Luigi Ferrarella per corriere.it
Da una parte del filo il telefonino della web grafica del blog di Beppe Grillo e figlia del paroliere che per Patty Pravo scrisse «Pazza idea», Nina Monti, e il cellulare di Luca Eleuteri, socio fondatore della Casaleggio Associati al quale nel 2018 Davide Casaleggio affidò il delicato compito di spiegare ai giornali la fine del sodalizio tra il «garante» M5S e l’azienda milanese;
dall’altro lato del filo il telefonino dell’amministratore delegato Achille Onorato della compagnia marittima Moby Spa fondata dal padre Vincenzo, e i cellulari di Annamaria Barrile e Giovanni Savarese, che nella società erano responsabile delle relazioni istituzionali e capo ufficio stampa: sono queste 5 persone, tutte non indagate, a essersi viste sequestrare ieri gli apparecchi sui quali la Guardia di Finanza di Milano ha la convinzione di trovare chat e messaggi confermativi di una illecita mediazione di Grillo per spingere i suoi parlamentare a fare gli interessi legislativi dell’armatore che lo stava finanziando.
Balza subito all’occhio che proprio a Grillo, benché al centro dell’indagine per l’ipotesi di reato di «traffico di influenze illecite», non è stato sequestrato il telefonino, su cui pure si ipotizza siano intercorse in entrata le richieste dell’armatore o in uscita gli input ai parlamentari 5 Stelle.
Si tratta di una evidente scelta della Procura di Milano, che, così come ieri non si è azzardata a cercare chat su apparecchi di deputati 5 Stelle tutelati dalle garanzie parlamentari, ha rinunciato anche al telefonino del (pur non parlamentare) fondatore ed ex capo politico e poi garante dei 5 Stelle: forse per minimizzare le intrusioni nella privacy e sterilizzare le polemiche che sarebbero nate dall’acquisizione di un cellulare «sensibile», dove è ovvio che sarebbero state presenti (e dunque sarebbero finite depositate poi agli atti come nel caso di Renzi a Firenze nell’inchiesta Open) tutta una serie di chat ad esempio sulle dinamiche interne del Movimento, sui rapporti altalenanti tra Grillo e l’ex premier Conte, sugli attuali posizionamenti dei 5 Stelle in vista del voto per il Quirinale, e anche sulle vicende familiari e scelte difensive legate al processo al figlio di Grillo in Sardegna.
Altrettanto ovvio, però, è che evidentemente gli inquirenti nutrono un ragionevole affidamento di trovare lo stesso sugli apparecchi delle altre cinque persone i messaggi di proprio interesse investigativo. Da quanto traspare infatti dai decreti di perquisizione, la società Beppe Grillo srl, di cui il comico è socio unico e legale rappresentante, ha percepito da Moby spa 120.000 euro all’anno nel 2018 e 2019 «apparentemente per un accordo di partnership» finalizzato alla diffusione sui canali digitali legati al blog Beppegrillo.it di «contenuti redazionali» (almeno uno al mese) promozionali del marchio Moby.
Sempre dal 2018, e per tre anni, la Moby spa ha sottoscritto anche un contratto con la Casaleggio Associati srl del figlio Davide del cofondatore del M5S Gianroberto, che i pm — senza allo stato indagarlo — qualificano «figura contigua al M5S in quanto all’epoca dei fatti gestiva la piattaforma digitale Rousseau»: 600.000 euro annui per la campagna «Io navigo italiano», un pallino di Onorato per «sensibilizzare l’opinione pubblica e gli stakeholders alla tematica della limitazione dei benefici fiscali alle sole navi che imbarchino personale italiano e comunitario».
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Solo che — e qui sta la correlazione che i pm devono dimostrare per contestare il traffico di influenze illecite — nello stesso periodo «Grillo ha ricevuto da Onorato richieste di interventi in favore di Moby spa», e per i pm «le ha veicolate a parlamentari in carica appartenenti al Movimento» da lui fondato, «trasferendo quindi al privato le risposte della parte politica o i contatti diretti con quest’ultima». Un triangolo di cui gli inquirenti milanesi avrebbero già tracce, acquisite a Firenze in alcune chat di Onorato nell’inchiesta fiorentina dal 2019 sulla Fondazione Open di Matteo Renzi.
E «l’entità degli importi versati o promessi da Onorato, la genericità delle cause dei contratti, e le relazioni effettivamente esistenti e utilizzate da Grillo su espresse richieste di Onorato nell’interesse del gruppo Moby» sono i tre elementi che al procuratore aggiunto milanese Maurizio Romanelli e alla pm Cristiana Riveda fanno allo stato ritenere «illecita la mediazione operata da Grillo», perché «finalizzata a orientare l’azione pubblica dei pubblici ufficiali (i parlamentari 5 Stelle, ndr) in senso favorevole agli interessi del gruppo Moby».