinarie. «b. Medea uccide i figli in un estremo gesto d’amore, addormentandoli per sempre con una di quelle bevande letali di cui, da maga e guaritrice, è maestra. Una morte dolce, e per questo più straziante. Alla fine, una sorta di suicidio: se uccidi i tuoi figli uccidi te stessa».
marina rebeka medee di michieletto alla scala
Nessun trauma per i due piccoli interpreti, 7 e 9 anni, che, spiega il regista, essendo in teatro vivono tutto come un gioco: «Giocano a fare i morti, come a Halloween quando si truccano da zombi. Inoltre tutto accadrà fuori scena, in una video proiezione che ci porterà dentro la stanza dei bambini. Che è una stanza di Villa Necchi. Il filmato l’ho girato lì, sfondo ideale per il palazzo alto borghese di Creonte, padre di Dirce, nuova sposa di Giasone».
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Lei non perdona. Colpevole? Innocente? «Il mito non giudica, ascolta le ragioni di tutti. Anche quelle di Medea, donna abusata, violata, rifiutata. Gli uomini l’hanno resa una belva, e da belva lei si comporta».
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