Antonello Piroso per la Verità
mario calabresi carlo de benedetti
Leggete queste tre frasi. «Silvio Berlusconi piace perché è l' opposto del virtuale, termine che ho pregato i colleghi di cancellare dal loro vocabolario: altro che virtuale!
Semmai Berlusconi è iperrealista, è l'opposto della plastica».
«C'è un Paese che sta andando in una direzione diversa da quella prevista dagli schemi di Repubblica».
«Il cosiddetto popolo di sinistra, a differenza del ceto politico (di riferimento), sa che si può marciare divisi e colpire uniti: almeno qualche volta. Perché ha ben chiaro chi è il nemico».
Tre tesi, un unico autore: Ezio Mauro, direttore di Repubblica dal 1996 al 2016.
PRIMA PAGINA DI REPUBBLICA MARZO
Solo che le prime due sono del maggio 1994, cioè successive alla vittoria elettorale del Cavaliere contro «la gioiosa macchina da guerra» della sinistra di Achille Occhetto, e sono contenute in un' intervista che Mauro, allora alla guida de La Stampa, diede a Prima comunicazione.
La terza, invece, è la chiusa dell' editoriale che, in un crescendo di esortazioni e moniti pedagogici per «qualunque sinistra», l' altro ieri Mauro ha firmato in prima pagina su Repubblica.
Intervento che si apriva con «una semplice domanda: chi è il nemico?».
Scritto proprio così: non avversario, non antagonista, bensì «nemico».
Che è, ca va sans dire, la destra, «la destra di oggi», quella di Trump ma quella italiana «ancor più», con Berlusconi che «sembra Camillo Cavour stravolto da Maurizio Crozza».
Ezio Mauro, Eugenio Scalfari, Paolo Garimberti, Marco Ansaldo Alberto Flores dArcais, Reginald Bartholomew
Insomma, Mauro è rimasto per un ventennio seduto sulla riva del fiume ad aspettare di vedere passare il cadavere politico di un «nemico», Berlusconi, mentre questi sembra destinato a condurre a una nuova marcia trionfale un centrodestra peraltro animato da sgangherate spinte centrifughe.
L' analisi ha anzi subito un' involuzione, dalla lettura lucida del 1994 alle odierne riflessioni, viziate da quello stesso errore di prospettiva che 24 anni fa il Mauro della Stampa imputava allo Scalfari di Repubblica.
Scalfari che è stato da Mauro indirettamente bistrattato, là dove lo critica -senza nominarlo- per aver dato il via al «giochetto di società nato su una scelta irrealistica tra Luigi Di Maio e Berlusconi», opzione ipotetica censurata anche da Carlo De Benedetti, già editore di Repubblica (Scalfari dal canto suo, quando in tv gli è stato chiesto come avesse reagito alla pubblica reprimenda di De Benedetti, ha soavemente replicato: «Non ho più rapporti con lui. Chi supera il decennio della morte, quello tra gli 80 e i 90 anni, e io sono a 94, ecco, chi ci arriva, scusate il linguaggio, se ne fotte». Game, set, match).
Ma c' è di più. Nella sua invettiva, Mauro ha rimproverato ai leader di sinistra di non parlarsi, scegliendo un' immagine («non risulta che i telefoni abbiano suonato») decisamente infelice.
Perchè se imputi a Matteo Renzi i suoi silenzi (e l' assenza di un giudizio politico su Berlusconi, «lo attendiamo da vent' anni»: un lapsus, evidentemente, perchè nel 1998 Renzi era un anonimo segretario provinciale del Ppi), risalta anche la tua, di latitanza, nel giorno in cui diventa di dominio pubblico la telefonata tra De Benedetti e il suo broker sulle informazioni privilegiate che l' Ingegnere assicurava di aver ricevuto da Renzi stesso sulla riforma delle banche popolari, circostanza su cui non tu non spendi una parola, neppure en passant, mentre scrivi che «i telefoni tacciono» (e «i giorni passano», i figli crescono e le mamme invecchiano, e il Cavaliere, maledetto, è sempre lì...).
ezio mauro con matteo renzi e carlo de benedetti
Insomma, la Repubblica delle idee confuse appare sempre più come un «arcipelago gulash», uno spezzatino abbastanza indigesto di amnesie, detti e contraddetti, in cui i quesiti metafisici di Michele Serra («Può un renziano sopportare Gustavo Zagrebelsky, e un antirenziano Massimo Recalcati? La domanda riguarda noi, comunità di Repubblica», che rimanda alla concezione tardosessantottina del giornalismo militante, in sottofondo lo slogan «La proprietà dei giornali è dei lettori», e come no) vengono shakerati con le esegesi -tra politica e arte- dello stesso Mauro e di Concita De Gregorio.
La quale ha raccolto il testimone di Ezio Mauro su un tema, quello del populismo, per illustrare il quale i due si sono addirittura infilati nella disamina ermeneutica di un celebre dipinto di Edward Hopper, Nighthawks (Sonnambuli), per elevare uno dei protagonisti della scena -un uomo solo, di spalle, con un cappello, intento a rimirare il bicchiere che ha tra le mani- ad emblema del sentimento antiestablishment di cui si nutre il populismo contemporaneo.
Scrive Mauro: «Quell' uomo non parla, rimugina. Si capisce che ne ha viste tante, per arrivare stanotte fin qui deve aver superato ogni illusione consumando qualsiasi speranza. Non crede più in nulla. Anzi sta in guardia, come se gli avessero tolto qualcosa: potrebbe raccontarlo ma preferisce che ognuno si faccia i fatti suoi, il suo silenzio magari farà sentire in colpa il resto del mondo. Eppure, perché ci sembra di averlo già visto?
Perché è la nuova figura politica universale che attraversa l' Occidente dall' America all' Europa, il risentimento che ovunque si mette in proprio, la rabbia sociale che dappertutto si fa politica, l' outsider che infine prende il potere. O forse no, ma a lui basta aver scalciato l' establishment, buttandolo giù dal trono. Il risentimento è appagato: per il resto, si vedrà».
Ohibò, niente meno? De Gregorio ci aggiunge del suo: «Nel quadro di Hopper, oltre all' uomo solo di spalle e alla coppia luminosa di fronte - gli altri: gli inclusi e gli eletti - c' è un quarto personaggio: il barista. L' uomo vestito di bianco che osserva e che ascolta tutto. Il testimone. Credo che in questi ultimi dieci anni, mentre l' onda del malessere montava, i testimoni - i giornalisti, gli analisti - abbiano sovente mancato il loro compito.
Con la sinistra che diventava, grosso modo, il luogo di una minoranza colta informata e tutto sommato ancora benestante, e la destra il riferimento delle periferie escluse. Da tempo ormai anche nelle urne il voto a sinistra arriva dai centri storici, quello alle destre e ai movimenti di rivalsa dalle periferie. Il contrario di quel che accadeva fino agli ultimi anni del Novecento. Ma il barista ha taciuto. I testimoni non hanno saputo o voluto raccontare gli umori degli avventori al banco».
ezio mauro luigi vicinanza carlo de benedetti
Detto da una giornalista tornata a Repubblica, dopo essere andata da direttore a mettere la minigonna all' Unità (lasciandola in mutande), suona quasi come un' autocritica.
Che altro aggiungere? Come epigrafe, può forse valere quanto spiegava Mauro in quell' intervista del 1994 (in cui alla domanda: «Ma a Repubblica lei ci va o no?», ribatteva: «È una storia che non esiste. Dalla Stampa io non mi muovo», in effetti lo fece due anni dopo): «Solo in Italia chiediamo ancora al giornale, in modo primitivo: con chi stai? Mentre la vera domanda che una società liberale dovrebbe rivolgere al giornale è: chi sei?».
Già. Lo stesso quesito che si pongono oggi -davanti a Repubblica- non pochi suoi lettori e, forse, non pochi suoi giornalisti.